ORDINANZA N.438
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni MariaFLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), promosso con ordinanza del 30 ottobre 2003 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Moriconi Gianfrancesco contro il Ministero delle politiche agricole e forestali – Direzione generale per le politiche strutturali e lo sviluppo rurale, iscritta al n. 1177 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti l’atto di costituzione di Moriconi Gianfrancesco nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 30 novembre 2004 il Giudice relatore Annibale Marini;
udito l’avvocato dello Stato Sergio Sabelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 30 ottobre 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 45 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001);
che la norma impugnata estende la possibilità di essere ammessi a godere dei benefici previsti dall’art. 1, comma 1-bis, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149 (Interventi urgenti in favore dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 237, alle cooperative ed ai consorzi tra cooperative che «alla data del 19 luglio 1993 si trovavano nelle condizioni previste dal suddetto articolo, che abbiano presentato domanda entro i termini previsti dalla citata legge, per i quali sia intervenuta, almeno in primo grado, la pronuncia da parte del tribunale attestante lo stato di insolvenza oppure che si trovino in stato di liquidazione»;
che la norma richiamata a sua volta prevede, al primo periodo, che «le garanzie concesse, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, da soci di cooperative agricole, a favore delle cooperative stesse, di cui sia stata previamente accertata l’insolvenza, sono assunte a carico del bilancio dello Stato»;
che il successivo decreto del Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali 2 febbraio 1994, poi annullato in parte qua dal TAR del Lazio con sentenza n. 266 del 29 gennaio 1997, aveva individuato nella stessa data di emanazione del 2 febbraio 1994 il termine di riferimento per l’accertamento dell’insolvenza;
che il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, con circolare del 14 luglio 1994, n. 17, ha stabilito il termine del 22 settembre 1994 per la presentazione delle domande di ammissione ai benefici;
che – ad avviso del rimettente – con la norma impugnata il legislatore avrebbe inteso ammettere al beneficio di che trattasi anche soci di società cooperative poste in liquidazione o dichiarate insolventi in epoca successiva al termine per la presentazione della domanda, quale fissato nella citata circolare n. 17 del 1994;
che la norma stessa sarebbe perciò irragionevole e contrastante con il riconoscimento della funzione sociale della cooperazione, in quanto, da un lato, consentirebbe l’accesso al beneficio in presenza di istanze ab origine prive di fondamento, siccome presentate in assenza del requisito dello stato di insolvenza, e, dall’altro, precluderebbe l’accesso al beneficio stesso a soggetti che – come il ricorrente nel giudizio a quo – pur in possesso dei requisiti richiesti non avevano presentato tempestiva istanza solo perché tratti in inganno da una disposizione illegittima quale quella recata dal d.m. 2 febbraio 1994;
che si è costituito in giudizio Gianfrancesco Moriconi, ricorrente nel giudizio a quo, il quale ha concluso nel senso che la norma impugnata sia dichiarata illegittima quanto all’inciso «che abbiano presentato domanda entro i termini previsti dalla stessa legge»;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità e, comunque, per la infondatezza della questione;
che la questione – secondo l’Avvocatura – sarebbe inammissibile sia per la mancanza di un chiaro petitum, sia per la carenza di motivazione sulla rilevanza, anche in considerazione della pendenza della procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea sulla stessa disposizione, sia, infine, per non avere il rimettente esplorato la possibilità di pervenire ad una interpretazione costituzionalmente corretta della norma;
che, nel merito, la questione – ad avviso sempre della parte pubblica –sarebbe infondata in quanto la norma impugnata, lungi dall’estendere la possibilità di accedere al beneficio a soggetti per i quali il requisito dello stato di insolvenza sia maturato successivamente alla presentazione della domanda, va, invece, intesa nel senso di prevedere che anche il requisito della insolvenza debba essere presente al momento della scadenza del termine per la presentazione della domanda, in tal modo sottraendosi alle censure sollevate dal rimettente.
Considerato che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3 e 45 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), in quanto – secondo l’interpretazione da lui accolta – estenderebbe il beneficio di cui all’art. 1, comma 1-bis, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149 (Interventi urgenti in favore dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 237, in favore dei soci di società cooperative poste in liquidazione o dichiarate insolventi in epoca successiva al termine per la presentazione della domanda, quale fissato nella circolare n. 17 del 1994 del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, ma non anche in favore dei soci di società cooperative già dichiarate insolventi a quella data, i quali tuttavia non avevano presentato tempestiva istanza;
che la chiara individuazione, da parte del rimettente, del vizio da cui la norma sarebbe affetta consente di superare l’eccezione di inammissibilità della questione, per mancata specificazione del petitum, sollevata dall’Avvocatura;
che l’ordinanza appare altresì adeguatamente motivata in punto di rilevanza, dando conto del fatto che l’oggetto del giudizio è rappresentato dall’impugnativa proposta da un socio di cooperativa avverso il provvedimento ministeriale con cui la sua istanza di ammissione al beneficio in questione è stata rigettata, in quanto presentata dopo la scadenza del termine previsto dalla citata circolare n. 17 del 1994;
che la eccezione di inammissibilità relativa alla pendenza di una procedura comunitaria di infrazione concernente la disposizione censurata è sicuramente destituita di fondamento, in quanto detta procedura risulta già definita con decisione del Consiglio dell’Unione europea dell’8 aprile 2003, anteriore all’ordinanza di rimessione;
che del tutto erroneo appare, nel merito, il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente, secondo il quale la norma impugnata non richiederebbe che la dichiarazione di insolvenza o la messa di liquidazione siano intervenute entro il termine di presentazione della domanda;
che tale interpretazione – che, secondo lo stesso rimettente, conduce a risultati contrastanti con il principio di ragionevolezza – sembra fondarsi sul solo dato letterale rappresentato dall’utilizzo, da parte del legislatore, del tempo presente («…si trovino in stato di liquidazione»), in contrapposizione ai tempi storici utilizzati con riferimento al possesso degli altri requisiti («…si trovavano nelle condizioni previste…. », «…abbiano presentato domanda…»);
che a siffatto inaffidabile criterio ermeneutico, privilegiato dal rimettente, appare senza dubbio da preferire quello rappresentato dalla compatibilità della norma con il principio di ragionevolezza, alla luce del quale risulta evidente che la ratio della norma stessa è solo quella di ammettere a godere del beneficio (sia pure in via subordinata) i soci delle cooperative e dei consorzi tra cooperative sempre che la dichiarazione di insolvenza di tali enti sia intervenuta dopo la data stabilita dal d.m. 2 febbraio 1994, poi annullato, ma pur sempre prima della presentazione della domanda, e ciò al fine di evitare possibili disparità di trattamento tra i soggetti che avevano presentato tempestiva istanza, derivanti esclusivamente dagli effetti temporaneamente spiegati dal provvedimento illegittimo;
che la norma, così interpretata, si sottrae alle censure sollevate dal rimettente;
che la questione va perciò dichiarata manifestamente infondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 45 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Annibale MARINI, RedattoreDepositata in Cancelleria il 29 dicembre 2004.