ORDINANZA N. 271
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori:
- Francesco AMIRANTE "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14, terzo comma, della legge 20 maggio 1985, n. 207 (Disciplina transitoria per l’inquadramento diretto nei ruoli nominativi regionali del personale non di ruolo delle unità sanitarie locali), promossi con n. 6 ordinanze del 21 febbraio 2002 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, rispettivamente iscritte ai nn. da 537 a 542 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti gli atti di costituzione di Guastalla Gabriella ed altri, Noto Maria Teresa ed altre, Di Giovanni Renato, Ferraris Luisella ed altre, Conticello Concetta e Cannata Anna Maria nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 giugno 2004 il Giudice relatore Annibale Marini;
uditi l’avvocato Salvatore Pensabene Lionti per Guastalla Gabriella ed altri, Noto Maria Teresa ed altre, Di Giovanni Renato, Ferraris Luisella ed altre, Conticello Concetta e Cannata Anna Maria e l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, con sei ordinanze depositate, in altrettanti giudizi, il 21 febbraio 2002, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 14, terzo comma, della legge 20 maggio 1985, n. 207 (Disciplina transitoria per l’inquadramento diretto nei ruoli nominativi regionali del personale non di ruolo delle unità sanitarie locali), secondo cui «gli psicologi psichiatrici, equiparati agli psichiatri a norma delle leggi 18 marzo 1968, n. 431, e 21 giugno 1971, n. 515, in quanto svolgenti funzioni psicoterapiche, hanno il trattamento giuridico-normativo di equiparazione anche ai fini dell’inquadramento nei ruoli nominativi regionali»;
che il rimettente – chiamato a pronunciarsi su domande di riconoscimento del trattamento di equiparazione proposte da numerosi psicologi, svolgenti funzioni psicoterapeutiche, inquadrati nell’amministrazione sanitaria pubblica presso il Dipartimento di salute mentale dell’Azienda USL n. 6 di Palermo – muove dalla premessa interpretativa, conforme alla consolidata giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato, secondo cui il regime di equiparazione giuridico-normativa attribuito dalla norma impugnata riguarda soltanto, in via transitoria, gli psicologi-psicoterapeuti che avevano già maturato il diritto alla equiparazione economica in base alla disciplina introdotta dalle leggi 18 marzo 1968, n. 431 (Provvidenze per l’assistenza psichiatrica), e 21 giugno 1971, n. 515 (Modifica dell’art. 5 della legge 18 marzo 1968, n. 431, relativa a provvidenze per l’assistenza psichiatrica e nuove norme per l’utilizzo delle somme ivi previste);
che, pertanto, l’equiparazione giuridico-normativa degli psicologi svolgenti funzioni psicoterapeutiche al personale medico non è estesa a coloro i quali, come i ricorrenti, pur svolgendo identiche funzioni, siano stati tuttavia assunti nell’amministrazione sanitaria pubblica dopo l’entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), che, inquadrando medici e psicologi, nell’ambito del ruolo sanitario, in distinte tabelle, ha posto fine al precedente regime di equiparazione economica derivante dalle richiamate leggi n. 431 del 1968 e n. 515 del 1971;
che, ad avviso del rimettente, la indubbia discrezionalità del legislatore in materia di inquadramento ed articolazione delle carriere nel pubblico impiego troverebbe tuttavia un limite nel generale principio di ragionevolezza, da cui discende – secondo la stessa giurisprudenza costituzionale – la necessità che la qualifica di inquadramento sia rapportata alle funzioni realmente espletate e che le differenziazioni degli inquadramenti, allorché si perseguano obiettivi di omogeneizzazioni di carriere, attribuzioni e trattamenti economici, trovino riscontro nelle esigenze proprie del «riassetto degli ordinamenti»;
che siffatto limite sarebbe violato dalla norma censurata, in quanto il confine temporale segnato, ai fini della sua applicazione, dalla data di entrata in vigore del d.P.R. n. 761 del 1979 non sarebbe collegabile ad alcun effettivo mutamento organizzativo, funzionale o professionale del personale di cui si tratta;
che, al contrario, la perdurante omogeneità delle posizioni lavorative degli psicologi-psicoterapeuti e dei medici-psicoterapeuti, costituente la ragione giustificativa del regime di equiparazione, risulterebbe ulteriormente evidenziata dal quadro normativo successivo al d.P.R. n. 761 del 1979 ed alla stessa legge n. 207 del 1985, ed in particolare dalla legge 18 febbraio 1989, n. 56 (Ordinamento della professione di psicologo), che, all’art. 3, comma 1, riserva l’esercizio dell’attività psicoterapeutica tanto ai laureati in psicologia quanto ai laureati in medicina e chirurgia, previa l’acquisizione di una «specifica formazione professionale» comune, mediante «corsi di specializzazione almeno quadriennali», e, all’art. 35, consente in via transitoria l’esercizio dell’attività psicoterapeutica a coloro i quali, medici o psicologi laureatisi entro l’anno accademico 1992-93, iscritti al relativo ordine, dichiarino di essere in possesso di una specifica formazione professionale in psicoterapia;
che, essendo dunque immutata la peculiarità della posizione lavorativo-professionale degli psicologi con funzioni psicoterapeutiche, la discriminazione in base al criterio temporale operata dalla norma censurata non troverebbe alcuna valida giustificazione sul piano costituzionale e si porrebbe perciò in contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione, nonché con il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, del quale costituisce elemento essenziale «un naturale rapporto di corrispondenza tra qualifiche, mansioni e trattamenti economici»;
che si sono costituite nei diversi giudizi le parti private ricorrenti, contestando principalmente la premessa da cui muove il rimettente, secondo il quale la norma impugnata avrebbe natura interpretativa e transitoria e riguarderebbe esclusivamente gli psicologi, svolgenti funzioni psicoterapeutiche, che già godevano del trattamento di equiparazione economica ai medici, in virtù della normativa previgente al d.P.R. n. 761 del 1979;
che al contrario, ad avviso delle suddette parti private, la disposizione riguarderebbe tutti gli psicologi-psicoterapeuti, a prescindere dalla data di assunzione nel Servizio sanitario nazionale, cosicché nessun ostacolo normativo impedirebbe l’accoglimento delle domande proposte nei giudizi a quibus;
che le suddette parti private concludono quindi per la declaratoria di infondatezza della questione per erroneità del presupposto interpretativo e, solo in via subordinata, per l’accoglimento della questione stessa sulla scorta dei medesimi argomenti addotti dal rimettente;
che è intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o di infondatezza della questione;
che, ad avviso della parte pubblica, la questione sarebbe innanzitutto priva di rilevanza «avendo il giudice rimettente inopinatamente ampliato e modificato l’oggetto del “petitum”, in modo tale che l’eventuale pronuncia di accoglimento non sarebbe applicabile o riferibile al caso concreto»;
che nell’ordinanza di rimessione difetterebbe inoltre qualsiasi specifica richiesta, cosicché dovrebbe inammissibilmente essere la stessa Corte ad individuare la parte della disposizione da invalidare;
che il rimettente avrebbe d’altro canto omesso di sottoporre al vaglio costituzionale altre disposizioni (tra cui gli artt. 1 e 3 della legge n. 56 del 1989), la cui sopravvivenza renderebbe inutile la caducazione della norma censurata;
che infine, nel merito, la materia rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore, nella specie esercitata senza violare alcuno dei parametri indicati dal rimettente.
Considerato preliminarmente che i sei giudizi, avendo ad oggetto la medesima questione, devono essere riuniti per essere decisi con unico provvedimento;
che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 14, terzo comma, della legge 20 maggio 1985, n. 207 (Disciplina transitoria per l’inquadramento diretto nei ruoli nominativi regionali del personale non di ruolo delle unità sanitarie locali), in quanto diversificherebbe, senza ragionevole giustificazione, il trattamento giuridico-normativo degli psicologi-psicoterapeuti inquadrati nei ruoli nominativi regionali del Servizio sanitario nazionale in ragione soltanto della data di assunzione, attribuendo il trattamento di equiparazione agli psichiatri solamente a quelli che, essendo stati assunti anteriormente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 761 del 1979, già godevano della (sola) equiparazione economica in virtù delle leggi n. 431 del 1968 e n. 515 del 1971, pur essendo rimasta nel tempo immutata, se non addirittura essendosi accentuata, la specificità del loro profilo professionale, costituente la ragione della disposta equiparazione;
che il medesimo rimettente dichiara peraltro di condividere l’orientamento ermeneutico prevalente nella giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato, secondo cui la norma in questione avrebbe carattere transitorio ed interpretativo e per tale motivo riguarderebbe esclusivamente il personale, già in servizio presso gli ospedali psichiatrici ed i centri o servizi di igiene mentale, transitato nei ruoli nominativi regionali a seguito della riforma sanitaria;
che la disciplina del rapporto dei dipendenti di cui ai giudizi a quibus, tutti assunti in data successiva al 1979, non è dunque quella impugnata – che fa riferimento, in via transitoria, ai soggetti già in servizio alla data del 1979 – bensì quella relativa all’inquadramento degli psicologi-psicoterapeuti nei ruoli del servizio sanitario nazionale;
che, pertanto, la questione, come prospettata, è priva di rilevanza, non dovendo il rimettente nei giudizi a quibus fare alcuna applicazione della norma impugnata, di carattere, ripetesi, dichiaratamente transitorio e perciò stesso non riferibile ai dipendenti che vengono nella specie in considerazione;
che, indipendentemente da ogni valutazione relativa alla sua fondatezza, la censura sollevata dal rimettente avrebbe dovuto, pertanto, investire la cosiddetta disciplina a regime, allo scopo di verificare se questa possa ritenersi lesiva dei parametri evocati nell’ordinanza di remissione;
che la questione, così come proposta, va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, terzo comma, della legge 20 maggio 1985, n. 207 (Disciplina transitoria per l’inquadramento diretto nei ruoli nominativi regionali del personale non di ruolo delle unità sanitarie locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.
F.to:
Carlo MEZZANOTTE, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2004.