SENTENZA N. 53
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 170 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia), come riprodotto nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), e dell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1998), promossi con ordinanze del 16 ottobre 2003 e del 10 gennaio (n. 2 ordinanze) 2004 dal Tribunale di Messina rispettivamente iscritte ai nn. 239, 240 e 422 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 14 e 21, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto in fatto 1.– Il giudice del Tribunale di Messina designato dal Presidente del tribunale, con tre distinte ordinanze (reg. ord. nn. 239, 240 e 422 del 2004) ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 170 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia), come riprodotto nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia); in via subordinata, in riferimento allo stesso art. 76 della Costituzione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1998), come modificato dall’art. 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1999). Nelle prime due ordinanze (reg. ord. nn. 239 e 240 del 2004), il giudice premette di essere stato designato dal Presidente del tribunale per la trattazione dei ricorsi proposti avverso i decreti del Tribunale di Messina, sezione misure di prevenzione, aventi ad oggetto la liquidazione di compensi a periti. Nella terza ordinanza (reg. ord. n. 422 del 2004), il giudice premette di essere stato designato dal Presidente del tribunale per la trattazione del ricorso proposto avverso il decreto del Tribunale di Messina, prima sezione penale in composizione collegiale, avente ad oggetto la liquidazione dell’indennità di custodia di una autovettura sequestrata nel procedimento penale.Il giudice rimettente, rilevato in tutte le ordinanze che – ai sensi dell’art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002 – è possibile proporre opposizione avverso i suddetti decreti al Presidente dell’ufficio giudiziario competente, che il processo è quello speciale previsto per gli onorari di avvocato e che l’ufficio procede in composizione monocratica sempre, anche nelle ipotesi, come nella specie, in cui il provvedimento sia stato adottato da un giudice collegiale, sostiene che i giudizi non possano essere definiti indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalità.
Il giudice si sofferma poi sulla non manifesta infondatezza, con identica motivazione nelle tre ordinanze.
Sottolineato che la normativa previgente (art. 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319 «Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria») prevedeva che il ricorso dovesse essere presentato innanzi al tribunale, da ritenersi ragionevolmente in composizione collegiale atteso che era l’unica forma esistente al momento dell’emanazione della legge, o alla corte d’appello, egli sostiene che il legislatore delegato, avendo trasferito la competenza dal tribunale in composizione collegiale al tribunale in composizione monocratica, ha introdotto una innovazione radicale, violando i limiti della delega. A tal fine richiama l’art. 7 della legge n. 50 del 1999, anche nella parte in cui rinvia all’allegato 1, e, tra i criteri del comma 2, si sofferma su quello che prevede il «coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo». Deduce che il legislatore delegato non ha rispettato il criterio del coordinamento formale, e che l’innovazione non può essere ricondotta al potere di apportare le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica, nemmeno alla luce del richiamo – contenuto nella relazione governativa – al decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), che ha introdotto il giudice unico. In proposito sottolinea che la procedura speciale prevista per gli onorari di avvocato (art. 29 della legge 15 giugno 1942, n. 794 «Onorari di avvocato e di procuratore per le prestazioni giudiziali in materia civile»), richiamata dall’art. 170 impugnato, prevede espressamente che il tribunale proceda in composizione collegiale.
Sempre con identica motivazione nelle tre ordinanze, il giudice a quo deduce inoltre, in via subordinata, il contrasto con l’art. 76 della Costituzione dell’art. 7 della legge delega, nella parte in cui non ha previsto i limiti e l’oggetto della delega in una materia, quale quella riguardante la competenza del giudice, coperta da riserva assoluta di legge ai sensi dell’art. 25 della Costituzione.
2.– Nel giudizio introdotto con l’ordinanza di rimessione iscritta al n. 239 del 2004 del relativo registro, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Rileva innanzitutto l’Avvocatura che l’oggetto della delega è definito, come risulta dall’allegato 1, della legge n. 50 del 1999, il quale, richiamando i regi decreti 23 dicembre 1865, n. 2700 e n. 2701 (cosiddetti campione civile e penale) per il riordino della materia delle spese di giustizia, ricomprende anche il procedimento per la liquidazione del compenso degli ausiliari del giudice. Aggiunge che la norma previgente (art. 11 della legge n. 319 del 1980), riordinata e abrogata dal testo unico, prevede che sul reclamo decide il tribunale, con la conseguenza che, se è vera la considerazione che al tempo della sua emanazione questo era quello collegiale, tuttavia nulla autorizza a leggere tale espressione come tribunale collegiale, dovendo piuttosto essere letta come tribunale nella sua ordinaria composizione. Atteso che con la riforma del 1998 la composizione ordinaria del tribunale è quella monocratica, mentre costituisce eccezione quella collegiale, ben ha fatto, secondo la difesa erariale, il legislatore delegato a prevedere, per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa riordinata, la composizione monocratica in conformità al principio generale, non ravvisandosi ragioni per le quali appaia più opportuno il ricorso all’organo collegiale. Infine, conclude l’Avvocatura, il richiamo fatto dall’art. 11 previgente all’art. 29 della legge n. 794 del 1942 vale solo ai fini di individuare il rito e non l’organo che decide, atteso che quella procedura – relativa agli onorari degli avvocati – poteva e può svolgersi anche dinanzi al giudice monocratico (prima pretore, oggi giudice di pace).
3.– Anche negli altri due giudizi (reg. ord. nn. 240 e 422), è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
Secondo la difesa erariale la questione è manifestamente infondata alla luce dell’art. 7, comma 2, della legge n. 50 del 1999, in particolare della lettera c), che prevede l’esplicita indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni, nonché delle pronunce della Corte costituzionale in materia (sentenza n. 220 del 2003).
Considerato in diritto1.– Il giudice del Tribunale di Messina, designato dal Presidente del tribunale, con tre distinte ordinanze, ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale dell’art. 170 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia), come riprodotto nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), in riferimento all’art. 76 della Costituzione, per avere il legislatore delegato – al comma 2 del suddetto articolo – trasferito la competenza dal giudice in composizione collegiale al giudice in composizione monocratica, così introducendo una innovazione radicale senza rispettare i limiti della delega.
Lo stesso giudice ha sollevato, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge di delega 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1998), come modificato dall’art. 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1999), in riferimento all’art. 76 della Costituzione, non prevedendo la norma impugnata i limiti e l’oggetto della delega in una materia, quale quella riguardante la competenza del giudice, coperta da riserva assoluta di legge ai sensi dell’art. 25 della Costituzione.
In considerazione dell’identità delle questioni, i giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia.
2.– Le questioni sono infondate.
2.1.– L’opposizione avverso il provvedimento di liquidazione dei compensi agli ausiliari del magistrato era disciplinata dall’art. 11, commi quinto e sesto, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria) il quale prevedeva il ricorso dinanzi al tribunale o alla corte di appello, ai quali apparteneva il giudice o presso cui esercitava le sue funzioni il pubblico ministero, ovvero al tribunale nel cui circondario aveva sede il pretore che aveva emesso il decreto (comma quinto) e stabiliva che il procedimento era regolato dall’articolo 29 della legge 15 giugno 1942, n. 794 («Onorari di avvocato e di procuratore per le prestazioni giudiziali in materia civile»). Il giudizio di opposizione si svolgeva, quindi, in camera di consiglio, secondo la procedura per la liquidazione degli onorari agli avvocati, dinanzi ad un giudice in composizione collegiale.
La norma impugnata – che fa parte del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, emanato sulla base della delega conferita al Governo dall’art. 7 della legge n. 50 del 1999, come modificato dall’art. 1 della legge n. 340 del 2000 – pur conservando il rinvio al procedimento speciale previsto per gli onorari di avvocato, anche se nella forma indiretta, prevede che l’ufficio giudiziario proceda in composizione monocratica. Secondo quanto risulta dalla relazione governativa alla norma di cui si tratta – strettamente collegata a quella concernente l’art. 99 dello stesso testo unico – il legislatore delegato ha introdotto la composizione monocratica in luogo di quella collegiale al fine di adeguare la disciplina del processo in questione alla riforma, operata dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), in base alla quale il giudice monocratico è la regola, mentre quello collegiale costituisce un’eccezione. Adeguamento che, sempre secondo l’intenzione del legislatore delegato, appariva idoneo ad evitare che una procedura semplificata in origine, nel contesto in cui la regola generale era la composizione collegiale, andasse successivamente nella direzione opposta a quella seguita dal legislatore della riforma.
Ad avviso del remittente sarebbe violato l’art. 76 della Costituzione, non potendosi ricondurre l’innovazione nell’ambito né del coordinamento formale, né delle modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica – ai sensi della lettera d), comma 2, dell’art. 7 della legge delega – alla luce del richiamo al d.lgs. n. 51 del 1998 che ha introdotto il giudice unico, contenuto nella relazione governativa.
La censura è priva di fondamento. Come già affermato nella sentenza (in pari data) relativa ad analoga questione di costituzionalità concernente l’art. 99 dello stesso decreto legislativo n. 113 del 2002, tra i criteri direttivi individuati nella delega assume rilievo proprio quello invocato dal remittente. Se l’obiettivo è quello della coerenza logica e sistematica della normativa, il coordinamento non può essere solo formale, come non ha mancato di sottolineare anche il Consiglio di Stato nel parere espresso nel corso della procedura di approvazione del testo unico.
Inoltre, se l’obiettivo è quello di ricondurre a sistema una disciplina stratificata negli anni, con la conseguenza che i principî sono quelli già posti dal legislatore, non è necessario che sia espressamente enunciato nella delega il principio già presente nell’ordinamento, essendo sufficiente il criterio del riordino di una materia delimitata. Entro questi limiti il testo unico poteva innovare per raggiungere la coerenza logica e sistematica e, come nel caso di specie, prevedere la composizione monocratica, anziché collegiale del giudice, applicando al processo in questione il principio generale affermato con la riforma del 1998, al fine di rendere la disciplina più coerente nel suo complesso e in sintonia con l’evolversi dell’ordinamento.
Né a diversa conclusione può indurre l’art. 50-bis cod. proc. civ. (inserito dall’art. 56 del decreto legislativo n. 51 del 1998), il quale, nell’elencare in via di eccezione, rispetto al successivo art. 50-ter, le cause in cui il tribunale decide in composizione collegiale, richiama (secondo comma) i procedimenti in camera di consiglio disciplinati dagli articoli 737 e seguenti del codice di rito, salvo che sia altrimenti disposto. Infatti, il procedimento camerale disciplinato dall’art. 29 della legge n. 794 del 1942, al quale rinvia la norma impugnata, non rientra tra quelli di cui agli articoli 737 e seguenti del codice. A tal fine è sufficiente considerare che il provvedimento non è impugnabile, mentre l’art. 739 cod. proc. civ. prevede espressamente il reclamo.
2.2.– E’ parimenti infondata la questione di costituzionalità dell’art. 7 della legge di delega, sollevata in via subordinata.
Il testo unico in oggetto trova fondamento nella delega conferita al Governo dall’art. 7, commi 1 e 2, della legge n. 50 del 1999, come modificato dall’art. 1 della legge n. 340 del 2000. Ai fini che qui interessano, questa norma prevede l’emanazione di testi unici intesi a riordinare le materie elencate nelle leggi annuali di semplificazione (comma 1, lett. b) mediante il richiamo dei relativi provvedimenti normativi; materie che, per il testo unico in tema di spese di giustizia, risultano dall’allegato 1 della stessa legge, numeri 9, 10 e 11, attraverso l’individuazione, tra i tanti, dei cosiddetti campione penale e civile (n. 10), che regolavano anche le spese concernenti gli ausiliari del giudice. La materia oggetto di riordino risulta, quindi, delimitata dalla normativa richiamata negli allegati, mentre i limiti di intervento del legislatore delegato sono segnati dai principî e criteri direttivi fissati dall’art. 7, comma 2.
Quanto all’evocazione dell’art. 25 della Costituzione, effettuata dal remittente per rafforzare la dedotta violazione dell’art. 76 della Costituzione in riferimento a materia che, concernendo la competenza del giudice, sarebbe coperta da riserva assoluta di legge, è sufficiente sottolineare che la norma impugnata disciplina la composizione dell’organo giudicante e non certamente la competenza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 170 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia), come riprodotto nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal giudice del Tribunale di Messina designato dal Presidente del tribunale, con le ordinanze in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1998), come modificato dall’art. 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1999), sollevata in via subordinata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal giudice del Tribunale di Messina designato dal Presidente del tribunale, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.
Valerio ONIDA, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2005.