SENTENZA N. 110
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Fernanda CONTRI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto legislativo 22 giugno 1991, n. 230 (Approvazione della tariffa delle tasse sulle concessioni regionali ai sensi dell’art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281, come sostituito dall’art. 4 della legge 14 giugno 1990, n. 158), promosso con ordinanza del 15 febbraio 2001 dalla Commissione tributaria provinciale di Bari sui ricorsi riuniti proposti dall’Azienda faunistico venatoria La Falca ed altri contro la Regione Puglia, iscritta al n. 701 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti l’atto di costituzione dell’Azienda faunistico venatoria Bosco “Fiore” nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2005 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto in fatto1. – Nel corso di alcuni giudizi riuniti, aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti, emessi dalla Regione Puglia, di rigetto delle istanze di rimborso di quanto corrisposto da diverse aziende faunistico-venatorie per gli anni dal 1994 al 1997 a titolo di “soprattassa” correlata alla tassa di concessione regionale prevista per tale tipo di aziende, la Commissione tributaria provinciale di Bari ha sollevato – in riferimento agli artt. 70 e 76 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto legislativo 22 giugno 1991, n. 230 (Approvazione della tariffa delle tasse sulle concessioni regionali ai sensi dell’art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281, come sostituito dall’art. 4 della legge 14 giugno 1990, n. 158), nella parte in cui dispone, al n. 16 della tariffa delle tasse sulle concessioni regionali, che per «le aziende faunistico-venatorie per ogni 100 lire di tassa è dovuta una soprattassa di lire 100, che dovrà essere versata contestualmente alla tassa».
La Commissione rimettente afferma che la norma denunciata non sarebbe conforme ai criteri stabiliti dalla delega legislativa conferita al Governo con l’art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario) – come sostituito dall’art. 4, comma 1, della legge 14 giugno 1990, n. 158 (Norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni), e successivamente modificato dall’art. 4 del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 1990, n. 403 – secondo i quali, «in caso di provvedimenti o atti già assoggettati a tassa di concessione regionale di ammontare diverso in ciascuna regione, l’ammontare del tributo da indicare nella nuova tariffa sarà pari al 90 per cento del tributo di ammontare più elevato, e comunque non inferiore al tributo di ammontare meno elevato». Il giudice a quo osserva, infatti, che il legislatore delegato, con il decreto legislativo n. 230 del 1991, pur essendosi attenuto ai menzionati criteri nel determinare in lire 6.065 per ettaro o frazione di ettaro la tassa di concessione regionale dovuta dalle aziende faunistico-venatorie, avrebbe violato i limiti posti dalla legge di delegazione nel disporre che per ogni 100 lire di tassa sia dovuta una soprattassa di lire 100 – non correlata ad alcuna infrazione commessa dal contribuente né ad alcun presupposto diverso da quello dell’obbligo di pagamento della tassa – così determinando, in realtà, una tassa complessiva (comprensiva di “tassa” e di “soprattassa”) di «lire 12.130» (recte: lire 6.065 di “tassa” più lire 100 di “soprattassa” per ogni lire 100 di “tassa” dovuta) per ettaro o frazione di ettaro, di importo eccedente quello massimo consentito del 90 per cento del tributo regionale più elevato e, comunque, non giustificato da alcuna particolare nuova disciplina del tributo, che, pure, sarebbe stata consentita dall’art. 3, comma 2, lettera d), della legge n. 281 del 1970 e successive modificazioni, in base al quale il Governo era autorizzato a dettare «eventuali norme che disciplinano in modo particolare il tributo indicato in alcune voci di tariffa».
2. – E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la declaratoria di infondatezza della questione ed osservando che alcune delle tariffe delle tasse di concessione regionale vigenti all’epoca in cui era stata esercitata la delegazione legislativa disponevano, in relazione alla voce della tassa concernente le aziende faunistico-venatorie, il versamento, oltre alla tassa, di una soprattassa, come previsto dagli artt. 61 e 91 del regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016 (Approvazione del testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia).
3. – Con ordinanza istruttoria del 10 aprile 2002, depositata il 12 successivo, questa Corte ha disposto che il Presidente del Consiglio dei ministri depositasse la documentazione relativa alla tariffa della tassa di concessione regionale per le aziende faunistico-venatorie o per le riserve di caccia, in vigore in ciascuna delle Regioni e Province autonome al momento dell’emanazione del d.lgs. n. 230 del 1991, corredandola con una relazione sui criteri in base ai quali il Governo era pervenuto a determinare la voce n. 16 della tariffa approvata con tale decreto legislativo e le note ad essa relative.
4. – Con ordinanza istruttoria del 2 luglio 2003, depositata e comunicata il 18 successivo, questa Corte, ritenuto che la documentazione inviata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in riferimento alla precedente ordinanza non contenesse tutti i dati richiesti, ha disposto che il Presidente del Consiglio dei ministri depositasse, entro 90 giorni dalla comunicazione del provvedimento, una relazione attestante l’entità della tassa di concessione regionale e, se prevista, dell’eventuale soprattassa, per le aziende faunistico-venatorie o per le riserve di caccia, in vigore in ciascuna delle Regioni al momento dell’emanazione del d.lgs. n. 230 del 1991, con l’indicazione della relativa base normativa.
5. – Con memoria depositata fuori termine, in data 24 novembre 2003, a fronte della notificazione dell’ordinanza effettuata il 7 maggio 2001, si è costituita in giudizio l’azienda faunistico-venatoria “Bosco Fiore”, con sede a Lecce, parte in uno dei giudizi a quibus.
6. – Con nota datata 16 dicembre 2004 e pervenuta a questa Corte il 17 successivo, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha trasmesso la documentazione richiesta con la citata ordinanza istruttoria del 2 luglio 2003.
Considerato in diritto
1. – Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria provinciale di Bari solleva – in riferimento agli artt. 70 e 76 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto legislativo 22 giugno 1991, n. 230 (Approvazione della tariffa delle tasse sulle concessioni regionali ai sensi dell’art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281, come sostituito dall’art. 4 della legge 14 giugno 1990, n. 158), nella parte in cui dispone, al n. 16 della tariffa delle tasse sulle concessioni regionali, che per «le aziende faunistico-venatorie per ogni 100 lire di tassa è dovuta una soprattassa di lire 100, che dovrà essere versata contestualmente alla tassa».
Secondo il giudice rimettente, il legislatore delegato, nel determinare l’ammontare della tassa sulle concessioni regionali per le aziende faunistico-venatorie in lire 6.065 per ettaro o frazione di ettaro, avrebbe rispettato il limite massimo fissato dalla delega legislativa conferita al Governo con l’art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario) – come sostituito dall’art. 4, comma 1, della legge 14 giugno 1990, n. 158 (Norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni), e successivamente modificato dall’art. 4 del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 1990, n. 403 – secondo cui, «in caso di provvedimenti o atti già assoggettati a tassa di concessione regionale di ammontare diverso in ciascuna regione, l’ammontare del tributo da indicare nella nuova tariffa sarà pari al 90 per cento del tributo di ammontare più elevato». Tuttavia, secondo lo stesso giudice rimettente, il legislatore delegato avrebbe poi superato l’indicato limite, prevedendo, al n. 16 della tariffa delle tasse sulle concessioni regionali, sempre per le aziende faunistico-venatorie, una soprattassa di lire 100 per ogni 100 lire di tassa dovuta, non correlata ad alcun presupposto diverso da quello dell’obbligo di pagamento della tassa e non giustificata da alcuna peculiare nuova disciplina del tributo. Per la Commissione tributaria provinciale, il legislatore delegato avrebbe così determinato, al di là dei nomina iuris impiegati di “tassa” e “soprattassa”, un ammontare complessivo della tassa di «lire 12.130» (cioè lire 6.065 di “tassa ettariale” più lire 6.065 di “soprattassa”) per ettaro o frazione di ettaro (recte: lire 6.065 di “tassa” più lire 100 di “soprattassa” per ogni lire 100 di “tassa” dovuta), eccedente quello massimo consentito dalla legge di delegazione, pari al 90 per cento del tributo regionale più elevato, limite questo che sarebbe stato già raggiunto con la fissazione dell’ammontare di lire 6.065 quale “tassa ettariale” (secondo la terminologia impiegata dal regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016, concernente l’“Approvazione del testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia”).
2. – La questione è infondata.
2.1. – La delega legislativa conferita al Governo con l’art. 3 della legge n. 281 del 1970 – come sostituito dall’art. 4, comma 1, della legge n. 158 del 1990 e successivamente modificato dall’art. 4 del decreto-legge n. 310 del 1990, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 403 del 1990 – stabilisce che, «in caso di provvedimenti o atti già assoggettati a tassa di concessione regionale di ammontare diverso in ciascuna regione, l’ammontare del tributo da indicare nella nuova tariffa sarà pari al 90 per cento del tributo di ammontare più elevato, e comunque non inferiore al tributo di ammontare meno elevato».
2.2. – Con l’art. 1 del decreto legislativo n. 230 del 1991, il legislatore delegato ha approvato la tariffa delle tasse sulle concessioni regionali prevista dall’art. 3 della legge n. 281 del 1970, come sostituito dall’art. 4 della legge n. 158 del 1990, stabilendo, al n. 16 dell’annessa tariffa, l’ammontare di lire 6.065 per la tassa di rilascio della concessione di costituzione di «azienda faunistico-venatoria, per ogni ettaro o frazione di esso», soggiungendo, con apposita «nota», che «per le aziende faunistico-venatorie per ogni 100 lire di tassa è dovuta una soprattassa di lire 100, che dovrà essere versata contestualmente alla tassa».
2.3. – La Commissione tributaria muove dall’erroneo presupposto che l’ammontare di lire 6.065 per ettaro o frazione di ettaro, fissato con la norma denunciata quale nuovo importo della tassa sulle concessioni regionali per le aziende faunistico-venatorie, costituisca già il 90 per cento del tributo regionale più elevato precedentemente vigente.
Come invece risulta anche dalle informazioni fornite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri a séguito dei provvedimenti istruttori emessi da questa Corte (ordinanze del 10 aprile 2002 e del 2 luglio 2003), l’ammontare più elevato tra le tasse sulle concessioni regionali per le aziende faunistico-venatorie vigenti nelle diverse regioni era, al momento dell’emanazione del decreto legislativo 22 giugno 1991, n. 230, quello stabilito dalla legge della Regione Liguria 6 dicembre 1990, n. 35 (Adeguamento delle tasse sulle concessioni regionali di cui alla tariffa allegata alla legge regionale 15 giugno 1981 n. 21 e variazione dell’aliquota della tassa automobilistica regionale di cui alla legge regionale 27 dicembre 1971 n. 2), pari a lire 21.000 per ettaro o frazione di ettaro (titolo II; voce n. 16). Ne consegue che al legislatore delegato era consentito fissare l’ammontare del nuovo tributo entro il limite massimo di lire 18.900 (pari al 90% di lire 21.000) per ettaro o frazione di ettaro, importo non superato con la norma denunciata neppure ove, seguendo l’impostazione del giudice rimettente, si considerino la tassa e la soprattassa in esame come un tributo unitario e, quindi, si sommi alla tassa di lire 6.065 per ettaro o frazione di ettaro la soprattassa di lire 100 per ogni 100 lire di tassa dovuta.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto legislativo 22 giugno 1991, n. 230 (Approvazione della tariffa delle tasse sulle concessioni regionali ai sensi dell’art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281, come sostituito dall’art. 4 della legge 14 giugno 1990, n. 158), sollevata, in riferimento agli artt. 70 e 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Bari, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2005.
Fernanda CONTRI, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2005.