ORDINANZA N. 419
ANNO 2004
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 595, primo, secondo e terzo comma, del codice penale e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Roma con ordinanza del 21 febbraio 2003, iscritta al n. 333 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2003.
Visto l'atto di costituzione della parte civile nel procedimento a quo;
udito nell'udienza pubblica del 30 novembre 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 21, e «in relazione all'art. 68, primo comma», della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 595, primo, secondo e terzo comma, del codice penale, e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa);
che il giudice a quo premette che procede a carico dell'onorevole Nicola Vendola per il reato di diffamazione, commesso ai danni del senatore Eupreprio Curto mediante la pubblicazione di un articolo sul quotidiano l'«Unità» del 2 marzo 2003, e che il querelante aveva escluso che nel caso di specie potesse trovare applicazione l'art. 68, primo comma, Cost., in quanto le dichiarazioni erano state rese al di fuori dell'esercizio delle funzioni parlamentari;
che il rimettente – rilevato che la libertà di manifestare il proprio pensiero è considerata un diritto fondamentale in tutte le Costituzioni moderne, a partire dalla Dichiarazione di indipendenza americana - ritiene che, in riferimento a tale libertà, l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge sia 'compromessa' dalla insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare, «il cui fine è di permettere ai parlamentari di agire e dire in piena libertà e indipendenza nella loro funzione politica al riparo da pressioni esterne»;
che, «di fatto», la disciplina della insindacabilità discriminerebbe «cittadini che esprimono le loro idee, soggetti a incriminazione in caso di diffamazione, e cittadini parlamentari, i quali, invece, possono impunemente 'diffamare' in nome della funzione politica svolta»;
che ad avviso del giudice a quo le norme che sanzionano la condotta del non parlamentare che 'stigmatizza' «in maniera virulenta chi agisca in chiave politica» violano il principio di eguaglianza proprio in relazione alla possibilità di ogni cittadino di esercitare il diritto inviolabile di esprimere il proprio pensiero e di sottoporre a critica chi amministra la cosa pubblica;
che in particolare, «poiché di fatto l'art. 68 della Costituzione crea disuguaglianza tra i cittadini quanto alla libera espressione del pensiero, la sua permanenza, alla luce degli articoli 2 e 21 Cost., non può non risolversi in un'incostituzionalità della normativa penale sulla diffamazione a mezzo stampa», anche a causa della disparità di trattamento tra privati e soggetti pubblici con prerogative parlamentari, che possono «esprimersi, criticare, attaccare l'altrui reputazione senza incorrere nella legge penale», in contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost.;
che si è costituita in giudizio la parte civile nel giudizio a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
che secondo la parte privata, poiché le dichiarazioni asseritamente diffamatorie «nulla avevano a che fare con le funzioni parlamentari [...], risolvendosi in un'invettiva personale e gratuita», la questione sarebbe irrilevante, posto che nel caso in esame non trova applicazione l'art. 68 Cost.;
che, nel merito, la questione sarebbe comunque infondata, atteso che l'«incontestabile discriminazione» tra cittadini e parlamentari denunciata dal giudice a quo discenderebbe non dall'art. 595 cod. pen., bensì dallo stesso art. 68 Cost., «norma di pari rango rispetto a quelle che sanciscono, da un lato, la eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e, dall'altro, la libertà di espressione del pensiero»;
che all'udienza pubblica del 30 novembre 2004 nessuno è comparso per la parte privata costituita.
Considerato che il Tribunale di Roma dubita, in riferimento agli artt. 2, 3 e 21, e «in relazione all'art. 68, primo comma», della Costituzione, della legittimità costituzionale degli articoli 595, primo, secondo e terzo comma, del codice penale, e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), in quanto le norme censurate, sanzionando penalmente la condotta del non parlamentare che manifesta il proprio pensiero mediante critiche di natura politica, discriminerebbero il comune 'cittadino' rispetto al parlamentare;
che il rimettente, nel ritenere violato il diritto alla critica politica del 'cittadino' non parlamentare, indica quale tertium comparationis l'art. 68, primo comma, Cost., che disciplina l'insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari nell'esercizio delle loro funzioni;
che – a prescindere dal rilievo che, secondo l'impostazione riservata dal rimettente alla questione, il trattamento discriminatorio in danno del non parlamentare troverebbe la sua fonte nella stessa norma di rango costituzionale - l'art. 68, primo comma, Cost. riconduce l'insindacabilità non, come sembrerebbe ritenere il giudice a quo, al mero esercizio del diritto alla critica politica, bensì alla tutela dell'autonomia delle funzioni parlamentari, quale area di libertà politica delle Assemblee rappresentative (tra molte, da ultimo, v. sentenze numeri 120, 246, 298 e 347 del 2004);
che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 595, primo, secondo e terzo comma, del codice penale, e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 21 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2004.