ORDINANZA N. 8
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 117 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), promosso con ordinanza del 25 luglio 2003 dal Tribunale di Catanzaro, sull'istanza proposta da Galeotta Vincenzo, iscritta al n. 1062 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 2003.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 luglio 2004 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto che il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza emessa il 25 luglio 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 35, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 117 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui non prevede che il difensore designato dal giudice in sostituzione del difensore di ufficio non reperito o non comparso possa chiedere la liquidazione di spese ed onorari per l'attività professionale svolta in luogo del difensore sostituito, e ancora nella parte in cui circoscrive alla sola ipotesi di irreperibilità dell'imputato dichiarata ai sensi dell'art. 159 del codice di procedura penale la possibilità di liquidazione di spese ed onorari, senza prevedere il caso dell'imputato non più rintracciabile nei cui confronti le notificazioni vengano eseguite ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen.;
che il rimettente è investito della decisione sull'istanza di liquidazione dei compensi presentata da un difensore che ha prestato la propria opera professionale a favore di una imputata irreperibile, dopo esser stato nominato all'udienza quale sostituto del difensore di ufficio previamente designato, a seguito della constatata assenza di quest'ultimo;
che, dopo aver analiticamente riportato lo svolgimento del procedimento a quo, il rimettente osserva che nel caso sottoposto al suo esame non può trovare applicazione l'art. 116 del d.P.R. n. 115 del 2002, espressamente invocato dall'istante, in quanto il difensore non ha esperito, né ha dedotto di aver esperito, alcuna procedura per il recupero del suo credito professionale;
che, come osserva il giudice a quo, deve trovare applicazione l'art. 117 del d.P.R. citato, visto che il professionista istante non ha rivestito la qualità di difensore di ufficio dell'imputata, ma quella di “difensore designato ai sensi dell'art. 97 cod. proc. pen.”, in temporanea sostituzione del difensore originariamente nominato, non intervenuto all'udienza;
che, come osserva ancora il rimettente, l'imputata non è mai stata dichiarata formalmente irreperibile, non sussistendo i presupposti e le condizioni previste dall'art. 159 cod. proc. pen.;
che il Tribunale di Catanzaro rileva che, fuori dei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la legge accorda esclusivamente al difensore d'ufficio, «precostituito» ai sensi dell'art. 97, comma 2, cod. proc. pen., la possibilità di ottenere la liquidazione di onorari e spese a carico dell'erario, non essendo assimilabile a tale figura quella del difensore designato dal giudice, ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen.;
che, come aggiunge il rimettente, in tal senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità a sezioni unite, che ha affermato il principio secondo il quale vi è l'esigenza di assicurare la continuità dell'assistenza tecnico-giuridica e di garantire la concreta ed efficace tutela dei diritti dell'imputato, con la sostanziale equiparazione della difesa d'ufficio a quella di fiducia, attraverso l'immutabilità del difensore fino all'eventuale dispensa dall'incarico o all'avvenuta nomina fiduciaria (Corte di cassazione - sezioni unite penali, 19 dicembre 1994);
che, ad avviso del giudice a quo, a differenza del sostituto nominato dallo stesso difensore ai sensi dell'art. 102 cod. proc. pen., il quale può certamente chiedere la liquidazione del suo credito avendo agito in virtù del mandato conferitogli dal collega che lo ha delegato, il sostituto designato dal giudice ai sensi dell'art. 97, comma 4, cod. proc. pen. in temporanea e contingente sostituzione del difensore di ufficio, non è legittimato ad avvalersi dell'art. 117 del d.P.R. n. 115 del 2002, in quanto non riveste la qualità di difensore di ufficio né può agire in nome proprio per far valere un diritto altrui, stante il generale divieto di cui all'art. 81 cod. proc. civ.;
che, secondo il rimettente, l'esclusione contrasta con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., con l'effettività del diritto di difesa di cui all'art. 24, secondo comma, Cost., con il “principio retributivo del lavoro” di cui all'art. 36, primo comma, Cost. e con quello più generale di tutela del lavoro di cui all'art. 35, primo comma, Cost., poiché la prestazione professionale è identica, così come identica è la difficoltà di essere remunerato dall'imputato irreperibile, sia per il difensore di ufficio che per il difensore designato ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen.;
che, ad avviso del giudice a quo, la discriminazione appare del tutto irragionevole e lesiva del principio di eguaglianza, non potendo avere rilievo il dato formale della diversa veste processuale che il professionista assume a seguito delle modalità della sua nomina o designazione;
che, come ricorda il rimettente, l'evoluzione costituzionale del diritto di difesa ha comportato il superamento di ogni concezione meramente formale del ministero del difensore e il legislatore ordinario (come dimostrano l'art. 31 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e l'art. 18 della legge 6 marzo 2001, n. 60, che ha introdotto l'art. 32-bis disp. att. cod. proc. pen., ora trasfuso nell'art. 117 t.u. cit.) ha dimostrato di cogliere appieno il nesso tra l'effettività della difesa non fiduciaria e l'esigenza di una seria possibilità di remunerazione della stessa;
che da ciò consegue, sempre secondo il rimettente, che la mancata remunerazione della prestazione professionale rischia di comprometterne l'effettività e, di conseguenza, di vulnerare il diritto costituzionale di difesa;
che ad avviso del Tribunale di Catanzaro, tra il difensore di ufficio titolare ed il difensore designato in sostituzione del primo ex art. 97, comma, 4, cod. proc. pen., non si instaura alcun rapporto giuridicamente rilevante, dovendosi quindi escludere che il primo possa presentare istanza di liquidazione anche per le spese e gli onorari del secondo, con la conseguenza che l'opera prestata rimarrebbe senza remunerazione, con violazione degli artt. 36, primo comma, e 35, primo comma, Cost.;
che la stessa evoluzione dell'ordinamento, culminata nell'unificazione degli istituti volti a dare attuazione all'art. 24, terzo comma, della Costituzione (ordinanza n. 186 del 2002), esclude nettamente che la prestazione difensiva non fiduciaria possa essere configurata come un ufficio onorifico e non obbligatorio, come prevedeva l'abrogato regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3282 (Approvazione del testo di legge sul gratuito patrocinio), secondo una prospettiva ora ripudiata dal legislatore;
che sotto altro profilo, secondo l'ordinanza di rimessione, il riferimento all'irreperibilità contenuto nella disposizione impugnata non può intendersi che in un senso tecnico-giuridico, con la conseguenza che essa può trovare applicazione solo nel caso in cui sia intervenuta, in esito al sub-procedimento previsto dall'art. 159 cod. proc. pen., la formale dichiarazione di irreperibilità dell'imputato, come ritenuto dalla ordinanza del Tribunale di Pisa del 3-4 febbraio 2003, che ha sollevato analoga questione di legittimità costituzionale;
che, quanto a questa seconda questione, il Tribunale di Catanzaro afferma di condividere le motivazioni del precedente atto di promovimento del giudizio della Corte, precisando solo che al parametro indicato dal primo rimettente (art. 3 Cost.) vanno aggiunti, “nei termini già illustrati”, anche gli artt. 24 e 36 Cost.;
che nel giudizio di legittimità costituzionale così instaurato è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare manifestamente inammissibili e in ogni caso infondate le questioni sollevate dal Tribunale di Catanzaro;
che l'Avvocatura osserva - pur dandosi atto nell'ordinanza che il sostituto del difensore di ufficio, designato ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen., può esercitare la difesa dell'imputato per tutta la fase dibattimentale e svolgere una prestazione professionale identica, nel suo oggetto e nella sua funzione, a quella del difensore di ufficio - che il rimettente muove da una nozione formalistica della definizione di difensore d'ufficio, non considerando tale il difensore designato dal giudice in sostituzione di quello precedentemente nominato, nell'ipotesi in cui quest'ultimo non sia stato reperito, o non sia comparso o abbia abbandonato la difesa;
che in tal modo, secondo l'Avvocatura, il giudice a quo dimentica la previsione di cui all'ultimo periodo del comma 4 dell'art. 97 cod. proc. pen., secondo il quale si applicano al difensore designato in sostituzione le disposizioni dell'art. 102 dello stesso codice, con la conseguenza che, a' termini del secondo comma dell'articolo citato, “il sostituto esercita i diritti ed assume i doveri del difensore”;
che nessun rilievo presentano le fonti ed i modi di investitura del professionista che esercita effettivamente la difesa dell'imputato, dovendosi in ogni caso riconoscere al sostituto designato la qualità di difensore di ufficio;
che la questione è quindi per l'Avvocatura inammissibile prima che infondata, non avendo il rimettente preventivamente verificato la possibilità di interpretare la disposizione che censura, dando alla stessa un significato compatibile con le norme costituzionali che vengono invocate, secondo quanto affermato ripetutamente dalla Corte;
che, ancora secondo la difesa erariale, le argomentazioni relative all'art. 81 cod. proc. civ. sono totalmente inconferenti, dal momento che il difensore designato in sostituzione chiede a proprio nome la liquidazione di proprie spettanze, mentre prive di rilievo e comunque infondate appaiono le considerazioni inerenti alla prospettata disparità di trattamento ed alla ritenuta conseguente gratuità della prestazione professionale del difensore sostituto, così come alla compromissione dell'effettività del diritto di difesa dell'imputato, essendo la prestazione professionale per la quale si chiede la liquidazione di spese ed onorari già stata espletata;
che ad avviso dell'Avvocatura la seconda questione sollevata dal Tribunale di Catanzaro risulta inammissibile perché viene prospettata con espresso rinvio alle motivazioni contenute nella precedente ordinanza del Tribunale di Pisa, in violazione del principio di autosufficienza dell'ordinanza di rimessione costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, e in quanto la questione è già stata dichiarata manifestamente inammissibile dalla Corte con l'ordinanza n. 348 del 2003, le cui ragioni si estendono anche ai nuovi parametri indicati, oltretutto in modo apodittico ed inconferente, dal Tribunale di Catanzaro.
Considerato che il Tribunale di Catanzaro solleva con unica ordinanza due distinte questioni di legittimità costituzionale dell'art. 117 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui non prevede che il difensore designato dal giudice, ex art. 97, comma 4, del codice di procedura penale, in sostituzione del difensore d'ufficio non reperito o non comparso, possa chiedere la liquidazione di spese ed onorari per l'attività professionale svolta in luogo del difensore sostituito, e nella parte in cui circoscrive alla sola ipotesi di irreperibilità dell'imputato, che sia stata dichiarata ai sensi dell'art. 159 cod. proc. pen., la possibilità di liquidazione di spese ed onorari del difensore d'ufficio, senza prevedere il caso dell'imputato non più rintracciabile nei cui confronti le notificazioni vengano eseguite ai sensi dell'art. 161 cod. proc.;
che riguardo alla prima delle due questioni sollevate il rimettente interpreta la norma censurata nel senso che sarebbe impedito al difensore di ufficio, nominato dal giudice in sostituzione dell'originario difensore, di chiedere la liquidazione dei compensi per l'opera autonomamente svolta;
che tale interpretazione del quadro normativo assunta a fondamento della censura, da un lato non tiene conto della possibilità di dare alla disposizione una interpretazione conforme alle norme costituzionali invocate, dall'altro omette di considerare, come esattamente rileva l'Avvocatura, che secondo l'art. 97, comma 4, cod. proc. pen., al difensore designato in sostituzione si applicano le disposizioni dell'art. 102 dello stesso codice, secondo cui “il sostituto esercita i diritti ed assume i doveri del difensore”;
che la sentenza della Corte di cassazione – sezioni unite penali, 19 dicembre 1994, citata in ordinanza, ha deciso una diversa questione in ordine all'individuazione del difensore destinatario della notifica degli atti, mentre nulla ha stabilito in ordine alla liquidazione dei compensi;
che la questione è quindi manifestamente infondata;
che la seconda questione sollevata dal Tribunale di Catanzaro è manifestamente inammissibile dal momento che essa risulta motivata solo per relationem ad una precedente ordinanza di rimessione del Tribunale di Pisa che questa Corte ha già esaminato, dichiarandola a sua volta manifestamente inammissibile, con l'ordinanza n. 348 del 2002.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 117 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 35, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Catanzaro con l'ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 117 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 36 della Costituzione, dal Tribunale di Catanzaro con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il l'11 gennaio 2005.
Valerio ONIDA, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2005.