ORDINANZA N. 5
ANNO 2005REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 4 febbraio 2004 relativa all’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall’onorevole Umberto Bossi nei confronti del dott. Vittorio Feltri, promosso dal Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, con ricorso depositato il 26 luglio 2004 ed iscritto al n. 270 del registro ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2004 il Giudice relatore Francesco Amirante.
Ritenuto che con ordinanza del 13 luglio 2004 il Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera adottata il 4 febbraio 2004, con la quale è stato dichiarato che i fatti per i quali è stato instaurato «procedimento penale» a carico del deputato Umberto Bossi (recte: i fatti per i quali Vittorio Feltri ed altra hanno instaurato un procedimento civile nei confronti del deputato Umberto Bossi) riguardano opinioni espresse da quest’ultimo nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari e sono, quindi, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che il Tribunale premette in fatto che Vittorio Feltri ed altra hanno convenuto in giudizio il deputato Umberto Bossi ed altri lamentando che sul numero del quotidiano “La Padania” del 16 febbraio 2002 era stata pubblicata una intervista rilasciata dall’onorevole Bossi contenente svariate affermazioni, ad avviso degli attori, diffamatorie;
che il Tribunale stesso, dopo aver deciso e definito, con sentenza del 19 novembre 2003, la controversia tra gli attori e i convenuti diversi dal parlamentare, ha disposto, in relazione a quest’ultimo, la prosecuzione e la contestuale sospensione del giudizio rimettendo gli atti alla Camera dei deputati che ha, poi, adottato la delibera cui si riferisce il presente conflitto;
che il ricorrente ricorda, in primo luogo, che in più occasioni questa Corte ha escluso l’esistenza del nesso funzionale tra le dichiarazioni del parlamentare e le funzioni da questo svolte per le affermazioni proferite nel corso di interviste, in assenza di riscontro in opinioni espresse nel corso di regolari interventi durante le sedute parlamentari;
che, inoltre, nella sentenza n. 120 del 2004 − nella quale l’intera materia dell’insindacabilità è stata riesaminata alla luce dell’entrata in vigore della legge 20 giugno 2003, n. 140 − è stato, conclusivamente, affermato che, anche dopo l’emanazione della suddetta legge, permane l’esigenza che vi sia un collegamento necessario tra il comportamento del parlamentare e l’ambito funzionale nel quale esso va inserito, nel senso che in ogni caso si deve trattare di esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle Camere;
che, nel caso di specie, mentre alcune delle risposte dell’onorevole Bossi all’intervistatore, «ancorché caratterizzate da connotazioni forti», costituiscono senz’altro, ad avviso del Tribunale, «opinioni di un politico e rientrano anche nell’esimente del diritto di critica», due dichiarazioni, entrambe relative a Vittorio Feltri, «travalicano il limite della continenza verbale e trasmodano nell’espressione ingiuriosa priva di finalità diversa da quella di svilire e indicare a disprezzo pubblico la persona oggetto della critica medesima, mera denigrazione fine a sé medesima»;
che tali ultime dichiarazioni, oltre a non rientrare nel diritto di critica, sembrano esulare anche dalla garanzia di cui all’art. 68, primo comma, Cost. perché pronunciate extra moenia ed estranee all’attività parlamentare, non potendosi esse in particolare ricollegare al dibattito parlamentare sul c.d. caso “Telekom Serbia”, dato il loro carattere di valutazioni personali e offensive svincolate dai fatti in questione;
che le suddette considerazioni del Tribunale ricorrente, ancorché ampiamente illustrate nell’ordinanza di richiesta dell’autorizzazione a procedere, non sembra siano state esaminate né dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere né dalla Camera dei deputati, visto che dai resoconti delle rispettive sedute risulta che la dichiarazione di insindacabilità è stata adottata in riferimento a dichiarazioni diverse da quelle indicate dal Tribunale come diffamatorie, senza valutare in alcun modo queste ultime, le quali anzi, soprattutto negli interventi in Assemblea, non sono state proprio menzionate;
che ciò induce a ritenere che la suddetta valutazione sia stata effettuata violando le prerogative del potere giurisdizionale, perché, in contrasto con l’orientamento più volte espresso da questa Corte, essa è stata assunta sulla premessa che sia da considerare insindacabile «qualsiasi espressione proferita da un parlamentare, in virtù della mera veste di quest’ultimo, così esponendo qualunque cittadino alla possibilità di essere diffamato senza poter neppure tutelare i propri diritti ex art. 24 Cost.»;
che il Tribunale ritiene, pertanto, necessario promuovere il presente conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato – che considera ammissibile sia sotto il profilo soggettivo sia sotto il profilo oggettivo – e chiede che questa Corte dichiari che non spettava alla Camera dei deputati il potere di qualificare come insindacabili le dichiarazioni di cui si tratta ed annulli la relativa delibera della Camera stessa.
Considerato che in questa fase la Corte è chiamata, ai sensi dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a deliberare esclusivamente se il ricorso sia ammissibile, valutando, senza contraddittorio tra le parti, se sussistano i requisiti soggettivo ed oggettivo di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, impregiudicata rimanendo ogni definitiva decisione anche in ordine all’ammissibilità;
che, quanto al requisito soggettivo, il Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, è legittimato a sollevare il conflitto, essendo competente a dichiarare definitivamente, in relazione al procedimento del quale è investito, la volontà del potere cui appartiene, in considerazione della posizione di indipendenza, costituzionalmente garantita, di cui godono i singoli organi giurisdizionali;
che analogamente la Camera dei deputati, che ha deliberato l’insindacabilità delle opinioni espresse da un proprio membro, è legittimata ad essere parte del conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere che rappresenta;
che, per quanto riguarda il profilo oggettivo del conflitto, il ricorrente Tribunale denuncia la menomazione della propria sfera di attribuzione, garantita da norme costituzionali, in conseguenza dell’adozione, da parte della Camera dei deputati, di una deliberazione ove si afferma, in modo asseritamente illegittimo, che le opinioni espresse da un proprio membro rientrano nell’esercizio delle funzioni parlamentari, in tal modo godendo della garanzia di insindacabilità stabilita dall’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che, pertanto, esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza della Corte.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dal Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, nei confronti della Camera dei deputati con l’atto introduttivo indicato in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio;
b) che l’atto introduttivo e la presente ordinanza siano, a cura del ricorrente, notificati alla Camera dei deputati entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere poi depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni previsto dall’art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2005.
Valerio ONIDA, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria l'11 gennaio 2005.