ORDINANZA N. 110
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 1 e 2, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come modificato dall’art. 22 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Palermo con ordinanze del 5 giugno 2002 e del 25 giugno 2003 e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Salerno con ordinanze del 10 giugno e del 9 ottobre 2002, iscritte rispettivamente al n. 205, al n. 709, al n. 840 e al n. 923 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, n. 37, n. 43 e n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 marzo 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con ordinanza del 5 giugno 2002 (r.o. n. 205 del 2003) il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10 e 31, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come modificato dall’art. 22 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), nella parte in cui, in mancanza di consenso dell’imputato, preclude al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto;
che il rimettente premette che, nonostante il materiale probatorio raccolto consenta di «esprimere un giudizio prognostico positivo sulla effettiva volontà dell’imputato di astenersi per il futuro dal commettere ulteriori reati», non è possibile concedere il perdono giudiziale e neppure, «considerata la occasionalità del comportamento», pronunciare sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, dal momento che l’imputato, essendo rimasto contumace, non ha prestato il consenso alla definizione del procedimento nell’udienza preliminare;
che il giudice a quo, richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 195 del 2002, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988 nella parte in cui, in mancanza di consenso dell’imputato, preclude al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere che non presuppone un accertamento di responsabilità, ritiene che la norma censurata sia incostituzionale anche nella parte in cui impedisce, senza il consenso dell’imputato, di concedere il perdono giudiziale o di prosciogliere per irrilevanza del fatto;
che tale disciplina si porrebbe in contrasto con l’art. 10 Cost., per il quale l’ordinamento giuridico italiano deve conformarsi alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, in riferimento all’art. 3 della convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, secondo cui «in tutte le decisioni relative ai fanciulli […] l’interesse superiore del fanciullo deve essere considerato preminente», nonché con l’art. 31, secondo comma, Cost., ove si afferma che la Repubblica «protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo», dal momento che «non può dubitarsi che sia interesse preminente del minore evitare la sottoposizione ad un dibattimento inutile»;
che d’altro canto, in caso di concessione di perdono giudiziale o di proscioglimento per irrilevanza del fatto senza il consenso dell’imputato, le esigenze difensive sarebbero comunque garantite dalla possibilità riconosciuta al minore, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 1993, di proporre opposizione avverso le sentenze di proscioglimento che presuppongono un accertamento di responsabilità;
che la norma censurata non sarebbe giustificata neppure dalla necessità di dare attuazione ai principi del giusto processo e del contraddittorio nella formazione della prova, perché detti principi non possono «essere esasperati al punto da rendere irragionevole e contrario al buon senso il prolungamento di un processo che non può che essere contrario agli interessi del minore»;
che con ordinanza del 25 giugno 2003 (r.o. n. 709 del 2003) il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Palermo ha sollevato analoga questione in riferimento agli artt. 3, 10, 27, terzo comma, 31, secondo comma, e 111, quinto comma, Cost.;
che il rimettente premette che il difensore dell’imputato ha chiesto una pronuncia di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e, in subordine, per concessione del perdono giudiziale, nonostante non fosse stato acquisito il consenso del minore, rimasto contumace, alla definizione del procedimento nella fase dell’udienza preliminare;
che, dopo aver svolto considerazioni in larga parte simili a quelle della precedente ordinanza in riferimento alla violazione degli artt. 10 e 31 Cost., il rimettente rileva che la norma censurata, esponendo il minore ad un dibattimento inutile, in contrasto con le finalità della «massima tutela dell’imputato minorenne» e, soprattutto, della «rapida fuoriuscita del minore dal circuito penale», violerebbe anche l’art. 3 Cost. in relazione agli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo comma, Cost., dal momento che «l’esigenza di reinserimento sociale sottesa all’art. 27, terzo comma, Cost. si rafforza in considerazione del compito di tutela della gioventù imposto dall’art. 31, secondo comma, Cost.»;
che la scelta legislativa volta a garantire l’assunzione della prova nel contraddittorio si risolverebbe «nel paradosso di prevedere una dialettica dibattimentale anche nelle ipotesi in cui l’imputato potrebbe ottenere […] una formula immediata e favorevole di proscioglimento» e uscire così rapidamente dal circuito penale;
che la tutela delle esigenze difensive dell’imputato è infatti già ampiamente assicurata dalla notificazione dell’avviso della conclusione delle indagini ex art. 415-bis del codice di procedura penale e dalla facoltà di proporre opposizione al Tribunale avverso la pronuncia in udienza preliminare di sentenze che presuppongono un accertamento di responsabilità, garanzia in tutto analoga all’opposizione avverso il decreto penale di condanna per gli imputati maggiorenni;
che la norma censurata violerebbe quindi l’art. 3 Cost. anche sotto il profilo del principio di uguaglianza, «avuto riguardo alla illogica disparità di trattamento con gli imputati maggiorenni per i quali può essere emesso un decreto penale di condanna […] inaudita altera parte, con l’opportunità, per l’imputato che presta acquiescenza, di potere evitare il proseguimento del processo»; disparità tanto più rilevante in quanto il processo minorile deve tendere «alla rapida fuoriuscita del minore dal circuito penale»;
che un «ulteriore profilo» di illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 111, quarto comma [recte, quinto], Cost., sarebbe infine ravvisabile nella mancata previsione dei casi di «impossibilità di natura oggettiva» ad acquisire il consenso alla definizione del procedimento in udienza preliminare, che renderebbero possibile la formazione della prova in assenza di contraddittorio nelle situazioni in cui l’imputato è contumace o irreperibile;
che con ordinanza del 10 giugno 2002 (r.o. n. 840 del 2003) il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Salerno ha sollevato su eccezione del pubblico ministero, in riferimento agli artt. 3 e 31 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 448 del 1988, come modificato dall’art. 22 della legge n. 63 del 2001, «nella parte in cui prevede che il giudice dell’udienza preliminare può pronunciare sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto o per concessione del perdono giudiziale, ovvero, su richiesta del pubblico ministero, sentenza di condanna ad una pena pecuniaria o ad una sanzione sostitutiva solo previo consenso dell’imputato»;
che il rimettente espone di procedere nei confronti di un imputato contumace e che «il processo potrebbe essere definito all’udienza preliminare con una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto o per concessione del perdono giudiziale, ovvero, su richiesta del pubblico ministero, con una condanna ad una sanzione sostitutiva»;
che con ordinanza del 9 ottobre 2002 (r.o. n. 923 del 2003) il medesimo Giudice ha sollevato, sempre su eccezione del pubblico ministero, identica questione di legittimità costituzionale;
che anche in tale ordinanza il rimettente osserva che il processo potrebbe «essere definito all’udienza preliminare con una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto o per concessione del perdono giudiziale, ovvero, su richiesta del pubblico ministero minorile, con una condanna ad una sanzione sostitutiva», ma precisa che l’imputato, presente in udienza preliminare, ha espressamente dichiarato di non prestare il consenso alla definizione del processo in detta fase;
che in entrambe le ordinanze di rimessione il giudice a quo muove dalla premessa che, nonostante il riferimento al consenso dell’imputato sia contenuto solo nel comma 1 dell’art. 32 del d.P.R. n. 448 del 1988, la norma deve necessariamente essere interpretata nel senso che senza detto consenso il giudice dell’udienza preliminare non può pronunciare neppure le sentenze di condanna a pena pecuniaria o a sanzione sostitutiva, di cui al comma 2 del medesimo articolo 32, perché «sarebbe del tutto incoerente ed irrazionale una normativa che richiedesse il preventivo consenso del minore per la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere e non per sentenza di condanna»;
che il rimettente ritiene che la normativa vigente - imponendo al giudice dell’udienza preliminare di disporre il rinvio a giudizio e sottoponendo a un inutile dibattimento l’imputato che non presta o nega il consenso alla definizione del procedimento nella fase dell’udienza preliminare - pregiudichi l’interesse del minore a una rapida fuoriuscita dal circuito penale;
che infatti, esercitando la facoltà di proporre opposizione avverso le sentenze di condanna e di non luogo a procedere che presuppongono un accertamento di responsabilità, l’imputato minorenne conseguirebbe «lo stesso risultato del suo mancato consenso alla definizione del processo all’udienza preliminare»;
che sarebbero dunque violati gli artt. 3 e 31 Cost., in quanto la disciplina censurata sarebbe priva di ragionevolezza e vanificherebbe «le finalità deflative che ispirano l’impianto dell’udienza preliminare minorile», ponendosi altresì in contrasto con gli «indirizzi espressi dalla convenzione sui diritti del fanciullo, nei quali trova fondamento la tutela del preminente interesse del minore ad una rapida uscita dal processo, sempre che, ovviamente, tale finalità non comporti il sacrificio delle garanzie defensionali»;
che nei giudizi instaurati con le ordinanze iscritte al n. 840 e al n. 923 del registro ordinanze del 2003 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate.
Considerato che in tutte le ordinanze i rimettenti sollevano questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come modificato dall’art. 22 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), nella parte in cui, in mancanza di consenso dell’imputato, preclude al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto;
che nelle ordinanze n. 840 e n. 923 del 2003 il rimettente censura anche l’art. 32, comma 2, del medesimo testo legislativo, nella parte in cui, in mancanza di consenso dell’imputato, preclude al giudice di pronunciare, su richiesta del pubblico ministero, sentenza di condanna ad una pena pecuniaria ovvero ad una sanzione sostitutiva;
che, stante l’identità o l’affinità delle questioni sollevate, che mirano tutte ad eliminare la necessità di acquisire il previo consenso dell’imputato in caso di pronuncia nell’udienza preliminare di sentenza che comunque presuppone un accertamento di responsabilità, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
che, quanto alle questioni sollevate da tutti i rimettenti in relazione al comma 1 dell’art. 32 del d.P.R. n. 448 del 1988, questa Corte con la sentenza n. 195 del 2002 ha parzialmente accolto censure nella sostanza analoghe a quelle prospettate dagli odierni rimettenti in riferimento agli artt. 3, 10, 27 e 31 della Costituzione, dichiarando l’illegittimità costituzionale del predetto art. 32, comma 1, nella parte in cui, in mancanza di consenso dell’imputato, preclude al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere che non presuppone un accertamento di responsabilità (cioè, per quanto concerneva i casi oggetto dei giudizi a quibus, difetto o rimessione di querela, sentenza di proscioglimento ampiamente liberatoria);
che inoltre, con sentenza n. 149 del 2003, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 27, comma 4, del d.P.R. n. 448 del 1988, nella parte in cui prevede che la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto può essere pronunciata solo nell’udienza preliminare (nonché nel giudizio immediato e nel giudizio direttissimo), così rendendo possibile l’adozione di tale formula di proscioglimento in dibattimento, e quindi anche nell’ipotesi in cui il mancato consenso dell’imputato impedisce di pronunciare la relativa sentenza nell’udienza preliminare;
che la censura riferita all’art. 111, quinto comma, Cost. è priva di fondamento, in quanto la contumacia o l’irreperibilità dell’imputato non integrano situazioni di impossibilità di natura oggettiva alla formazione della prova in contraddittorio;
che, non avendo gli attuali rimettenti portato argomentazioni diverse o ulteriori rispetto a quelle prese in esame da questa Corte nella sentenza n. 195 del 2002, e non essendovi ragione di discostarsi dalle conclusioni allora raggiunte, le questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate;
che le questioni sollevate in relazione al comma 2 dell’art. 32 del d.P.R. n. 448 del 1988 con le ordinanze n. 840 e n. 923 del 2003 si basano sulla condivisibile interpretazione secondo cui, pur essendo il consenso dell’imputato espressamente previsto solo nel comma 1, che si riferisce alle sentenze di non luogo a procedere, «sarebbe del tutto incoerente e irrazionale» non ritenerlo necessario anche per le sentenze di condanna a pena pecuniaria o a sanzione sostitutiva di cui al comma 2 (v. al riguardo le considerazioni svolte da questa Corte nell’ordinanza n. 208 del 2003);
che, dovendo essere dichiarate manifestamente infondate le questioni relative alla necessità del consenso in caso di pronuncia di sentenza di non luogo a procedere per perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto, in quanto presuppone un accertamento di responsabilità, alla medesima conclusione si deve a fortiori pervenire circa la necessità del previo consenso in caso di pronuncia di una sentenza di condanna, ancorché a pena pecuniaria o a sanzione sostitutiva.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 1 e 2, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come modificato dall’art. 22 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 10, 31, secondo comma, 27, terzo comma, e 111, quinto comma, della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Palermo e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Salerno, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2004.