ORDINANZA N.248
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 268, comma 3, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 17 aprile 2002 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani nel procedimento penale a carico di A.E. ed altro, iscritta al n. 388 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 aprile 2004 il giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 268, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui — secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità — prevede che non soltanto le intercettazioni telefoniche, ma anche quelle di comunicazioni tra presenti possano essere compiute esclusivamente per mezzo di impianti installati presso la procura della Repubblica, salvo provvedimento motivato di deroga del pubblico ministero che — a fronte della insufficienza o inidoneità di detti impianti e dell’esistenza di eccezionali ragioni di urgenza — disponga il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria;
che l’ordinanza premette, in punto di fatto, che nel corso delle indagini preliminari relative ad un reato di estorsione erano state effettuate intercettazioni di comunicazioni tra presenti, che avevano fornito elementi decisivi di prova in ordine al fatto criminoso ed ai responsabili;
che le operazioni non erano state eseguite tramite gli impianti installati presso la procura della Repubblica — per l’impossibilità tecnica di farlo — senza tuttavia che vi fosse un decreto motivato del pubblico ministero di autorizzazione all’impiego di impianti esterni;
che la circostanza aveva indotto lo stesso organo dell’accusa a ritenere inutilizzabili (ex art. 271, comma 1, cod. proc. pen.) i risultati delle intercettazioni e conseguentemente a chiedere — stante il loro ruolo essenziale ai fini della composizione del quadro probatorio — l’archiviazione del procedimento;
che, in proposito, il giudice a quo osserva come la giurisprudenza di legittimità avesse originariamente ritenuto che le regole dettate dall’art. 268, comma 3, cod. proc. pen. attenessero alle sole intercettazioni telefoniche, e non anche alle c.d. intercettazioni ambientali: e ciò sul rilievo che queste ultime, necessitando di apparecchiature vicine alla fonte sonora, non avrebbero potuto essere tecnicamente eseguite a mezzo degli impianti esistenti presso la procura della Repubblica;
che si era peraltro recentemente affermato un orientamento di segno opposto — recepito anche dalle sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza 31 ottobre - 28 novembre 2001, n. 32 — alla stregua del quale la formulazione letterale dell’art. 268, comma 3, cod. proc. pen. — che regola in termini generali e indifferenziati l’esecuzione delle operazioni di intercettazione — non consentirebbe di stabilire distinzioni di sorta tra i due tipi di intercettazione in parola: tanto più che l’evoluzione tecnologica avrebbe reso possibile il compimento di intercettazioni ambientali a distanza, con conseguente venir meno della giustificazione pratica che aveva ispirato la precedente giurisprudenza; che in base a tale indirizzo, dunque, anche in rapporto alle intercettazioni di comunicazioni tra presenti, l’impiego di impianti esterni sarebbe consentito solo in base a provvedimento motivato del pubblico ministero che attesti l’insufficienza o inidoneità degli impianti installati presso la procura della Repubblica e la sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza;
che la lettura giurisprudenziale in parola — che il rimettente assume come ‘diritto vivente’ — renderebbe tuttavia illegittima la norma impugnata per eccesso di delega, avuto riguardo alla direttiva di cui al n. 41, lettera d), dell’art. 2 della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale), la quale prevedeva l’individuazione degli impianti presso cui le intercettazioni possono essere effettuate solo con riferimento alle intercettazioni telefoniche: impedendo, così, al legislatore delegato di stabilire "modalità specifiche" per altri tipi di intercettazione e di sanzionarne altresì la violazione con l’inutilizzabilità dei risultati;
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata.
Considerato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini della valutazione del vizio di eccesso di delega, le norme della legge di delegazione che determinano i principi e i criteri direttivi devono essere interpretate tenendo conto del complessivo contesto normativo e delle finalità ispiratrici della delega (cfr., ex plurimis, sentenze n. 96 del 2001 e n. 276, n. 292 e n. 415 del 2000; ordinanza n. 259 del 2001);
che, nella specie, la direttiva di cui al n. 41, lettera d), dell’art. 2 della legge 16 febbraio 1987, n. 81, invocata dal rimettente come norma interposta, si pone, sul piano degli obiettivi, in collegamento con le affermazioni contenute nella sentenza n. 34 del 1973 di questa Corte: affermazioni — rese avendo di mira un sistema processuale, quale quello del codice di procedura penale del 1930, che disciplinava unicamente le intercettazioni telefoniche — in forza delle quali fra le "garanzie" richieste dall’art. 15, secondo comma, Cost., ai fini della limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni, rientrano non solo quelle di ordine giuridico, ma anche quelle attinenti alla predisposizione dei servizi tecnici necessari affinché l’autorità giudiziaria possa controllare, anche di fatto, che si proceda "alle intercettazioni autorizzate, solo a queste e solo nei limiti dell’autorizzazione";
che, sul piano letterale e sistematico, la medesima direttiva va inoltre letta in correlazione, per un verso, con l’alinea dello stesso n. 41, che prefigurava il possibile ampliamento della disciplina delle intercettazioni a "conversazioni e altre forme di comunicazione", non preventivamente tipizzate dal legislatore delegante; e, per un altro verso, con la direttiva di cui alla lettera b), che conferiva al legislatore delegato ampio e generico mandato a predeterminare "le modalità delle intercettazioni";
che, in tale prospettiva, non può dunque sostenersi che il legislatore delegante — nel prevedere l’individuazione degli impianti presso cui possono essere effettuate le intercettazioni "telefoniche" — intendesse precludere, a contrario, al legislatore delegato di dettare regole in tema di localizzazione degli impianti utilizzabili anche in rapporto a forme di intercettazione, di nuova introduzione, diverse da quelle telefoniche, rispetto alle quali pure potessero ravvisarsi esigenze di controllo fattuale dell’autorità giudiziaria sullo svolgimento delle operazioni, omologhe a quelle che costituivano la ratio fondante della direttiva in questione: identità di esigenze che le sezioni unite della Corte di cassazione — nella pronuncia richiamata dallo stesso giudice a quo — hanno per l’appunto ritenuto di poter ravvisare in riferimento alle c.d. intercettazioni ambientali, basando proprio su tale argomento teleologico — oltre che su quello letterale — l’interpretazione su cui si radica il quesito di costituzionalità;
che, pertanto, anche qualora la norma impugnata venga interpretata nel senso che il giudice a quo assume come "diritto vivente", essa non contrasterebbe con il parametro costituzionale evocato;
che non spetta, d’altro canto, a questa Corte valutare la congruità — in rapporto alle caratteristiche tecniche di esecuzione delle c.d. intercettazioni ambientali — della totale assimilazione di queste ultime alle intercettazioni telefoniche sotto il profilo considerato, postulata dalla soluzione interpretativa posta a base del quesito di costituzionalità;
che la questione deve essere dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 268, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2004.