Ordinanza n. 142 del 2004

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ORDINANZA N.142

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                  Presidente

- Valerio                        ONIDA                                    Giudice

- Carlo                           MEZZANOTTE                           "

- Fernanda                     CONTRI                                       "

- Guido                         NEPPI MODONA                       "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                                "

- Annibale                     MARINI                                       "

- Franco                         BILE                                             "

- Giovanni Maria           FLICK                                          "

- Francesco                    AMIRANTE                                 "

- Ugo                             DE SIERVO                                 "

- Romano                      VACCARELLA                           "

- Paolo                           MADDALENA                            "

- Alfonso                       QUARANTA                               "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 56 e 57 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e degli articoli 25 e 43, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), promosso con ordinanza del 7 aprile 2003 dalla Corte di appello di Perugia nel procedimento civile vertente tra Regione Umbria e S. F. R., iscritta al n. 415 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti l’atto di costituzione di S. F. R. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 marzo 2004 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto che la Corte di appello di Perugia, con ordinanza del 7 aprile 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 56 e 57 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e degli artt. 25 e 43, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), nel testo antecedente alle modifiche intervenute con l’art. 15 del decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387;

che dette norme sono censurate in quanto – «qualora vengano interpretate nel senso della insussistenza del diritto del dipendente di una pubblica amministrazione di percepire la differenza di trattamento economico in relazione alla qualifica superiore (e laddove si dovesse interpretare l’evoluzione normativa … nel senso che solo con le modifiche intervenute con l’art. 15, d.lgs. n. 387 del 1998, sia stato introdotto tale diritto)» – vulnererebbero l’art. 3 Cost. sotto il duplice profilo dell’irragionevolezza e della disparità di trattamento, insita nel negare per un certo periodo a determinate mansioni ogni rilievo ai fini delle differenze retributive e nel riconoscerlo invece ad identiche mansioni ma soltanto limitatamente ad un periodo successivo;

che le medesime norme, interpretate nel senso ora riportato, risulterebbero altresì preclusive della diretta applicazione dell’art. 36 Cost.;

che il giudice a quo, investito del gravame proposto dalla Regione Umbria avverso la sentenza con cui il giudice di primo grado aveva riconosciuto ad un suo ex dipendente le differenze retributive relative allo svolgimento di mansioni superiori dal 1° ottobre 1991 al 31 dicembre 1998, osserva come, secondo l’appellante, il disposto dell’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993 (sostituito dall’art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998), pur riconoscendo una rilevanza economica e giuridica allo svolgimento di mansioni superiori, avrebbe rinviato l’applicazione di tale normativa all’emanazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali previsti dai contratti collettivi;

che in tal modo, pur essendo tale principio divenuto immediatamente operativo (ancor prima della stipula dei predetti contratti collettivi) – a seguito della modifica operata sul comma 6 di detto art. 56 dall’art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998 – tuttavia esso troverebbe applicazione solo pro futuro, onde sarebbero retribuibili in base all’art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993 solo le mansioni superiori svolte dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 387 del 1998;

che, a parere della Corte remittente, le disposizioni censurate, laddove si dovessero interpretare nel senso suddetto, risulterebbero costituzionalmente illegittime benché, avuto riguardo all’evoluzione della normativa, esse non sarebbero comunque ostative al riconoscimento del diritto alle differenze retributive, anche argomentando sulla scorta della diretta applicabilità dell’art. 36 Cost., affermata da molteplici decisioni dei giudici amministrativi;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione, sia perchè il rapporto di pubblico impiego si sottrarrebbe alla logica di scambio sottesa all’art. 36 Cost., sia per la indisponibilità degli interessi pubblici preposti alla scelta del tipo di attività cui assegnare il dipendente in osservanza dei valori di imparzialità e di buon andamento;

che nel giudizio davanti a questa Corte si è tardivamente costituita la parte privata.

Considerato che la Corte di appello di Perugia dubita, in riferimento agli articoli 3 e 36 Cost., della legittimità costituzionale degli articoli 56 e 57 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, nella loro originaria formulazione e come successivamente modificati dagli artt 25 e 43, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, nel testo precedente l’entrata in vigore del decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387, in quanto escluderebbero il diritto del dipendente di una pubblica amministrazione a ricevere le differenze di retribuzione tra quanto gli spetta per le mansioni effettivamente svolte, superiori a quelle proprie della qualifica attribuitagli, e ciò che in riferimento a quest’ultima gli viene corrisposto;

che, secondo la remittente, le norme impugnate, qualora ad esse venisse attribuito il contenuto suindicato, violerebbero il precetto costituzionale che vuole che la retribuzione sia adeguata, tra l’altro, alla qualità del lavoro svolto (art. 36 Cost.) nonché quello della necessaria parità di trattamento (art. 3 Cost.) tra lavoratori che svolgono le medesime mansioni pur rivestendo qualifiche diverse, e lederebbero altresì il canone della ragionevolezza per il fatto che a determinate mansioni verrebbe negato ogni rilievo ai fini retributivi per il periodo di tempo antecedente l’entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998, riconoscendolo invece per il periodo successivo;

che la Corte d’appello di Perugia non fornisce la propria autonoma interpretazione delle norme censurate;

che essa neppure enuncia l’esistenza di un univoco indirizzo giurisprudenziale tale da assurgere al rango di “diritto vivente”, ma, al contrario, dà atto dell’esistenza di una duplicità di orientamenti interpretativi e manifesta la propria preferenza per quello che, attribuendo alle disposizioni denunciate il contenuto di non escludere il suindicato diritto alle differenze retributive, risulterebbe conforme ai parametri costituzionali evocati;

che la questione si risolve pertanto nella richiesta alla Corte di avallare l’opzione ermeneutica che la remittente ritiene preferibile;

che, in tal modo motivata, l’ordinanza di rimessione solleva un mero problema interpretativo ed è inidonea a introdurre il giudizio di legittimità costituzionale (vedi ex plurimis ordinanze n. 92 del 2004, n. 289 del 2003 e n. 442 del 2001).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 56 e 57 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e degli artt. 25 e 43, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 36 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Perugia con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 14 maggio 2004.