Ordinanza n. 10 del 2005

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ORDINANZA N. 10

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-  Valerio                                   ONIDA                                  Presidente

-  Carlo                                      MEZZANOTTE                    Giudice

-  Guido                                     NEPPI MODONA                     "

-  Piero Alberto                         CAPOTOSTI                              "

-  Annibale                                MARINI                                     "

-  Franco                                    BILE                                           "

-  Giovanni Maria                      FLICK                                        "

-  Francesco                               AMIRANTE                               "

-  Romano                                 VACCARELLA                        "

-  Paolo                                      MADDALENA                          "

-  Alfio                                      FINOCCHIARO                        "

-  Alfonso                                  QUARANTA                             "

-  Franco                                    GALLO                                      "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 4 febbraio 2004 relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’articolo 68, comma 1 della Costituzione, delle opinioni espresse dall’onorevole Vittorio Sgarbi nei confronti dell’avvocato Giuseppe Lucibello, promosso dal Tribunale di Milano, sezione settima penale, con ricorso depositato il 10 agosto 2004 e iscritto al n. 271 del registro ammissibilità conflitti.

Udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2004 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto che, con ordinanza-ricorso del 29 aprile 2004, il Tribunale di Milano, settima sezione penale, ha promosso conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera adottata il 4 febbraio 2004, con la quale – in difformità rispetto alla proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere – è stato dichiarato che i fatti per i quali il deputato Vittorio Sgarbi è sottoposto a procedimento penale per il reato di diffamazione nei confronti dell’avvocato Giuseppe Lucibello riguardano opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

che il Tribunale espone che l’on. Sgarbi deve rispondere di diffamazione, perché, nel corso della trasmissione televisiva “Sgarbi quotidiani” andata in onda su “Canale 5” il 17 ottobre 1996 offendeva la reputazione dell’avvocato Lucibello, affermando che «questi si sarebbe reso responsabile di abusi, poiché quale difensore di un indagato arrestato ed essendo egli stesso indagato per reati connessi, aveva la libertà, grazie all’amicizia con il dott. Di Pietro, di incontrare liberamente l’indagato in carcere, di modo che aveva la possibilità di “incontrare” Di Pietro e quindi dire a Di Pietro quello che aveva detto Pacini Battaglia e quando Pacini ha detto qualcosa che lo mette in discussione, di cambiare la versione: “sbancato, stancato”»;

che il giudice aggiunge di aver trasmesso, il 20 novembre 2003, gli atti alla Camera dei deputati ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge 20 giugno 2003, n. 140, e che la Camera ha deliberato nel senso che i fatti per cui è processo concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni;

che il Tribunale sostiene che al fatto per cui è processo non è applicabile l’art. 68, primo comma, della Costituzione, e che è, quindi, viziata la delibera del 4 febbraio 2004;

che, in particolare, rileva che l’art. 3 della legge n. 140 del 2003 non ha innovato la portata precettiva dell’art. 68 Cost. e che le dichiarazioni extra moenia, che non siano divulgative di una scelta politica espressa in atti funzionali – come nella specie, dove l’imputato, conduttore di una trasmissione televisiva, ha espresso giudizi lesivi dell’onore altrui, senza alcun collegamento con l’esercizio della funzione parlamentare – cadono al di fuori del perimetro segnato dai suddetti articoli, richiamando, a conferma, la relazione della Giunta e l’intervento in aula del relatore per la maggioranza secondo cui non è emerso alcun aggancio tra le critiche e l’attività parlamentare dell’on. Sgarbi e nelle affermazioni rese in trasmissione non si intravede alcun contenuto politico;

che, nel riprendere le argomentazioni di alcune sentenze della Corte costituzionale, il giudice sottolinea che è stato riaffermato il principio secondo cui «altro è la libertà di critica della quale tutti sono titolari, altro è la prerogativa che la Costituzione, onde preservare una sfera di libertà ed autonomia della Camere, riserva ai Parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni. Se privata del suo specifico orientamento finalistico, tale prerogativa si trasformerebbe in un inaccettabile privilegio personale a favore dei membri delle Camere» (sentenza n. 508 del 2002);

 che, ai fini dell’insindacabilità, rileva il “collegamento necessario dell’atto con le funzioni del Parlamento …, a prescindere dal suo contenuto comunicativo, che può essere il più vario, ma che in ogni caso deve essere tale da rappresentare esercizio in concreto delle funzioni …, anche se attuato in forma innominata sul piano regolamentare. Sotto questo profilo non c’è perciò una sorta di automatica equivalenza tra l’atto non previsto dai regolamenti … e l’atto estraneo …, ... giacché deve essere accertato in concreto se esista un nesso che permetta di identificare l’atto … come espressione di attività parlamentare” (sentenza n. 120 del 2004);

che il giudice, infine, si sofferma sul proprio potere di sollevare conflitto, ai sensi degli artt. 134 Cost. e 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché sulla sussistenza dei requisiti soggettivi dello stesso.

Considerato che, in questa fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale è chiamata a deliberare, senza contraddittorio, se “esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza”, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilità;

che nella fattispecie sussistono i requisiti soggettivo ed oggettivo del conflitto;

che, infatti, quanto al requisito soggettivo, devono ritenersi legittimati ad essere parti del presente conflitto, sia il Tribunale di Milano, settima sezione penale, in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente, per il procedimento di cui è investito, la volontà del potere cui appartiene, sia la Camera dei deputati, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la propria volontà in ordine all’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

che, quanto al profilo oggettivo, sussiste la materia del conflitto, dal momento che il ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, da parte della citata deliberazione della Camera dei deputati;

che, pertanto, esiste la materia di un conflitto, la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzioni proposto dal Tribunale di Milano, settima sezione penale, nei confronti della Camera dei deputati con l’atto indicato in epigrafe;

dispone:

a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al Tribunale di Milano, settima sezione penale, ricorrente;

b) che, a cura del ricorrente, l’atto introduttivo e la presente ordinanza siano notificati alla Camera dei deputati, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione, per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, presso la cancelleria della Corte entro il termine di venti giorni, previsto dall’art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11  gennaio 2005.

Valerio ONIDA, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2005.