Ordinanza n. 58 del 2005

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ORDINANZA N. 58

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio                 ONIDA                    Presidente

- Fernanda              CONTRI                    Giudice

- Guido                  NEPPI MODONA          "

- Piero Alberto        CAPOTOSTI                  "

- Annibale               MARINI                        "

- Franco                  BILE                             "

- Giovanni Maria     FLICK                           "

- Francesco             AMIRANTE                   "

- Ugo                            DE SIERVO                          "

- Romano                      VACCARELLA                   "

- Paolo                    MADDALENA               "

- Alfio                    FINOCCHIARO             "

- Alfonso                QUARANTA                  "

- Franco                  GALLO                         "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2059 del codice civile, promosso con ordinanza del 3 marzo 2004 dal Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Jesi, nel procedimento civile vertente tra Marco Polita e Romeo Letterio, iscritta al n. 459 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, edizione straordinaria, del 3 giugno 2004.

    Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il Giudice relatore Annibale Marini.

    Ritenuto che il Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Jesi, con ordinanza del 3 marzo 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 28 e 97, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 del codice civile «nella misura in cui preclude la risarcibilità del danno non patrimoniale nascente da un fatto che non corrisponde neppure alla soglia minima per la risarcibilità individuata da Corte Cost. n. 233/03, e cioè ad una “fattispecie astratta di reato”»;

    che assume, in punto di rilevanza, il rimettente di essere investito della domanda di risarcimento dei danni all'immagine ed alla vita di relazione proposta, nei confronti di un ufficiale dei carabinieri, dal Sindaco di Jesi, il quale si duole di essere stato erroneamente indicato dal predetto ufficiale di polizia giudiziaria, in un'informativa destinata al pubblico ministero, quale possibile responsabile dei reati di cui agli artt. 323, comma primo, e 734 del codice penale, con conseguente clamore di stampa;

    che il procedimento penale è stato successivamente archiviato e che la condotta dell'ufficiale di polizia giudiziaria, da ritenersi «concausa necessaria dell'avviso di garanzia», risulterebbe – ad avviso del rimettente – connotata da colpa grave e perciò produttiva di responsabilità civile, anche ritenendo applicabili alla fattispecie, in via estensiva, le limitazioni derivanti dall'art. 23 del testo unico sugli impiegati civili dello Stato;

    che l'accoglimento della domanda attrice sarebbe tuttavia precluso dalla considerazione che, a seguito della sentenza n. 233 del 2003 della Corte costituzionale e delle sentenze della  Cassazione del 12 maggio 2003, n. 7281 e n. 7282, il diritto vivente sarebbe oggi attestato – secondo il rimettente – nel senso che il danno non patrimoniale, salve le altre ipotesi specificamente previste dalla legge, può essere risarcito solo in presenza di una condotta riconducibile ad una fattispecie almeno astratta di reato;

    che l'art. 2059 del codice civile, così individuatane la portata, si porrebbe conseguentemente in contrasto con l'art. 2 della Costituzione, che tutela i diritti inviolabili dell'uomo «tra i quali figura il diritto all'immagine»;

    che sarebbe altresì leso, sotto un duplice profilo, il principio di eguaglianza, sia in relazione alla più ampia tutela riconosciuta dall'ordinamento al danno patrimoniale, benché attinente a beni di rango costituzionale inferiore rispetto al diritto all'immagine, sia rispetto a fattispecie ugualmente lesive di diritti della persona, cui il legislatore ha ritenuto, senza particolare ragione, di assicurare una tutela privilegiata, che addirittura prescinde dalla verifica dell'elemento soggettivo (art. 2 della legge n. 117 del 1988; art. 2 della legge n. 89 del 2001);

    che la norma impugnata si porrebbe poi in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, precludendo la tutela giurisdizionale di un diritto costituzionalmente garantito, nonché con l'art. 28 della Costituzione, in quanto renderebbe esente da responsabilità civile il dipendente pubblico autore di un atto illecito;

    che sarebbe infine violato l'art. 97, primo comma, della Costituzione, poiché rimarrebbero prive di sanzione condotte contrastanti – come nella specie – con il principio di buon andamento del processo penale.

    Considerato che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 28 e 97, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 2059 del codice civile, in quanto preclude la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante da un fatto non corrispondente ad una fattispecie almeno astratta di reato;

    che il medesimo rimettente muove dalla premessa interpretativa secondo la quale tale preclusione deriverebbe, in buona sostanza, dal diritto vivente, ed in particolare dalla sentenza di questa Corte n. 233 del 2003, che avrebbe, a suo avviso, individuato nella sussistenza di una fattispecie astratta di reato la «soglia minima per la risarcibilità» del danno non patrimoniale;

    che siffatta lettura della citata sentenza n. 233 del 2003 è peraltro palesemente erronea, atteso che, in quella occasione, la Corte si è pronunciata – con sentenza interpretativa di rigetto – riguardo alla sola questione della risarcibilità del danno non patrimoniale, in conseguenza di fatto riconducibile ad una fattispecie astratta di reato, allorché la colpa sia presunta e non positivamente accertata, restando estranea alla suddetta pronuncia qualsiasi considerazione riguardo alla più generale problematica riguardante i limiti di risarcibilità del danno non patrimoniale;

    che, per altro verso, il rimettente si mostra esplicitamente consapevole dell'esistenza di un orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass., 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828) secondo cui il danno non patrimoniale è sempre risarcibile, anche a prescindere dal limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 del codice penale, allorché vengano in considerazione – come, a suo avviso, accadrebbe nel giudizio a quo – valori personali di rilievo costituzionale;

    che, sotto tale aspetto, l'ordinanza risulta, in definitiva, intrinsecamente contraddittoria, smentendo essa stessa la premessa secondo cui, per diritto vivente, il danno non patrimoniale sarebbe risarcibile solo in presenza di una fattispecie almeno astratta di reato;

    che, in ragione di tale contraddittorietà, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 del codice civile sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 28 e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Jesi, con l'ordinanza in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.

Valerio ONIDA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2005.