ORDINANZA N. 112
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Fernanda CONTRI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), promossi con ordinanze dell’11, del 10, del 13 e del 21 novembre (n. 2 ordd.), del 2, del 4 e del 16 dicembre 2003 dal Tribunale di sorveglianza di Bari, del 22 gennaio 2004, del 23 dicembre 2003, del 5, del 19, del 26 febbraio (n. 4 ordd.) e del 4 marzo 2004 dal Magistrato di sorveglianza di Foggia, del 30 gennaio, del 5 e del 17 marzo 2004 dal Magistrato di sorveglianza di Bari, rispettivamente iscritte ai nn. 31, 32, 33, 53, 54, 55, 118, 170, 229, 299, 300, da 437 a 442, 501, 502 e 551 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9, 11, 12, 14, 16, nella edizione straordinaria del 3 giugno 2004, e nn. 23 e 24, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2005 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Bari, con ordinanza emessa in data 21 novembre 2003 (r.o. n. 31 del 2004), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), nella parte in cui consente a coloro i quali abbiano subito la revoca, per fatto colpevole, di una misura alternativa alla detenzione, di essere ammessi alla sospensione dell’esecuzione della parte finale della pena detentiva;
che il rimettente è investito dell’esame di un reclamo proposto dal Pubblico ministero avverso l’ordinanza con la quale il Magistrato di sorveglianza di Bari ha ammesso alla sospensione condizionata della pena detentiva un condannato che, già ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, ne aveva successivamente subito la revoca;
che, ad avviso del giudice a quo, l’art. 1, comma 3, lettera d), della legge n. 207 del 2003 esclude dalla concessione del beneficio le persone le quali, dopo la condanna, siano state ammesse ad una misura alternativa, mentre l’art. 7 della stessa legge, nel prevedere che “le disposizioni della presente legge si applicano nei confronti dei condannati in stato di detenzione ovvero in attesa di esecuzione della pena alla data di entrata in vigore della medesima”, sarebbe una norma di chiusura finalizzata all’individuazione del criterio temporale per l’applicazione del beneficio, ma non individuerebbe le condizioni “sostanziali, soggettive ed oggettive” che consentono di godere della misura;
che il rimettente osserva come tra le condizioni ostative alla concessione del beneficio sia espressamente previsto che il condannato sia stato ammesso ad una misura alternativa alla detenzione, mentre non è prevista l’attualità di tale condizione, per cui la condizione ostativa deve ritenersi integrata anche nei confronti dei condannati che abbiano subito la revoca di una misura precedentemente disposta;
che una diversa interpretazione della norma, prosegue l’ordinanza, sarebbe in contrasto con la Costituzione, poiché ancorerebbe ad un dato puramente temporale e del tutto aleatorio (l’essere o meno la misura alternativa in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 207 del 2003) la possibilità di essere ammessi al beneficio, e ciò in violazione del principio di ragionevolezza;
che secondo il Tribunale di sorveglianza di Bari tale interpretazione discriminerebbe ingiustamente la condizione di chi, essendo stato ammesso ad una misura alternativa ed avendo ottemperato alle prescrizioni di legge, non abbia subito la revoca del beneficio, rispetto a quella di colui che, avendo visto revocato il precedente beneficio, verrebbe a fruire comunque della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni;
che detta interpretazione, sempre secondo l’ordinanza, violerebbe anche l’art. 3 Cost. sotto il profilo del principio di eguaglianza, poiché se è vero che le due situazioni non sono identiche fra loro, è anche vero che il condannato che ha visto revocata una precedente misura alternativa viene ad essere nella condizione di godere della sospensione, mentre chi ha tenuto una condotta osservante della legge e merita maggior tutela ne verrebbe escluso;
che, sempre secondo il giudice a quo, il mancato inserimento tra le cause ostative alla concessione del beneficio della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena delle ipotesi di cui all’art. 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) sarebbe irragionevole, dal momento che la disposizione citata vieta la concessione di misure le cui prescrizioni sono ben più rigorose di quelle del beneficio previsto dalla norma censurata, del quale il condannato potrebbe fruire anche nell’ipotesi in cui gli sia precluso di beneficiare delle altre misure alternative;
che la disposizione censurata violerebbe l’art. 3, sotto il profilo del principio di eguaglianza, e il principio della finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27 Cost., consentendo ad un soggetto, rivelatosi per fatti concludenti poco affidabile e nei cui confronti sia già stata disposta la revoca di precedenti benefici penitenziari, di godere di un ulteriore beneficio che sarebbe al contrario precluso a chi, non avendo commesso violazioni, si presenta come più meritevole;
che è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione inammissibile e comunque infondata;
che secondo l’Avvocatura la disposizione censurata non consente a coloro che sono stati ammessi ad una misura alternativa alla detenzione e che successivamente se la sono vista revocare di godere del beneficio introdotto dalla legge n. 207 del 2003;
che l’art. 2, comma 3, della legge citata prevede che la sospensione della parte finale della pena “non si applica quando la persona condannata è stata ammessa alle misure alternative alla detenzione”, senza che ciò significhi la “sottoposizione attuale” a dette misure, ma al contrario con riferimento esclusivo ad una precedente ammissione;
che per tale ragione, secondo l’Avvocatura, il semplice fatto che la persona condannata sia stata ammessa alla misura alternativa e sia uscita quindi dal regime detentivo penitenziario osta alla concessione del nuovo beneficio, restando del tutto indifferenti le vicende successive che hanno riguardato la misura, e cioè il fatto che essa sia stata o meno revocata;
che il beneficio introdotto dalla legge n. 207 del 2003, pur non essendo propriamente una misura alternativa, presenta con questa tipologia alcune affinità, tanto che nessuna meraviglia può destare il fatto che il legislatore ha voluto in sostanza recepire per il nuovo istituto la disciplina già prevista dall’art. 58-quater della legge di ordinamento penitenziario, secondo il quale chi si vede revocata una misura alternativa non può ottenerne una nuova per i successivi tre anni;
che secondo l’Avvocatura la questione sollevata, lungi dall’evidenziare profili di legittimità costituzionale, vale solo a confortare un’interpretazione della norma conforme a Costituzione già fatta propria dallo stesso giudice a quo, essendo al contrario manifestamente assurde le conseguenze di una interpretazione opposta a quella offerta;
che lo stesso Tribunale di sorveglianza di Bari, con altre nove ordinanze pervenute successivamente alla Corte (r.o. nn. 32, 33, 53, 54, 55, 118, 170, 501 e 502 del 2004), ha nuovamente sollevato, con sostanziale identità di argomenti, la medesima questione;
che il Magistrato di sorveglianza di Bari, con ordinanza emessa in data 17 marzo 2004 (r.o. n. 551 del 2004), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207, nella parte in cui consente l’ammissione al beneficio della sospensione dell’esecuzione della parte finale della pena detentiva di coloro i quali abbiano subito la revoca, per fatto colpevole, di una misura alternativa alla detenzione, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione;
che le motivazioni di tale ordinanza sono in parte analoghe ed in parte del tutto identiche a quelle delle ordinanze del Tribunale di Sorveglianza di Bari;
che anche il Magistrato di sorveglianza di Foggia, con nove ordinanze (r.o. nn. 229, 299, 300, 437, 438, 439, 440, 441, 442 del 2004), ha sollevato la medesima questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge n. 207 del 2003, nella parte in cui consente l’ammissione al beneficio della sospensione dell’esecuzione della parte finale della pena detentiva di coloro i quali abbiano subito la revoca, per fatto colpevole, di una misura alternativa alla detenzione, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.;
che le motivazioni delle ordinanze sono in parte analoghe ed in parte identiche a quelle delle ordinanze del Tribunale di Sorveglianza di Bari e del Magistrato di sorveglianza di Bari;
che in tutti i giudizi di legittimità costituzionale così promossi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare tutte le questioni inammissibili e comunque infondate in base ad argomenti del tutto identici a quelli svolti nell’atto di intervento per la questione iscritta al n. 31 del registro ordinanze 2004.
Considerato che tutte le ordinanze di rimessione sollevano questioni di legittimità costituzionale della stessa disposizione di legge con motivazioni che sono in parte identiche ed in parte analoghe e che i relativi giudizi debbono perciò essere riuniti per essere decisi con unico provvedimento;
che tutti i rimettenti dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), per violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza, del medesimo art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di eguaglianza, e dell’art. 27 Cost., sotto il profilo del principio della finalità rieducativa della pena, poiché la norma, mentre preclude la possibilità di accedere al beneficio della sospensione dell’esecuzione della pena a chi, essendo già stato ammesso ad altri benefici penitenziari, non ha commesso violazioni e si presenta quindi come più meritevole, consente invece a chi ha subito la revoca di precedenti misure alternative, e perciò si è rivelato per fatti concludenti poco affidabile, di godere della misura introdotta dalla legge citata;
che le ordinanze in esame prendono le mosse da un’interpretazione della disposizione impugnata, dagli stessi giudici a quibus qualificata come conforme a Costituzione, secondo la quale i detenuti che, già ammessi ad una misura alternativa alla detenzione - affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare, semilibertà - hanno subito la revoca delle stesse per fatti loro imputabili, non possono beneficiare (oltre che di nuove misure alternative nel triennio successivo) anche della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni introdotta dalla legge n. 207 del 2003, detta anche “indultino”;
che gli stessi rimettenti, in modo del tutto contraddittorio rispetto alle premesse interpretative da cui prendono le mosse, rimettono la questione a questa Corte chiedendole di dichiarare illegittima la norma censurata se interpretata in modo opposto da quello da essi stessi adottato;
che la questione così come viene sollevata, lungi dall’evidenziare profili di illegittimità costituzionale, varrebbe quindi solo a confortare, tra le possibili interpretazioni della norma, quella che gli stessi giudici a quibus, con argomenti non implausibili, ritengono conforme a Costituzione e che potrebbero quindi adottare senza investire questa Corte;
che le questioni in tal modo sollevate sono manifestamente inammissibili in quanto, per giurisprudenza costante di questa Corte, il giudice che deve adottare l’interpretazione ritenuta conforme a Costituzione non può proporre questioni meramente interpretative, volte a suffragare, o a far escludere, la legittimità di tesi ermeneutiche diverse da quella fatta propria dallo stesso rimettente (cfr., fra le più recenti, le ordinanze n. 109 del 2003 e n. 305 del 2004).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Bari, dal Magistrato di sorveglianza di Bari e dal Magistrato di sorveglianza di Foggia con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2005.
Fernanda CONTRI, Presidente e Redattore
Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2005.