ORDINANZA N.318
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI “
- Guido NEPPI MODONA “
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfonso QUARANTA “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), promosso con ordinanza del 14 gennaio 2003 dalla Commissione tributaria regionale di Cagliari sul ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate di Cagliari 1 contro Boy Verina, iscritta al n. 1194 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 luglio 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio di appello, promosso dall’Agenzia delle entrate di Cagliari 1, avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Cagliari in data 7 luglio 2000, con la quale erano stati accolti i ricorsi proposti da una contribuente, la Commissione tributaria regionale di Cagliari, con ordinanza del 14 gennaio 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dell’art. 23 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), nella parte in cui non consente ai locatori di immobili ad uso commerciale di beneficiare del credito di imposta di ammontare pari all’importo dei canoni venuti a scadenza e non percepiti, riconosciuto ai locatori di immobili ad uso abitativo;
che, come riferisce il giudice rimettente, la ricorrente, proprietaria di un immobile ubicato in Cagliari, aveva dichiarato fra i redditi imponibili i canoni di locazione di detto immobile, ancorché non percepiti, ma successivamente, avendo ottenuto la convalida dello sfratto per morosità e non avendo recuperato i canoni insoluti, aveva chiesto il rimborso delle imposte versate (IRPEF e CSSN) sui medesimi canoni relativamente agli anni 1995 e 1996;
che l’istanza era stata respinta dalla Direzione regionale delle entrate, per essere stata presentata oltre il termine perentorio di diciotto mesi dalla data dei versamenti, previsto dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito);
che avverso il diniego l’interessata aveva proposto ricorso alla Commissione tributaria provinciale, deducendo l’inapplicabilità del termine di decadenza, in quanto prescritto solo per le ipotesi di «errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento»;
che, avendo l’adita Commissione accolto i ricorsi, l’Agenzia delle entrate aveva proposto impugnazione, deducendo: a) la violazione dell’art. 122 (rectius: 112) del codice di procedura civile, per omessa pronuncia sulla eccezione relativa alla mancata notifica del ricorso per l’anno 1995 all’ufficio competente (la Direzione regionale delle entrate), ai sensi degli artt. 20 e 22 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413); b) la violazione dell’art. 122 (rectius: 112) cod. proc. civ., per omessa pronuncia sulla eccezione relativa alla decadenza conseguente al decorso del termine di diciotto mesi, previsto dall’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, quanto alla istanza di rimborso per l’anno 1995; c) la falsa applicazione dell’art. 23 del d.P.R. n. 917 del 1986;
che l’appellata, costituitasi in giudizio, aveva resistito all’impugnazione, sollevando pregiudizialmente l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma testé citata;
che il giudice rimettente, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, rileva che l’art. 23, primo comma, del d.P.R. n. 917 del 1986 è stato modificato dall’art. 8 della legge n. 432 del 1998, di talché, al primo periodo, il quale stabilisce: «I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale…», ne sono stati aggiunti altri due, a tenore dei quali: «I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare»;
che il giudice rimettente osserva come, a seguito della modifica, siano rimasti esclusi dal beneficio i locatori di immobili commerciali, i quali, a differenza dei locatori di immobili ad uso abitativo, sono sempre tenuti a dichiarare i canoni di locazione, anche se non riscossi, e non possono usufruire del credito di imposta di ammontare pari alle imposte versate sui canoni non percepiti, con violazione sia dell’art. 3 Cost., sia dell’art. 53 Cost.;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale;
che, in particolare, il giudice a quo non avrebbe adeguatamente esaminato la rilevanza della questione, dal momento che l’istanza di rimborso si riferisce a imposte versate negli anni 1995 e 1996, laddove la normativa, sulla quale si fonda la censura di violazione del principio di uguaglianza, è stata introdotta con la legge n. 431 del 1998 (entrata in vigore il 30 dicembre 1998);
che, inoltre, a giudizio dell’Avvocatura l’ordinanza di rimessione è insufficientemente motivata, là dove implicitamente ritiene che la dichiarazione di incostituzionalità della norma censurata comporterebbe il rigetto dell’appello (quindi, la conferma dell’accoglimento della domanda di rimborso), senza che: a) siano analizzate le questioni giuridiche inerenti al contenuto e agli effetti delle disposizioni dell’art. 23 del d.P.R. n. 917 del 1986; b) sia detto alcunché sulla prova della mancata percezione dei canoni di locazione;
che, nel merito, l’Avvocatura deduce la manifesta infondatezza della questione, in quanto l’art. 23 del d.P.R. n. 917 del 1986, espressione di un generale e consolidato principio dell’ordinamento tributario, va inteso nel senso che il possesso di terreni o fabbricati costituisce di per sé manifestazione di capacità contributiva e determina l’obbligo di pagamento del tributo indipendentemente dalla prova della percezione effettiva di un reddito, essendo l’immobile produttivo di un reddito fondiario che concorre alla formazione dell’imponibile ai fini delle imposte dirette, anche quando il possessore non abbia percepito alcuna rendita;
che la circostanza che l’immobile sia dato in locazione a terzi può incidere solo sulla determinazione del reddito imponibile, in quanto l’art. 34, comma 4-bis, del d.P.R. n. 917 del 1986 stabilisce che il reddito è determinato in misura pari al canone, ridotto del 15%, qualora l’importo così determinato sia superiore al reddito ordinario medio determinato ai sensi del primo comma dello stesso articolo; dal che si desume che l’obbligo di adeguare l’imponibile al canone di locazione (con la riduzione del 15%) sussiste solo nel caso in cui il canone sia effettivamente esigibile, trovando altrimenti applicazione la regola generale del primo comma, secondo cui l’imponibile corrisponde al reddito medio ordinario, determinato mediante l’applicazione delle tariffe d’estimo;
che la Corte costituzionale ha ritenuto che il riferimento al canone, anziché al reddito catastale, può valere soltanto fino al momento della cessazione del rapporto locativo, mentre per il periodo successivo si riespande la regola generale per la quale l’imponibile si determina in base al reddito ordinario medio (sentenza n. 362 del 2000), con la conseguenza che, nei confronti del locatore di un immobile ad uso commerciale, trova applicazione il sistema normale di determinazione dell’imponibile in base al reddito ordinario medio, piuttosto che quello speciale basato sul maggior canone, allorché sia provata la inesigibilità del canone o la risoluzione del contratto di locazione;
che tale sistema non contrasta con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., come pure è stato chiarito dalla Corte costituzionale, nella richiamata sentenza n. 362 del 2000, affermando che “la capacità contributiva, quale idoneità alla obbligazione di imposta, desumibile dal presupposto economico al quale l’imposizione è collegata, può essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità sotto il profilo della palese arbitrarietà e manifesta irragionevolezza”;
che – prosegue l’Avvocatura – le disposizioni introdotte dall’art. 8 della legge n. 431 del 1998, riguardanti solo gli immobili ad uso abitativo, hanno carattere eccezionale, in quanto derogano al sistema impositivo ordinariamente applicabile, e ciò rende evidente l’infondatezza della censura di disparità di trattamento, dal momento che il principio di uguaglianza deve essere riferito al sistema applicabile in via ordinaria e non può implicare una generalizzata applicazione di un regime eccezionale; sicché, una volta stabilito che, nel periodo in cui il canone non è corrisposto, così come nel periodo successivo alla cessazione della locazione, i possessori di immobili ad uso commerciale sono assoggettati all’imposizione secondo il sistema ordinario, basato sul reddito ordinario medio, e una volta riconosciuto che tale sistema è conforme al principio di capacità contributiva, non vi è alcuno spazio per invocare l’estensione del più favorevole regime eccezionalmente stabilito a favore dei locatori di immobili ad uso abitativo;
che, sotto altro profilo, la diversità di trattamento fiscale fra le locazioni di immobili ad uso abitativo e quelle di immobili ad uso commerciale sarebbe razionalmente giustificata dalle differenze di disciplina fra le prime e le seconde per quanto attiene, in particolare, al rilascio per morosità: e infatti, mentre nel caso di locazione ad uso commerciale, l’art. 56 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), dispone che l’esecuzione deve avvenire alla data fissata dal giudice col provvedimento che dispone il rilascio, senza che il locatore sia tenuto a corrispondere l’indennità per la perdita dell’avviamento, di cui all’art. 34, nel caso di locazione ad uso abitativo è applicabile, oltre il citato art. 56, la procedura di graduazione disciplinata dal decreto-legge 23 gennaio 1982, n. 9 (Norme per l’edilizia residenziale e provvidenze in materia di sfratti), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1982, n. 94;
che, in conclusione, la diversità delle situazioni poste a raffronto giustifica la scelta del legislatore di riservare i benefici fiscali previsti dall’art. 8 della legge n. 431 del 1998 ai soli locatori di immobili ad uso abitativo.
Considerato che la Commissione tributaria regionale di Cagliari dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dell’art. 23 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), nella parte in cui non consente ai locatori di immobili ad uso commerciale di beneficiare del credito di imposta di ammontare pari all’importo dei canoni venuti a scadenza e non percepiti, riconosciuto ai locatori di immobili ad uso abitativo;
che la norma impugnata sarebbe di dubbia costituzionalità, a giudizio del rimettente, in quanto e nella parte in cui la modifica operata dalla legge n. 431 del 1998 determinerebbe una irrazionale disparità di trattamento tra locatori di immobili ad uso abitativo e locatori di immobili ad uso commerciale;
che difetta totalmente la rilevanza della questione nel giudizio a quo, essendo i tributi oggetto di controversia in tale giudizio relativi ad anni (1995 e 1996) anteriori alla modifica legislativa dalla quale, secondo il rimettente, sarebbe scaturita la censurata disparità di trattamento;
che, peraltro, nell’ordinanza di rimessione non è presente alcuna motivazione – non potendo qualificarsi tale l’accusa di “ingiustizia” rivolta alla norma – in ordine alla lamentata violazione dell’art. 53 Cost. da parte della norma nella formulazione, anteriore alla sua modifica, in vigore all’epoca dei fatti di causa;
che, conseguentemente, la questione è manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Cagliari, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 ottobre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 4 novembre 2004.