Ordinanza n. 74 del 2005

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ORDINANZA N. 74

ANNO 2005

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-  Fernanda                             CONTRI                                      Presidente

-   Guido                                 NEPPI MODONA                        Giudice

-   Piero Alberto                      CAPOTOSTI                                       "

-  Annibale                              MARINI                                              "

-  Franco                                 BILE                                                    "

-  Giovanni  Maria                  FLICK                                                "

-   Francesco                           AMIRANTE                                       "

-   Ugo                                    DE SIERVO                                       "

-   Romano                              VACCARELLA                                 "

-   Paolo                                  MADDALENA                                  "

-   Alfio                                   FINOCCHIARO                                "

-   Alfonso                              QUARANTA                                      "

-  Franco                                 GALLO                                               "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89  (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), promosso con ordinanza dell’11 novembre 2003 dalla Corte d’appello di Genova sul ricorso proposto da Giuseppe Galardi contro il Ministero della giustizia, iscritta al n. 1191 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visti l’atto di costituzione di Giuseppe Galardi nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 14 dicembre 2004 il Giudice relatore Franco Bile;

uditi l’avvocato Fabio Lorenzoni per Giuseppe Galardi e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che – chiamata a pronunciarsi su una domanda di condanna del Ministero della giustizia alla corresponsione dell’equo indennizzo per irragionevole durata di un processo civile celebratosi davanti al Tribunale di Firenze – la Corte d’appello di Genova, con ordinanza emessa l’11 novembre 2003, ha sollevato, in riferimento agli articoli 24 e 101 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), «nella parte in cui subordina l’ammissibilità della domanda all’osservanza del termine decadenziale di sei mesi, decorrente “dal momento in cui la decisione, che conclude il procedimento, è divenuta definitiva”»;

che – essendo stata eccepita dall’Amministrazione resistente la decadenza dell’attore dalla domanda, proposta un anno e quattro mesi dopo la pronuncia conclusiva del giudizio di merito, ed essendo rimasta senza riscontro la richiesta diretta al Tribunale di Firenze in ordine all’eventuale proposizione di gravame avverso la sentenza di primo grado, e alla conseguente annotazione ex art. 123 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile – la rimettente osserva che la sentenza civile ritualmente depositata, se notificata, diviene definitiva se non è impugnata nei trenta giorni dalla notifica ai sensi dell’art. 325 del codice di procedura civile ovvero, se non notificata, dopo la scadenza del termine di un anno dal deposito ai sensi del successivo art. 327; e che, tuttavia, l’esito dell’alternativa, affidata ad una scelta discrezionale della parte, non consente alcuno strumento di verifica della notificazione della sentenza e, di conseguenza, della decorrenza del termine breve per la proposizione di eventuale gravame;

che – affermata la non fondatezza dell’assunto difensivo dell’Amministrazione resistente, secondo cui tale incongruenza potrebbe essere superata assumendo come termine a quo il momento in cui è pronunciata la decisione che conclude definitivamente il procedimento – la Corte rimettente perviene alla conclusione che il dies a quo da cui decorre il termine decadenziale di sei mesi previsto dalla norma impugnata coincide col momento in cui il provvedimento conclusivo del procedimento (e non di un suo semplice grado) diviene definitivo, in quanto non più soggetto a impugnazione ordinaria;

che, però, nell’ipotesi di sentenza civile, tale momento non è conoscibile dalla parte cui pure la legge attribuisce il potere di paralizzare l’azione avversaria attraverso l’esercizio del potere di eccezione, né dal giudice investito del dovere d’ufficio di verificare l’ammissibilità della domanda, e neppure, al limite, dalla stessa parte ricorrente nel giudizio di equa riparazione (cui, secondo la Corte rimettente, non incombe l’onere di dimostrare la tempestività della domanda);

che pertanto la norma “sembra” alla rimettente in contrasto col diritto della parte di difendersi in giudizio attraverso l’esperimento degli strumenti processuali all’uopo apprestati dalla legge (art. 24 della Costituzione) e con quello speculare che impone al giudice di assicurare alle parti la concreta praticabilità degli istituti processuali, alla cui osservanza è formalmente tenuto (art. 101 della Costituzione);

che nel giudizio di costituzionalità si è costituito il ricorrente nel processo a quo, concludendo per la non fondatezza della questione, giacché la Corte d’appello rimettente ben avrebbe potuto, sulla scorta dell’interpretazione data alla norma impugnata, rigettare l’eccezione proposta dall’Amministrazione resistente, ovvero per l’inammissibilità, in quanto la medesima Amministrazione non contesta affatto che la sentenza non sia stata notificata e che, quindi, sia stato preso in considerazione, per il calcolo della decorrenza, il termine lungo per l’impugnazione;

che è intervenuto, altresì, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di non fondatezza della questione, in quanto la rimettente avrebbe potuto interpretare la norma censurata nel senso che – ove non si ritenesse onere dell’attore dare la prova della non intervenuta notifica della sentenza civile e dunque della tempestività della domanda di equa riparazione – il calcolo dei sei mesi si opera dal deposito della sentenza.

Considerato che la Corte d’appello rimettente – che pure muove dalla premessa secondo cui l’unica possibile lettura della norma impugnata è nel senso che il momento iniziale, da cui decorre il termine di decadenza dalla domanda di equo indennizzo previsto dalla legge n. 89 del 2001, coincide col momento in cui il provvedimento conclusivo del procedimento (e non di un suo semplice grado) è divenuto definitivo, in quanto non più soggetto ad impugnazione ordinaria – ritiene la norma stessa in contrasto con gli evocati parametri in quanto, nel processo civile, per accertare la definitività della sentenza pubblicata mediante deposito (che, in ragione di una libera scelta di parte, diviene definitiva, se notificata, qualora non sia impugnata nei trenta giorni dalla notifica ai sensi dell’art. 325 del codice di procedura civile o, se non notificata, alla scadenza del termine di un anno dal deposito ai sensi del successivo art. 327) non esisterebbe alcuno strumento di verifica dell’avvenuta notificazione della sentenza e, quindi, della decorrenza del termine breve per la proposizione dell’eventuale gravame;

che, peraltro, l’enunciazione di tale dubbio di costituzionalità risente dell’omesso adempimento – da parte della rimettente – dell’onere di dare, se possibile, una lettura conforme a Costituzione della norma impugnata;

che, infatti, la Corte d’appello di Genova non considera gli ulteriori ausilii ermeneutici desumibili dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’onere di provare la sussistenza della condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione richiesta dalla norma censurata incombe alla parte istante, e l’eventuale decadenza è rilevabile d’ufficio dal giudice; né considera come l’art. 3, comma 5, della medesima legge n. 89 del 2001, anche a tali fini, preveda tra l’altro che «le parti hanno facoltà di richiedere che la corte disponga l’acquisizione in tutto o in parte degli atti e dei documenti del procedimento in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all’articolo 2 ed hanno diritto, unitamente ai loro difensori, di essere sentite in camera di consiglio se compaiono»;

che, inoltre, quella Corte – che pure ricorda di aver richiesto senza esito al Tribunale di Firenze, davanti al quale si era svolto il giudizio cui si riferiva la richiesta di equo indennizzo, l’avviso di impugnazione di cui all’art. 123 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (secondo cui «l’ufficiale giudiziario che ha notificato un atto di impugnazione deve darne immediatamente avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata» ed il cancelliere medesimo «deve fare annotazione dell’impugnazione sull’originale della sentenza») – trascura che, ai sensi del successivo art. 124, «a prova del passaggio in giudicato della sentenza il cancelliere certifica, in calce alla copia contenente la relazione di notificazione, che non è stato proposto, nei termini di legge, appello o ricorso per cassazione, né istanza di revocazione per i motivi di cui ai numeri 4) e 5) dell’art. 395 del codice» (primo comma), e «ugualmente il cancelliere certifica in calce alla copia della sentenza che non è stata proposta impugnazione nel termine previsto dall’art. 327 del codice» (secondo comma);

che, in conclusione, la rimettente, nel dubitare della legittimità costituzionale della norma, non ha esaminato – con riguardo all’intero contesto normativo di sistema ed all’elaborazione giurisprudenziale in materia – la possibilità di fornire di essa un’interpretazione diversa da quella sulla cui base la questione è stata prospettata;

che, pertanto, la questione – in quanto conseguentemente carente di adeguata motivazione sulla non manifesta infondatezza – deve essere dichiarata manifestamente inammissibile (v. ordinanza n. 215 del 2004).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

          dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 101 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Genova, con l’ordinanza in epigrafe.

     Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2005.

F.to:

Fernanda CONTRI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11  febbraio 2005.