Sentenza n. 67 del 2005

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ORDINANZA N. 67

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Valerio                                  ONIDA                                             Presidente

-  Carlo                                      MEZZANOTTE                                  Giudice

-  Guido                                    NEPPI MODONA                                    “

-  Piero Alberto                         CAPOTOSTI                                             “

-  Annibale                                MARINI                                                    “

-  Franco                                   BILE                                                          “

-  Giovanni Maria                     FLICK                                                     “

-  Francesco                              AMIRANTE                                             “

-  Ugo                                       DE SIERVO                                             “

-  Romano                                 VACCARELLA                                       “

-  Paolo                                     MADDALENA                                        “

-  Alfio                                      FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso                                QUARANTA                                            “

-  Franco                                  GALLO                                                    “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), promosso con ordinanza del 20 gennaio 2003 della Corte di appello di Venezia nel procedimento di reclamo tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e Santo Marino Scolari ed altri, iscritta al n. 183 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2003.

 

  Visti l’atto di costituzione di Marisa Nebbia, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

  udito nell’udienza pubblica del 30 novembre 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

 

  uditi l’avvocato Andrea Pasqualin per Marisa Nebbia e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

  Ritenuto che la Corte di appello di Venezia – chiamata a giudicare del reclamo proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri avverso il decreto del Tribunale ordinario di Venezia in data 5 novembre 2002, con il quale era stata dichiarata ammissibile la domanda, proposta da Santo Marino Scolari nei confronti del reclamante, per il risarcimento dei danni subiti per effetto di “comportamenti, atti e provvedimenti” posti in essere da magistrati componenti il Tribunale per i minorenni di Brescia nell’esercizio delle loro funzioni – solleva, con ordinanza del 20 gennaio 2003, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), nella parte in cui «non prevede la facoltà di proporre reclamo avverso il decreto, adottato ai sensi del primo comma di detto articolo, che dichiari l’ammissibilità della domanda», in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

 

  che la Corte rimettente premette che la norma denunciata va interpretata – sia per la sua letterale formulazione sia per la specialità della disciplina – nel senso che il reclamo è proponibile esclusivamente contro il decreto con il quale sia dichiarata l’inammissibilità della domanda, e non anche contro il decreto con il quale essa venga dichiarata ammissibile;

 

  che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che da essa dipende la decisione sulla ammissibilità o meno del reclamo del quale è chiamato a giudicare;

 

  che, quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte rimettente osserva che l’impossibilità, per lo Stato convenuto in giudizio e per il magistrato eventualmente intervenuto, di chiedere il riesame del provvedimento di ammissibilità costituisce violazione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., ove si consideri, da un lato, che la fase preliminare di verifica dell’ammissibilità della domanda è intesa dal “diritto vivente” come fase di “cognizione piena e definitiva” in ordine ai presupposti e ai termini dell’azione (di cui agli artt. 2, 3 e 4 della medesima legge n. 117 del 1988) e di cognizione sommaria del merito, in termini di non manifesta infondatezza ex actis, e, dall’altro lato, che la dichiarazione di ammissibilità della domanda comporta l’ulteriore effetto dell’obbligatorio esercizio da parte del Procuratore generale presso la Corte di cassazione dell’azione disciplinare nei confronti del magistrato, per i fatti che hanno dato causa all’azione di risarcimento (art. 9 della legge n. 117 del 1988);

 

  che, sotto altro profilo, il diverso trattamento che la norma denunciata riserva alle parti del processo, consentendo solo all’attore di proporre reclamo contro il decreto dichiarativo dell’inammissibilità, si risolve in una squilibrata attribuzione dei mezzi di tutela, che viola l’art. 3 Cost., non risultando tale disparità giustificata dalla particolarità della situazione, per essere tutte le parti – e non solo quella che chiede il risarcimento – portatrici di un pari interesse al corretto funzionamento del “filtro” previsto dalla norma in questione;

 

  che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità della questione, in quanto, per quel che concerne la prospettata violazione dell’art. 24 Cost. in relazione al procedimento disciplinare, il magistrato chiamato a rispondere in sede disciplinare non è la parte ricorrente in sede di reclamo e, peraltro, la doglianza si appunta su una norma – l’art. 9 della legge n. 117 del 1998 (che prevede l’obbligatorio esercizio dell’azione disciplinare in caso di dichiarazione di ammissibilità della domanda risarcitoria) – della quale non deve farsi applicazione nel giudizio a quo;

 

  che la questione è, a giudizio dell’Avvocatura generale dello Stato, anche infondata, in quanto la norma denunciata sottopone ad uno speciale regime solo alcuni dei decreti di inammissibilità, ma non esclude l’applicabilità della disciplina generale dell’art. 739 del codice di procedura civile a tutti gli altri decreti di ammissibilità o inammissibilità;

 

  che, a giudizio dell’Avvocatura, ove volesse seguirsi l’opposta interpretazione, fatta propria dal giudice rimettente, non potrebbe, comunque, ravvisarsi l’incostituzionalità della norma impugnata né con riguardo all’art. 3 Cost., poiché – come è stato chiarito dalla Corte di cassazione – «il provvedimento di ammissibilità della domanda ha carattere solo incidentale nel giudizio di merito», né con riguardo all’art. 24 Cost., dal momento che fin dalla contestazione dell’addebito il magistrato è posto in grado di svolgere compiutamente ogni difesa;

 

  che è intervenuta, altresì, la dottoressa Marisa Nebbia, giudice del Tribunale per i minorenni di Brescia, già intervenuta nel giudizio dinanzi al Tribunale ordinario di Venezia, la quale ha concluso, in via principale, per la infondatezza della questione, ben potendo ritenersi che, nulla prevedendo l’art. 5 della legge n. 117 del 1988 circa la reclamabilità del decreto che dichiari l’ammissibilità della domanda risarcitoria, tale provvedimento sia assoggettabile al reclamo previsto, in via generale avverso i provvedimenti camerali, dall’art. 739 cod. proc. civ.;

 

  che, in via subordinata, la medesima interventrice ha concluso per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma denunciata, ove interpretata nel senso della irreclamabilità del decreto di ammissibilità della domanda, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., sotto il profilo, rispettivamente, della irragionevole disparità di trattamento tra le parti e dell’ingiustificato sacrificio che subirebbe, con la negazione di una immediata revisione della preliminare valutazione di ammissibilità, il diritto di agire dello Stato, anche in relazione a quanto statuito dalla Corte costituzionale (sentenza n. 253 del 1994) circa l’irragionevolezza della preclusione di un riesame della questione preliminare da parte di un giudice diverso da quello che ha già pronunciato il provvedimento reclamato;

 

  che, in prossimità dell’udienza pubblica, l’intervenuta Marisa Nebbia ha depositato memoria, nella quale riprende e sviluppa ulteriormente le argomentazioni già svolte nell’atto di intervento a sostegno delle sue conclusioni, sottolineando, in particolare, che la giurisprudenza di legittimità recentemente si è andata sempre più orientando nel senso di attribuire al giudizio di ammissibilità ex art. 5 della legge n. 117 del 1988 carattere di “cognizione piena e definitiva” quanto alla configurabilità, nei fatti contestati, dei requisiti e delle condizioni, cui la legge subordina la responsabilità civile dei magistrati;

 

  che tale orientamento – a suo avviso – conforta la tesi interpretativa che vuole soggetto a reclamo dinanzi alla corte di appello anche il decreto che dichiara ammissibile la domanda risarcitoria, in applicazione della disciplina generale dei provvedimenti pronunciati in camera di consiglio (art. 739 cod. proc. civ.);

 

  che, ove si ritenesse inaccoglibile tale interpretazione, non si potrebbe negare fondamento alla sollevata questione di legittimità costituzionale, sulla base dei principî altre volte affermati dalla Corte costituzionale (in specie, nella sentenza n. 253 del 1994 e, già prima, nella sentenza n. 70 del 1965 e poi, ultimamente, nella sentenza n. 493 del 2002);

 

  che, infatti, l’esclusione della reclamabilità del decreto «determinerebbe una disparità di trattamento ed una lesione del diritto di agire in giudizio prive di razionale giustificazione, non essendovi ragione alcuna, nella fattispecie, per limitare l’operatività del principio della parità delle parti e, oltre tutto, per confiscare ad una di esse la possibilità di far decidere, sulla preliminare questione di ammissibilità, un giudice diverso da quello che ha già pronunciato sull’argomento».

 

  Considerato che la Corte di appello di Venezia dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), nella parte in cui «non prevede la facoltà di proporre reclamo avverso il decreto, adottato ai sensi del primo comma di detto articolo, che dichiari l’ammissibilità della domanda»;

 

  che la questione – sollevata dal rimettente sul presupposto, correttamente desunto dall’inequivoca lettera della norma, della reclamabilità del solo decreto di inammissibilità – è manifestamente infondata;

 

  che, infatti, la previsione dell’impugnabilità del provvedimento secundum eventum litis non può ritenersi irragionevole, né, attesa la specialità della disciplina, con riguardo al regime della reclamabilità previsto in via generale dall’art. 739 del codice di procedura civile, né adottando come tertium comparationis il procedimento di cui all’art. 274 del codice civile, dal momento che quest’ultimo è costruito dal legislatore come giudizio autonomo e pregiudiziale rispetto al successivo giudizio di merito, laddove l’art. 5 della legge n. 117 del 1988 prevede come interna ad un unitario giudizio la fase dedicata alla delibazione della ammissibilità dell’azione;

 

  che, risolvendosi il provvedimento di inammissibilità in un rigetto della domanda (allo stato degli atti ovvero definitivo: cfr., rispettivamente, le ipotesi di cui all’art. 4 e quelle di cui agli artt. 2 e 3, nonché di manifesta infondatezza), è del tutto evidente la necessità di prevederne non solo la reclamabilità, ma anche la ricorribilità per cassazione (art. 111, settimo comma, Cost.), laddove avverso il provvedimento di ammissibilità – che ha l’unico effetto di consentire la prosecuzione del giudizio di merito ed è intrinsecamente inidoneo a pregiudicare la decisione della causa (art. 279, quarto comma, cod. proc. civ.) – ben poteva il legislatore, nella sua discrezionalità, prevedere l’impugnabilità immediata ovvero escluderla;

 

  che, pertanto, la scelta operata dal legislatore – vincolata da ineludibili principî costituzionali (artt. 3, 24 e 111 Cost.) riguardo al provvedimento di inammissibilità – si sottrae ad ogni censura quanto al regime del provvedimento che dichiara ammissibile l’azione, non solo in riferimento all’art. 3 Cost. (sia sotto il profilo della ragionevolezza che sotto quello della disparità di trattamento), ma anche in riferimento all’art. 24 Cost., dal momento che da essa discende, da un lato, che il “filtro” costituito dalla previa delibazione dell’ammissibilità della domanda non si trasforma – come accadrebbe ove fosse consentita l’impugnabilità immediata – in un (potenzialmente grave) ostacolo all’esercizio del diritto di azione garantito dal medesimo art. 24 Cost. (e in causa di irragionevole durata del processo: art. 111, secondo comma, Cost.) e, dall’altro lato, che il provvedimento è assoggettato ad un regime – analogo a quello del provvedimento sull’estinzione del giudizio: art. 308 cod. proc. civ. – che non preclude, successivamente, alcuna attività difensiva alla parte soccombente ed alcun riesame delle questioni provvisoriamente decise dal decreto di ammissibilità;

 

  che “il carattere pieno e definitivo della cognizione in ordine ai presupposti e ai termini dell’azione di cui agli artt. 2, 3 e 4 della legge”, ripetutamente affermato dalla Corte di cassazione nel sindacare la legittimità di provvedimenti dichiarativi dell’inammissibilità, è del tutto coerente con la sostanziale natura (di provvedimento di rigetto della domanda) del decreto di inammissibilità, ma certamente non vale (né mira) a precludere il riesame delle questioni esaminate e decise con il decreto di ammissibilità né nel prosieguo del giudizio né negli eventuali successivi gradi di impugnazione della sentenza.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 177 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte di appello di Venezia con l’ordinanza in epigrafe.

 

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.

Valerio ONIDA, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2005.