SENTENZA N.232
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 282 e 474 del codice di procedura civile promosso con ordinanza del 14 luglio 2003 dal Giudice unico del Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Lacu Angela e Diana Marisa, iscritta al n. 936 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 maggio 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto in fatto
1.– Il Giudice unico del Tribunale di Torino, con ordinanza del 14 luglio 2003, ha sollevato d'ufficio, in riferimento agli articoli 3, 24, 111, secondo comma, della Costituzione e (in motivazione) anche all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 282 e 474 del codice di procedura civile.
1.1.– In punto di fatto, il giudice a quo riferisce che, notificato dalla parte creditrice precetto per ottenere il pagamento delle spese di lite liquidate dalla sentenza con la quale il giudice di primo grado aveva dichiarato la propria incompetenza, l’intimato aveva proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, cod. proc. civ.
Riferisce, inoltre, il giudice rimettente che l’opposizione era fondata sul consolidato principio giurisprudenziale – di cui costituiscono espressione Cass. 12 giugno 2000, n. 9236 e Cass. 24 maggio 1993, n. 5837 – secondo cui la condanna alle spese del giudizio, contenuta nella sentenza di primo grado, è titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 cod. proc. civ. solo ove sia accessoria ad una pronuncia di condanna provvisoriamente esecutiva, secondo quanto disposto dall’art. 282 cod. proc. civ. (come modificato dall’art. 33 della legge 26 novembre 1990, n. 353, recante "Provvedimenti urgenti per il processo civile") e non anche ove acceda, come nel caso di specie, ad una pronuncia di rigetto.
1.2.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo osserva che tale orientamento della giurisprudenza di legittimità, costituente ormai "diritto vivente", "nella parte in cui non prevede che anche la sentenza del giudice di primo grado, di condanna al pagamento delle spese di lite, quando è conseguente a declaratoria di rigetto della domanda o di incompetenza del giudice adito, è titolo esecutivo", pone il combinato disposto degli articoli 282 e 474 cod. proc. civ. in conflitto con il dettato costituzionale e, in particolare:
– con il principio della ragionevole durata del processo – sancito dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ed oggi recepito espressamente dall’articolo 111, secondo comma, della Costituzione – in quanto la mancata previsione della provvisoria esecutività solo per alcune sentenze di primo grado alimenterebbe gli appelli dilatori e le opposizioni all’esecuzione forzata;
– con il principio di uguaglianza di fronte alla legge (sancito dell’articolo 3 della Costituzione) e della parità delle armi nel processo (sancito dall’art. 111, secondo comma, della Costituzione), in quanto – analogamente a quanto disponevano, in favore del solo lavoratore, nel processo del lavoro l’art. 431, primo comma, cod. proc. civ. nella formulazione precedente la modifica operata dall’art. 69 della legge 26 novembre 1990, n. 353 e, in favore del danneggiato da sinistro stradale, l’art. 5-bis del decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39 – realizza una disparità di trattamento tra soggetti che si trovano nella stessa condizione di aver vinto una causa, col concedere solo ad alcuni di essi l’immediata azionabilità del diritto alle spese consacrato nella pronuncia di primo grado;
– con il principio dell’azionabilità dei propri diritti e dell’effettività delle garanzie processuali (sancito dall’art. 24 della Costituzione), in quanto la sentenza di primo grado che non sia anche provvisoriamente esecutiva costituisce un diritto limitato con riguardo al termine iniziale di azionabilità, esponendo altresì la parte vittoriosa, che intenda procedere in via esecutiva, al pagamento delle spese del giudizio di opposizione ex art. 615 cod. proc. civ.
1.3.– Osserva, quindi, il giudice rimettente che la questione è sicuramente rilevante nel giudizio a quo atteso che, nel caso in cui venisse dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme denunciate, la sentenza di primo grado, provvisoriamente azionata per le spese, andrebbe considerata (ab initio) titolo esecutivo, con conseguente rigetto della opposizione all’esecuzione.
2.– E’ intervenuto, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha concluso per la inammissibilità o per la manifesta infondatezza della questione.
Rileva in primo luogo la difesa erariale che dall’ordinanza di rimessione non risulta se la sentenza del giudice di pace, azionata in via esecutiva, sia stata o meno gravata degli ordinari mezzi di impugnazione (appello o ricorso per cassazione, a seconda del valore della causa, non essendo esperibile, ai sensi dell’art. 46 cod. proc. civ., il regolamento di competenza), in tale ultimo caso risultando irrilevante la questione proposta.
Nel merito, ad opinione dell’Avvocatura, la manifesta infondatezza della questione si coglierebbe con riguardo alle circostanze: a) che la ragionevole durata del processo non ha nulla a che vedere con l’esecutività della sentenza e con il sistema dei gravami ma, piuttosto, col tempo necessario ad emettere la pronuncia; b) che il principio di eguaglianza non può essere invocato allorché vi sia disomogeneità tra le fattispecie raffrontate, come è nel caso di specie per le sentenze di condanna da una parte e per quelle di accertamento e costitutive dall'altra; c) che "l’art. 24 Cost. non è certo incompatibile con il sistema dei gravami, per il quale la ‘ragione’ e il ‘torto’ costituiscono la verità processuale del giudicato, nella garanzia del ‘controllo’ del giudice superiore".
Considerato in diritto
Il Tribunale di Torino dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, comma secondo, Cost. e all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del combinato disposto degli artt. 282 e 474 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che sia titolo provvisoriamente esecutivo anche il capo della sentenza di primo grado, di condanna al pagamento delle spese di lite, quando è accessorio a declaratoria di rigetto della domanda o di incompetenza.
L’eccezione di inammissibilità proposta dall’Avvocatura generale dello Stato per carenza della motivazione sulla rilevanza deve essere respinta: dall’ordinanza emerge, infatti, che la notifica del precetto (20 settembre 2002) è avvenuta quando, anche per la sospensione dei termini nel periodo feriale, certamente era ancora pendente il termine per impugnare la sentenza (pubblicata il 30 luglio 2002), e pertanto sarebbe stata del tutto superflua la precisazione, da parte del rimettente, della effettiva proposizione, o non, dell’impugnazione.
Nel merito, la questione è infondata.
Va premesso che i parametri della ragionevole durata del processo – di cui agli artt. 111, secondo comma, Cost., e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – e del principio della azionabilità dei diritti – di cui all’art. 24 Cost. – sono manifestamente non pertinenti dal momento che il preteso incentivo a proporre appelli dilatori e la possibilità di subire opposizioni all’esecuzione in caso di esercizio dell’azione esecutiva costituiscono, a tutto concedere alla loro plausibilità, inconvenienti di mero fatto e non certamente indici della violazione delle invocate norme costituzionali.
La dedotta violazione del principio di eguaglianza di fronte alla legge (art. 3 Cost.) e, conseguentemente, della parità delle armi (art. 111, secondo comma, Cost.) tra il vincitore della causa che, vedendo accolta la sua domanda, ottiene un capo di condanna alle spese provvisoriamente esecutivo ed il vincitore della causa che, vedendo rigettata la domanda proposta nei suoi confronti, ottiene un capo di condanna alle spese privo della provvisoria efficacia esecutiva, non sussiste.
Il rimettente muove dal presupposto che, secondo il c.d. diritto vivente, il capo di condanna alle spese sia "accessorio" rispetto al capo della sentenza che decide il merito della causa e che da tale "accessorietà" discenda inesorabilmente che, ove il capo principale non rechi condanna (esecutiva ex lege: art. 282 cod. proc. civ.), il capo relativo alle spese verrebbe attratto nel medesimo regime quanto alla non esecutività immediata: e ciò nonostante il capo relativo alle spese sia di condanna e, pertanto, anch’esso assoggettabile al principio – sancito dall’art. 282 cod. proc. civ. – dell’esecutività ex lege di tutte le sentenze di primo grado di condanna.
In proposito è agevole rilevare come l’impostazione della questione sia erronea sotto un duplice profilo: in primo luogo, perché essa trascura di considerare che l’art. 282 cod. proc. civ. mira – per finalità certamente non irragionevoli perseguite dal legislatore – ad anticipare, rispetto a quello della irretrattabilità, il momento della efficacia della sentenza di merito di primo grado (così come, ante Novella del 1990, il legislatore aveva fatto con riguardo alla sentenza di secondo grado); in secondo luogo, perché adotta un concetto del tutto improprio di accessorietà, laddove l’art. 31 cod. proc. civ. designa con tale locuzione domande ulteriori rispetto a quella principale, in relazione alla quale si radica la competenza territoriale del giudice.
Ove avesse tenuto conto di ciò, il rimettente avrebbe constatato che l’art. 282 cod. proc. civ. non impedisce certamente che siano muniti di efficacia esecutiva immediata capi condannatori "accessori" (id est, di accoglimento di domande accessorie ex art. 31 cod. proc. civ.) rispetto a capo non condannatorio relativo alla domanda principale, e cioè che, ove di vera accessorietà si tratti, opera pienamente il principio dell’anticipazione della efficacia della sentenza di merito (di condanna) rispetto al momento della definitività.
Così come avrebbe constatato che il capo della condanna alle spese non può certamente definirsi "accessorio" nel senso di cui all’art. 31 cod. proc. civ., in quanto non solo la pronuncia sulle spese non presuppone affatto, affinché il giudice possa (ed anzi, debba) adottarla, una domanda di parte (la quale, pure se proposta, è irrilevante ai fini del valore della causa: arg. ex artt. 10 e 31 cod. proc. civ.), ma essa ha il suo "titolo" esclusivamente nel contenuto della decisione sul merito della controversia, in applicazione del principio della soccombenza (art. 91 cod. proc. civ.).
Di qui la conseguenza che il capo sulle spese, quando costituisce corollario (più che "accessorio") di una pronuncia di merito non suscettibile per il suo contenuto di vedere anticipata la sua efficacia rispetto alla definitività, non chiama in gioco, nonostante sia un capo di condanna, l’art. 282 cod. proc. civ., il quale, si ripete, riguarda di per sé esclusivamente la decisione di merito; sicché la questione è sollevata in base ad erroneo presupposto interpretativo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 282 e 474 del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, nonché all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dal Tribunale di Torino con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2004.