ORDINANZA N.184
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), promosso con ordinanza del 21 febbraio 2003 dal Tribunale per i minorenni di Firenze sul ricorso proposto da G. E., iscritta al n. 873 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2003.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 maggio 2004 il Giudice relatore Franco Bile.
Ritenuto che, con ordinanza del 21 febbraio 2003, il Tribunale per i minorenni di Firenze ha sollevato d'ufficio, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nel testo sostituito dall'art. 24 della legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell'adozione e dell'affidamento del minore”, nonché al Titolo VIII del Libro primo del codice civile), secondo cui “L'accesso alle informazioni non è consentito se l'adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all'adozione a condizione di rimanere anonimo”;
che la norma è impugnata “nella parte in cui esclude la possibilità di autorizzare l'adottato all'accesso alle informazioni sulle origini senza avere previamente verificato la persistenza della volontà di non volere essere nominato da parte del genitore biologico”;
che l'ordinanza è stata resa nel corso di un procedimento civile nel quale l'istante – premesso di essere stato adottato all'età di pochi mesi; di provare, essendo divenuto padre all'età di trentadue anni, un vivo desiderio di conoscere le proprie origini; di sapere peraltro della volontà di non essere nominata manifestata dalla madre biologica – aveva chiesto al Tribunale di interpellare la madre per accertare se, a distanza di tanti anni, non avesse cambiato idea;
che il rimettente rileva come l'art. 28 della legge n. 184 del 1983 – pur consentendo, al comma 5, all'adottato ultraventicinquenne l'accesso alle informazioni riguardanti la propria origine e l'identità dei genitori biologici – al comma 7 vieti tuttavia questo accesso “se l'adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato o abbia manifestato il consenso all'adozione a condizione di rimanere anonimo”;
che, secondo il giudice rimettente, il diritto alla ricerca delle proprie origini, in quanto aspetto del diritto all'identità personale, è tutelato dall'art. 2 della Costituzione e riconosciuto da disposizioni del diritto internazionale pattizio, in particolare dagli artt. 7 e 8 della Convenzione di New York del 1989, resa esecutiva con la legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989) e dalla Convenzione dell'Aja del 1993, resa esecutiva con la legge 31 dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozioni internazionali, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184), e pertanto la negazione dell'accesso alle notizie sulla propria famiglia biologica sol perché il genitore abbia dichiarato di non voler essere nominato dovrebbe essere considerata incostituzionale;
che, d'altro canto, l'esigenza di tutelare in modo assoluto il diritto alla riservatezza della madre biologica – pur rispondendo soprattutto all'interesse pubblico di disincentivare il ricorso all'interruzione della gravidanza o, nei casi peggiori, all'infanticidio – mirerebbe altresì, specie nel quadro culturale e sociale di qualche decennio fa, a tutelare la madre da un passato da dimenticare perché disonorevole o doloroso;
che, peraltro, ad avviso del rimettente, questi interessi non sarebbero posti in pericolo dal “semplice prevedere la possibilità di confermare, su istanza del figlio, la decisione presa molti anni prima in ordine alla scelta di rimanere nell'anonimato”, posto che la madre potrebbe comunque ribadirla;
che, quindi, nel riformare l'art. 28 della legge n. 184 del 1983 in ordine all'accesso dell'adottato alle informazioni sulle proprie origini, il legislatore – pur recependo i suggerimenti pervenuti dalle scienze giuridiche, psicologiche e sociali sull'importanza della conoscenza dei propri dati biologici quale esplicazione del diritto dell'adottato alla costruzione della propria identità personale – avrebbe finito, con la previsione del comma 7, per precludere irragionevolmente, nella maggior parte dei casi, ciò che voleva consentire;
che, in conclusione, la norma impugnata – ad avviso del rimettente – violerebbe l'art. 2 della Costituzione, sotto il profilo della lesione del diritto dell'adottato a conoscere la propria identità personale, l'art. 32 Cost., sotto il profilo della lesione del diritto alla salute ed all'integrità psico-fisica dell'adottato medesimo, e l'art. 3 Cost., sotto il profilo della lesione del principio di eguaglianza per disparità di trattamento, in quanto sottoporrebbe a diversa disciplina due soggetti versanti nella medesima condizione, ossia l'adottato la cui madre non abbia dichiarato alcunché (il quale può accedere alle informazioni con l'autorizzazione del tribunale per i minorenni, peraltro non necessaria in caso di morte o irreperibilità dei genitori adottivi) e l'adottato la cui madre abbia dichiarato di non voler essere nominata (il quale non può mai accedere alle informazioni, indipendentemente dalla circostanza che la madre possa aver cambiato idea);
che il rimettente pone altresì a confronto la situazione dei minori (più o meno piccoli di età) dichiarati in stato di abbandono in presenza di una (a volte anche determinata) opposizione dei genitori biologici, in relazione ai quali il divieto del comma 7 non opera, e quella dei minori figli di genitori che hanno rinunciato volontariamente ad essi (in genere subito dopo la nascita) chiedendo l'anonimato, che sono invece soggetti al divieto;
che questo diverso trattamento creerebbe un'irragionevole disuguaglianza, posto che il genitore biologico della prima ipotesi è portatore di maggiori insidie per l'equilibrio dell'adottato e dei genitori adottivi, mentre il genitore che ha volontariamente abbandonato l'adottato, a distanza di tanti anni, “potrebbe avere elaborato la condotta passata ed essere coinvolto in una preparazione della conoscenza delle origini da parte dell'adottato che risarcisca nell'animo di questi il trauma dell'abbandono e nel suo stesso animo il trauma di avere abbandonato”;
che, sotto tale profilo, la norma censurata violerebbe il principio di eguaglianza “quanto meno nella parte in cui non prevede l'accertamento della persistente intenzione del genitore di restare non nominato, dopo il decorso del lungo periodo previsto dalla legge (non meno di 18 o 25 anni)”;
che il rimettente ritiene la questione rilevante, in quanto la norma impugnata gli preclude la possibilità di verificare, con il richiesto interpello, la persistente volontà della madre biologica di non essere nominata;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato memoria, nella quale ha sostenuto l'infondatezza della questione.
Considerato che la norma impugnata – successivamente alla pronunzia dell'ordinanza di rimessione – è stata modificata dall'art. 177, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali);
che, in particolare, tale norma ha sostituito – a decorrere dal 1° gennaio 2004 (art. 186 dello stesso decreto legislativo) – il comma 7 dell'articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nel testo introdotto dall'art. 24 della legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell'adozione e dell'affidamento del minore”, nonché al Titolo VIII del Libro primo del codice civile), in riferimento al quale il rimettente ha proposto la questione di legittimità costituzionale;
che, nel testo risultante da tale sostituzione, il comma 7 vieta l'accesso alle informazioni sulle origini dell'adottato solo per il caso “della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396”, onde l'ambito di operatività del divieto è ora ristretto ad una sola delle tre ipotesi previste dal testo considerato dal rimettente;
che compete al rimettente valutare se nel giudizio a quo si debba applicare il vecchio o il nuovo testo del comma 7 dell'art. 28; se, in tal caso, la modifica legislativa comporti la proposizione di una questione di legittimità costituzionale; e se essa debba essere formulata negli stessi termini di cui all'ordinanza di rimessione ovvero in termini diversi;
che, pertanto, occorre ordinare la restituzione degli atti al rimettente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale per i minorenni di Firenze.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2004.
F.to:
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Franco BILE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2004.