Sentenza n. 414 del 2004

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 414

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio                 ONIDA                    Presidente

- Carlo                    MEZZANOTTE          Giudice

- Guido                   NEPPI MODONA          "

- Piero Alberto        CAPOTOSTI                  "

- Annibale               MARINI                        "

- Franco                  BILE                             "

- Giovanni Maria     FLICK                           "

- Francesco             AMIRANTE                   "

- Ugo                            DE SIERVO                          "

- Romano                      VACCARELLA                   "

- Paolo                    MADDALENA               "

- Alfio                    FINOCCHIARO             "

- Alfonso                QUARANTA                  "

- Franco                  GALLO                         "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 72, commi 1, 2, 3 e 4, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna, notificato il 1° marzo 2003, depositato in cancelleria il 7 successivo ed iscritto al n. 25 del registro ricorsi 2003.

    Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nell'udienza pubblica del 16 novembre 2004 il Giudice relatore Annibale Marini;

    uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per la Regione Emilia-Romagna e l'avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

    1.– La Regione Emilia-Romagna con ricorso, ritualmente notificato e depositato, volto ad impugnare numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), ha censurato, fra l'altro, l'art. 72, commi 1, 2, 3 e 4, della legge, deducendone il contrasto con gli artt. 117, commi terzo e quarto, 118 e 119 della Costituzione.

     La disposizione impugnata prevede, al comma 1, che «le somme iscritte nei capitoli del bilancio dello Stato aventi natura di trasferimenti alle imprese per contributi alla produzione e agli investimenti affluiscono ad appositi fondi rotativi in ciascuno stato di previsione della spesa»; al comma 2 dispone che i contributi di cui sopra «sono attribuiti secondo criteri e modalità stabiliti dal Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro competente», indicando, altresì, i principi in base ai quali i detti contributi sono attribuiti. Il successivo comma 3 precisa che, al fine di assicurare la continuità delle concessioni, i «decreti interministeriali di natura non regolamentare», dovranno essere emanati nei sessanta giorni dalla entrata in vigore della legge e che, in caso di loro mancata adozione, provvede il Presidente del Consiglio dei ministri con proprio decreto; infine il comma 4  prevede che, «ai fini del concorso delle autonomie territoriali al rispetto degli obblighi comunitari per la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, le disposizioni di cui al presente articolo costituiscono norme di principio e di coordinamento. Conseguentemente gli enti interessati provvedono ad adeguare i propri interventi alle disposizioni di cui al presente articolo».

    La Regione ricorrente assume che la disciplina in questione, riguardando la materia dei contributi alle imprese, ricade nella competenza residuale delle Regioni di cui all'art. 117, comma quarto, della Costituzione.

    I commi 1, 2 e 3 della norma impugnata sarebbero perciò lesivi delle competenze regionali, nella parte in cui – in materia sottratta alla competenza dello Stato – prevedono la costituzione di fondi statali, gestiti sulla base di criteri stabiliti con decreti interministeriali, da ritenersi di natura sostanzialmente regolamentare nonostante l'elusiva «etichetta» apposta dal legislatore, anziché prevedere la ripartizione fra le Regioni delle relative somme.

    Anche il comma 4, inteso a vincolare anche i contributi regionali al rispetto delle disposizioni di cui ai commi precedenti, qualificate come norme di principio e di coordinamento, sarebbe lesivo dell'autonomia legislativa e finanziaria delle Regioni.  Ad avviso della ricorrente, infatti, spetta  allo Stato, ai sensi dell'art. 117, comma terzo, della Costituzione, la competenza in materia non di «finanza pubblica» ma di «coordinamento della finanza pubblica», sicché esso  – ad avviso della Regione ricorrente – potrebbe fissare i principi relativi alla spesa globale in un singolo settore, «ma non decidere anche come la spesa deve essere effettuata in quel settore dalle Regioni», tanto più ove si ritenga che anche i criteri ministeriali, di cui al comma 2, costituiscano «norme di principio».

    2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso.

    Secondo la difesa erariale, i primi tre commi, riguardando oneri già a carico dello Stato, non sarebbero lesivi di alcuna competenza regionale, mentre il quarto costituirebbe «legittima espressione di principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica», mirando, nel quadro dei vincoli comunitari di stabilità, al rispetto anche da parte delle Regioni delle esigenze di equilibrio finanziario, altrimenti esposte al rischio di contribuzioni non regolamentate.

    Nell'imminenza della udienza pubblica sia la difesa della Regione ricorrente che l'Avvocatura dello Stato hanno depositato memorie illustrative, insistendo nelle conclusioni rispettivamente assunte.

    In particolare, quanto ai primi tre commi, la Regione osserva che la conservazione, a livello centrale, della potestà normativa nella materia di cui si tratta non è consentita dall'intervenuto mutamento del quadro costituzionale, le cui conseguenze non possono essere eluse dalla «singolare ideazione» della figura dei «decreti ministeriali a contenuto non regolamentare», irrilevante ai fini del riparto delle competenze tra Stato e Regioni.

    Non ignora, la medesima ricorrente, che, con la sentenza n. 14 del 2004, questa Corte ha riconosciuto – sulla base di un'interpretazione dinamica della materia della «tutela della concorrenza» di cui all'art. 117, comma secondo, della Costituzione – il permanere di potestà e prerogative statali, anche regolamentari, indirizzate ad orientare l'azione di sviluppo economico, ma con la precisazione che si debba trattare di interventi con rilevanza macroeconomica attinenti allo sviluppo dell'intero paese.

    Riguardo al comma 4 dell'art. 72 la difesa ricorrente ribadisce, infine, che il coordinamento della finanza pubblica può giustificare solo interventi statali finalizzati alla garanzia del complessivo equilibrio finanziario e non anche l'introduzione di disposizioni specifiche e dettagliate relative ad un determinato settore.    

    L'Avvocatura dello Stato, dal canto suo, rileva che la disciplina censurata, quanto ai primi tre commi dell'art. 72, è riferibile alla materia della tutela della concorrenza, di competenza statale. Tale materia infatti, intesa in senso dinamico, comprende anche la disciplina di interventi promozionali o di sostegno alle imprese, tutte le volte in cui essi siano destinati ad incidere sull'equilibrio economico generale dello Stato e siano perciò qualificabili come «macroeconomici». Siffatta competenza, aggiunge la difesa erariale, è trasversale sicché legittimamente attraversa anche materie di competenza regionale, rimanendo riservati alle Regioni gli interventi localistici, «sintonizzati» sulla realtà produttiva regionale.

    Gli interventi previsti dalla disposizione censurata rientrerebbero in definitiva tra quelli conservati alla competenza statale dall'art. 18, lettera o), del decreto legislativo  31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), trattandosi di misure finanziarie volte ad incentivare gli investimenti e l'espansione del mercato in ampi ed importanti settori produttivi in una prospettiva che – per rilevanza dei settori, dimensione territoriale, generale accessibilità e simultaneità degli interventi – si riflette chiaramente sull'intera economia nazionale.

    Per quanto concerne il comma 4, l'Avvocatura, precisato che le sole disposizioni vincolanti per le Regioni sono quelle di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2 della norma impugnata, ribadisce che esse costituiscono «principi fondamentali» per il coordinamento della finanza pubblica ai sensi del comma terzo dell'art. 117 della Costituzione, in quanto non esprimono una specifica regolamentazione dei provvedimenti da assumere dagli enti substatali, relativamente agli interventi di propria competenza, ma dettano solo criteri di principio cui si atterrà la disciplina regionale, in funzione dell'unitario obiettivo di  contenimento degli oneri finanziari pubblici.

Considerato in diritto

    1.– La Regione Emilia-Romagna ha impugnato, con un unico ricorso, numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), tra l'altro censurando, in riferimento agli artt. 117, commi terzo e quarto, 118 e 119 della Costituzione, l'art. 72, commi 1, 2, 3 e 4, della legge.

    Ad avviso della Regione ricorrente i primi tre commi della norma impugnata sarebbero lesivi delle competenze regionali, in quanto, anziché disporre il mero riparto tra le Regioni delle somme stanziate dallo Stato quali trasferimenti alle imprese per  contributi alla produzione e agli investimenti, prevedono la costituzione di fondi rotativi, gestiti, sulla base dei principi dettati dal comma 2, mediante decreti interministeriali di natura sostanzialmente regolamentare, nonostante che la materia – quella appunto dei contributi all'imprenditoria – debba ritenersi appartenente alla competenza residuale esclusiva delle Regioni.

    Il comma 4, che qualifica le precedenti disposizioni (ed in particolare quelle di cui al comma 2) come norme di principio e coordinamento, cui anche le Regioni devono adeguare i propri interventi, in relazione a non meglio specificati obblighi comunitari, sarebbe a sua volta lesivo dell'autonomia legislativa e finanziaria delle Regioni stesse, non competendo allo Stato di stabilire le modalità di spesa regionale in un determinato settore.

    2.– Per ragioni di omogeneità di materia, la trattazione della indicata questione di legittimità costituzionale viene separata dalle altre, sollevate con il medesimo ricorso, che formeranno (o hanno già formato) oggetto di distinte decisioni.

    3.– La questione, quanto ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 72 della legge n. 289 del 2002, è inammissibile.

    Le disposizioni in esame riguardano – come esplicitamente enuncia il comma 1 –  «le somme iscritte nei capitoli del bilancio dello Stato aventi natura di trasferimenti alle imprese per contributi alla produzione e agli investimenti», e prevedono che tali somme confluiscano ad appositi fondi rotativi in ciascuno stato di previsione della spesa e siano quindi attribuite ai destinatari dei contributi, a decorrere dal 1° gennaio 2003, secondo criteri e modalità stabiliti con decreti interministeriali di natura non regolamentare, da emanarsi nel termine di cui al comma 3, sulla base dei principi indicati al comma 2.

    A prescindere da qualsiasi valutazione riguardo alla fondatezza delle censure formulate dalla Regione ricorrente, appare evidente che la prospettata lesione delle competenze regionali, che sarebbe in sostanza rappresentata dall'intervento finanziario diretto dello Stato in materia sottratta alla competenza statale, non è imputabile alla normativa impugnata, ma dovrebbe eventualmente ricondursi alle diverse disposizioni di legge in virtù delle quali avviene l'iscrizione, nel bilancio dello Stato, di somme «aventi natura di trasferimenti alle imprese per contributi alla produzione e agli investimenti».

    E' infatti tale destinazione imposta alle somme di cui si tratta che la Regione ricorrente ritiene contrastante con il riparto delle competenze a suo avviso delineato dai parametri costituzionali evocati, posto che le disposizioni impugnate si limitano a disciplinare la gestione di tali somme secondo modalità che sono coerenti con la loro (preesistente) natura di stanziamento statale finalizzato alla erogazione di contributi alle imprese, senza che da tale disciplina possa derivare alcuna ulteriore lesione dell'autonomia legislativa e finanziaria regionale.

    4.– La questione relativa al comma 4 dello stesso art. 72 non è fondata.

    Le disposizioni vincolanti per le Regioni sono, secondo la più corretta lettura dei commi precedenti alla quale aderisce anche l'Avvocatura dello Stato, quelle di cui al comma 2 relative: a) all'ammontare minimo della quota di contributo soggetta a rimborso; b) alla decorrenza e durata massima del piano di rimborso; c) alla misura minima del tasso d'interesse da applicare alle somme rimborsate.

    Indipendentemente dalla loro autoqualificazione come norme di principio e di coordinamento, quel che occorre precisare, guardando al loro contenuto diretto a fissare un limite al costo degli interventi, anche regionali, di contribuzione alla produzione e agli investimenti, è che si tratta di disposizioni con finalità di contenimento della spesa pubblica regionale e dirette, dunque, ad incidere sulla finanza regionale.

    Ora, il coordinamento della finanza pubblica, cui fa riferimento l'art. 117, comma terzo, della Costituzione, è, più che una materia, una funzione che, a livello nazionale, e quanto alla finanza pubblica nel suo complesso, spetta allo Stato.

    Ciò non esclude, ed in tal senso va letto il richiamo alla competenza concorrente di cui alla citata norma costituzionale, che il coordinamento incidente sulla spesa regionale deve limitarsi a porre i principi ai quali la Regione deve ispirare la sua condotta finanziaria, lasciando, poi, alla Regione la statuizione delle regole di dettaglio della condotta medesima.

    La norma impugnata è sicuramente rispettosa di tale criterio di riparto, in quanto pone esclusivamente limiti massimi all'onerosità, sotto diversi aspetti, degli interventi regionali di sostegno all'imprenditoria, senza invadere la sfera di competenza riservata al legislatore regionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riservata a separate pronunce la decisione delle questioni di legittimità costituzionale, proposte dalla ricorrente Regione Emilia-Romagna, di altre disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003),

    a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 72, commi 1, 2 e 3, della citata legge 27 dicembre 2002, n. 289, sollevata, in riferimento agli artt. 117, commi terzo e quarto, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe;

    b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 72, comma 4, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sollevata, in riferimento agli artt. 117, commi terzo e quarto, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il medesimo ricorso.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2004.