ORDINANZA N. 415
ANNO 2004
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI “
- Guido NEPPI MODONA “
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 2, della legge della Regione Campania 28 novembre 2001, n. 19 (Procedure per il rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni edilizie e per l'esercizio di interventi sostitutivi - Individuazione degli interventi edilizi subordinati a denuncia di inizio attività - Approvazione di piani attuativi dello strumento urbanistico generale nei comuni obbligati alla formazione del programma pluriennale di attuazione - Norme in materia di parcheggi pertinenziali - Modifiche alla legge regionale 28 novembre 2000, n. 15 e legge regionale 24 marzo 1995, n. 8), promosso con ordinanza del 27 gennaio 2004 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli, nei procedimenti penali riuniti a carico di Annamaria D'Aniello ed altri, iscritta al n. 292 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 2004.
Visto l'atto di intervento della Regione Campania;
udito nella camera di consiglio del 13 ottobre 2004 il Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli, con ordinanza pronunciata in data 27 gennaio 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 2, della legge della Regione Campania 10 ottobre 2001 (recte: 28 novembre 2001), n. 19 (Procedure per il rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni edilizie e per l'esercizio di interventi sostitutivi – Individuazione degli interventi edilizi subordinati a denuncia di inizio attività – Approvazione di piani attuativi dello strumento urbanistico generale nei comuni obbligati alla formazione del programma pluriennale di attuazione – Norme in materia di parcheggi pertinenziali – Modifiche alla legge regionale 28 novembre 2000, n. 15 e alla legge regionale 24 marzo 1995, n. 8), in relazione agli articoli 3 e 117 della Costituzione, nella parte in cui subordina a semplice autorizzazione gratuita la realizzazione di parcheggi in aree libere, anche non di pertinenza del lotto dove insistono gli edifici, ovvero nel sottosuolo di fabbricati o al pianterreno di essi, anche in deroga agli strumenti urbanistici;
che il giudice a quo premette che nel corso dell'udienza preliminare, relativa ad un procedimento a carico di alcuni soggetti imputati dei reati di cui agli articoli 323 cod. pen. e 20, lettera b), della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), il pubblico ministero ha avanzato richiesta di rinvio a giudizio, «sollecitando contemporaneamente il giudice» a sollevare questione di legittimità costituzionale della citata norma regionale;
che – prosegue il rimettente – «i capi di imputazione e gli atti fanno riferimento al rilascio di una pluralità di autorizzazioni edilizie gratuite per la realizzazione di posti auto» le quali sarebbero state rilasciate «apparentemente» ai sensi della legge 24 marzo 1989, n. 122 (Disposizioni in materia di parcheggi, programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate nonché modificazioni di alcune norme del testo unico sulla disciplina della circolazione stradale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393), ma «in realtà in violazione dell'art. 9» di tale legge, dal momento che mancherebbero i presupposti da essa previsti, vale a dire l'esistenza di un vincolo di pertinenzialità del parcheggio rispetto all'immobile e la qualità di proprietario di tale immobile (rispetto al quale il parcheggio costituisce pertinenza) del costruttore del parcheggio;
che l'art. 6 della legge regionale n. 19 del 2001, nel richiedere la sola autorizzazione gratuita per la «realizzazione di parcheggi su aree libere, anche non di pertinenza del lotto su cui insistono gli edifici, ovvero nel sottosuolo di fabbricati o al pianterreno di essi», sottrarrebbe al regime concessorio interventi che, invece, in base alle leggi statali vi sarebbero sottoposti, dal momento che la legge n. 47 del 1985 richiederebbe necessariamente il rilascio della concessione edilizia per la realizzazione di nuove opere che abbiano un volume edilizio e siano suscettibili di autonoma utilizzazione, e che il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) «continua» a richiedere per tali tipologie di interventi il permesso di costruire, di tal che la realizzazione di parcheggi, se effettuata in assenza dei presupposti di cui alla legge n. 122 del 1989, costituirebbe reato (ai sensi dell'art. 20 della legge n. 47 del 1985 e dell'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001);
che, rispetto a tale sistema, la legge n. 122 del 1989 (c.d. legge Tognoli) costituirebbe una deroga alla disciplina ordinaria, in casi tassativamente indicati «e non ricorrenti nel caso di specie, né estensibili, tramite legge regionale»;
che pertanto, ritiene il giudice rimettente, la norma regionale censurata contrasterebbe con i principî fondamentali della materia costituiti dalla necessità della concessione edilizia per la realizzazione di una nuova opera suscettibile di uso autonomo e che diverso principio non potrebbe ricavarsi dalla legge n. 122 del 1989 la quale sarebbe stata emanata proprio per fronteggiare le esigenze dei proprietari degli immobili e non per consentire speculazioni edilizie, rese, invece, possibili dalla legge regionale «che facultizza chiunque a realizzare mediante semplice “autorizzazione”» dei parcheggi;
che, osserva ancora il giudice a quo, qualora si ritenesse l'art. 6 della legge regionale n. 19 del 2001 esente da profili di incostituzionalità, non potrebbe essere accolta la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero, dal momento che la condotta contestata agli imputati, pur essendo illecita al momento della commissione del fatto, non lo sarebbe più per effetto della successiva emanazione della legge regionale censurata, la quale avrebbe integrato con un contenuto più favorevole la norma penale in bianco dell'art. 20 della legge n. 47 del 1985, in quanto la disciplina della successione delle leggi nel tempo – secondo «più pronunce della Corte di cassazione» – riguarderebbe anche le norme extrapenali integrative delle norme penali;
che l'art. 6, comma 2, della legge regionale n. 19 del 2001 determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento «tra ciò che costituisce reato nella regione Campania e ciò che costituisce reato in tutte le altre regioni che non hanno adottato analoghe disposizioni, sicché l'attribuzione alle Regioni del potere di influire indirettamente sulle fattispecie incriminatrici stabilite da leggi dello Stato, implica l'aberrante conseguenza» che la rilevanza penale di una condotta dipenda dal luogo in cui è stata posta in essere, in considerazione delle diverse discipline urbanistiche adottate dalle varie Regioni, in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione;
che la norma censurata contrasterebbe inoltre con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto violerebbe i principî fondamentali in materia di edilizia ed urbanistica stabiliti dalla legislazione statale; lo stesso d.P.R. n. 380 del 2001, «pur non applicabile al caso in esame in quanto non più favorevole all'imputato», stabilirebbe che la normativa regionale in materia urbanistica può svolgersi solo nell'ambito dei principî fondamentali stabiliti dalla legge statale;
che, ancora, potrebbe ipotizzarsi la violazione della riserva di legge esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente, prevista dall'art. 117, secondo comma, della Costituzione, nella quale, se intesa in senso ampio, rientrerebbe la tutela del territorio;
che, infine, la norma censurata contrasterebbe con l'art. 117 della Costituzione, che attribuisce allo Stato la potestà normativa esclusiva in materia penale, in quanto non sarebbe possibile che la Regione, attraverso la modifica della norma extrapenale, incida sulla norma penale, «riempiendo di contenuti diversi nelle diverse Regioni la fattispecie incriminatrice penale»;
che, in ordine alla rilevanza della questione, il GIP afferma che nel giudizio a quo verrebbe in considerazione «la realizzazione di parcheggi in aree non di pertinenza del lotto ove insistono gli edifici, da parte di costruttori non proprietari degli edifici, in contrasto con l'art. 9 della legge n. 122 del 1989, ma non con l'art. 6» della legge regionale;
che è intervenuta in giudizio la Regione Campania la quale ha chiesto che la questione prospettata sia dichiarata irrilevante o infondata;
che, in punto di fatto, la Regione premette che nel giudizio a quo si contesta agli imputati, funzionari del competente ufficio comunale, di avere illegittimamente rilasciato autorizzazioni gratuite per la realizzazione di parcheggi in assenza dei presupposti prescritti dalla legge n. 122 del 1989, cioè l'identità tra il costruttore e il proprietario dell'immobile di cui il parcheggio è pertinenza e la pertinenzialità del parcheggio rispetto all'immobile, nonché il fatto che l'operazione sia stata compiuta a scopi speculativi sia per la qualità di imprenditori rivestita dai destinatari della concessione, non proprietari degli immobili, sia perché gli atti d'obbligo con cui costoro si erano obbligati a vendere i posti auto in regime di pertinenzialità non identificavano le singole unità immobiliari cui i parcheggi dovevano collegarsi;
che la difesa regionale ha eccepito, innanzitutto, l'irrilevanza della questione dal momento che l'eventuale dichiarazione di incostituzionalità della legge regionale, in quanto determinerebbe un mutamento sfavorevole per gli imputati delle disposizioni loro applicabili, non potrebbe avere effetti nel giudizio a quo, e pertanto la pronuncia della Corte sarebbe irrilevante nel giudizio ad essi relativo;
che, nel merito, la Regione afferma l'erroneità dell'interpretazione data dal rimettente sia della legge statale che della legge regionale, dal momento che la lettura complessiva dell'art. 6 della legge regionale n. 19 del 2001, ed in particolare dei commi 5, 6 e 7, renderebbe chiaro come tale norma, al pari di quella statale, richieda un «riferimento certo e predeterminato» del parcheggio rispetto alla singola unità abitativa, con la conseguenza che la legge regionale non sarebbe idonea a sanare condotte che non si sono conformate al vincolo di pertinenzialità;
che la previsione, contenuta nell'art. 6, che legittima a richiedere l'autorizzazione gratuita anche soggetti non proprietari degli immobili, sarebbe specificativa della normativa statale, in quanto comunque volta ad incentivare la realizzazione di parcheggi specificamente collegati alla singola unità immobiliare, così limitando a tali ipotesi la disciplina derogatoria;
che, osserva ancora la Regione, le censure sarebbero comunque infondate in quanto, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, la legge regionale sarebbe tenuta a conformarsi solo ai principî fondamentali della materia e sotto tale aspetto l'art. 6 della legge regionale rispetterebbe la ratio della legge n. 122 del 1989, di semplificare l'iter procedimentale per la realizzazione di posti auto;
che la difesa regionale richiama l'art. 22, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001 il quale riconosce alle Regioni, attraverso le proprie leggi, la potestà di ampliare o ridurre l'ambito degli interventi edilizi sottoposti a semplice denuncia di inizio attività (DIA), rispetto a quelli previsti dalla normativa statale, e che sotto tale aspetto, la questione prospettata, oltre ad essere infondata, sarebbe anche irrilevante dal momento che il sopravvenire di una norma regionale di favore renderebbe non sanzionabili condotte ad essa conformi;
che infondata sarebbe anche la censura sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal momento che la diversità di trattamento sarebbe una conseguenza delle scelte del legislatore statale che ha configurato l'art. 20 della legge n. 47 del 1985 come norma penale in bianco, la quale «per definizione, si riempie di contenuti» in base a norme extrapenali sia statali, sia regionali;
che in prossimità della camera di consiglio la Regione Campania ha depositato una memoria nella quale ribadisce gli argomenti a sostegno della inammissibilità e della infondatezza della questione.
Considerato che il rimettente ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 2, della legge della Regione Campania n. 19 del 2001, in relazione agli articoli 3 e 117 della Costituzione, nella parte in cui richiede l'autorizzazione gratuita, anziché la concessione, per la realizzazione di parcheggi che non abbiano i requisiti ai quali la legge n. 122 del 1989 subordina l'applicazione del regime agevolato da essa previsto;
che, in primo luogo, l'ordinanza di rimessione si limita ad affermare che le condotte incriminate nel giudizio a quo consisterebbero nel rilascio di una pluralità di autorizzazioni gratuite per la realizzazione di posti auto privi dei requisiti di cui alla legge n. 122 del 1989, vale a dire “l'essere il costruttore proprietario dell'immobile del quale il parcheggio deve essere pertinenza e, appunto, la pertinenzialità del parcheggio rispetto all'immobile”;
che, invece, il rimettente omette di descrivere la tipologia dei parcheggi oggetto del procedimento penale, ed in particolare se si tratti di parcheggi realizzati nel sottosuolo oppure al pianterreno di edifici preesistenti, ovvero di posti auto costruiti su aree libere, fuori terra o nel sottosuolo delle stesse;
che l'incompleta descrizione della fattispecie all'esame del giudice a quo non consente di verificare a quale delle ipotesi regolate dalla norma impugnata la condotta degli imputati sarebbe riconducibile;
che tale specificazione è invece imprescindibile al fine di consentire una compiuta valutazione della rilevanza della questione nel giudizio a quo dal momento che la norma censurata, nella sua formulazione, è tale da riferirsi ad una pluralità di ipotesi;
che, inoltre, la mancata descrizione della tipologia di parcheggi non consente neppure l'esatta individuazione dell'oggetto del giudizio, e cioè quale delle molteplici fattispecie regolate dal comma 2 dell'art. 6 della legge regionale n. 19 del 2001 costituisca oggetto delle censure formulate dal rimettente, vale a dire la disciplina dei parcheggi in aree libere sopra terra ovvero nel sottosuolo o al pianterreno di edifici esistenti;
che l'omessa indicazione delle tipologie di parcheggi cui si riferisce il capo di imputazione all'esame del giudice a quo rende impossibile, altresì, stabilire con esattezza quali siano le norme statali che disciplinano la realizzazione di tali parcheggi rispetto alle quali la legge regionale avrebbe disposto in termini diversi;
che, in secondo luogo, il giudice rimettente ritiene rilevante la questione nel giudizio a quo sull'assunto che la norma regionale censurata – modificando la disciplina urbanistica richiamata dalla norma incriminatrice di cui all'art. 20, comma 1, lettera b), della legge n. 47 del 1985 (ora art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001), ed in particolare escludendo (diversamente da quanto già previsto dalla normativa statale) che determinate opere necessitino di concessione edilizia (ora permesso di costruire) – abbia determinato un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, tale da imporre, alla luce dei principî generali regolativi della materia, l'assoluzione degli imputati;
che l'assunto è fondato sul puro e semplice richiamo a non meglio specificate “pronunce della Corte di cassazione”, che – secondo quanto si legge nell'ordinanza di rimessione – “sembrano” aver ricondotto al paradigma della successione delle leggi penali nel tempo anche la modifica di norme extrapenali destinate ad integrare i contenuti di norme penali “in bianco” (quale sarebbe, nella specie, quella dianzi citata);
che, in realtà, l'indirizzo interpretativo verosimilmente evocato dal giudice a quo – nel contrapporsi ad un orientamento prevalente di segno contrario della giurisprudenza di legittimità – subordina comunque l'applicabilità dell'art. 2 cod. pen. alla condizione, da verificare caso per caso, che la modifica (o l'abrogazione) delle norme extrapenali incida sullo stesso giudizio di disvalore della condotta incriminata sotteso alla comminatoria di pena, e non si limiti soltanto a precisare la fattispecie precettiva;
che tale verifica viene, per converso, completamente omessa nell'ordinanza di rimessione, in rapporto alla specifica ipotesi di successione di norme extrapenali che al presente interessa; onde, sotto tale profilo, la motivazione sulla rilevanza risulta evidentemente parziale e inadeguata;
che, inoltre, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale in relazione all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, il rimettente individua i principî fondamentali della legislazione statale, che assume violati dalla norma regionale, attraverso il contestuale richiamo sia della normativa “già in vigore al momento della introduzione della legge regionale” – legge n. 47 del 1985 e legge n. 122 del 1989 – sia “della legislazione attualmente in vigore” e cioè del d.P.R. n. 380 del 2001;
che, in definitiva, il GIP non specifica quale sia il parametro interposto che assume violato dall'art. 6 della legge regionale n. 19 del 2001, così mostrando di ritenere i principî fondamentali posti dalle due normative sostanzialmente equivalenti, e trascurando, invece, di valutare le modifiche alla disciplina dei titoli abilitativi introdotte dal d.P.R. n. 380 del 2001, tra le quali, in particolare, la soppressione dell'autorizzazione gratuita e l'ampliamento dell'ambito di applicazione della denuncia di inizio attività, nonché le conseguenze che ciò determina sulla normativa regionale preesistente, ed inoltre le conseguenze del riconoscimento espresso alle Regioni del potere di ampliare, o restringere, l'ambito degli interventi soggetti a DIA ovvero a permesso di costruire, fermo restando il regime sanzionatorio previsto dal testo unico (art. 10, comma 3, e art. 22, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001);
che, pertanto la questione si appalesa manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 2, della legge della Regione Campania 28 novembre 2001, n. 19 (Procedure per il rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni edilizie e per l'esercizio di interventi sostitutivi – Individuazione degli interventi edilizi subordinati a denuncia di inizio attività – Approvazione di piani attuativi dello strumento urbanistico generale nei comuni obbligati alla formazione del programma pluriennale di attuazione – Norme in materia di parcheggi pertinenziali – Modifiche alla legge regionale 28 novembre 2000, n. 15 e alla legge regionale 24 marzo 1995, n. 8), sollevata, in relazione agli articoli 3 e 117 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2004.