Ordinanza n. 83 del 2004

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ORDINANZA N.83

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gustavo                      ZAGREBELSKY             Presidente

- Valerio                        ONIDA                                Giudice

- Carlo                           MEZZANOTTE                         "

- Fernanda                     CONTRI                                     "

- Guido                         NEPPI MODONA                     "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                              "

- Annibale                     MARINI                                     "

- Franco                         BILE                                           "

- Giovanni Maria           FLICK                                        "

- Ugo                             DE SIERVO                              "

- Romano                      VACCARELLA                        "

- Paolo                           MADDALENA                         "

- Alfio                           FINOCCHIARO                       "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dal Giudice di pace di Napoli con ordinanza del 19 settembre 2002, iscritta al n. 86 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 gennaio 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Giudice di pace di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), in quanto prevede che il ricorso immediato della persona offesa al giudice di pace deve contenere le generalità della persona citata a giudizio;

che il rimettente premette che il pubblico ministero ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile «per mancata indicazione delle generalità della persona citata in giudizio»;

che al riguardo il giudice a quo osserva che, per effetto della legge 31 dicembre 1996, n. 675, al privato è praticamente impossibile accedere ai «dati identificativi del colpevole (o presunto tale)», conoscibili invece dall’autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza, così che, in concreto, il cittadino non potrà mai proporre ricorso immediato al giudice, posto che l’onere di indicare le generalità della persona citata a giudizio costituisce un ostacolo insormontabile;

che la previsione censurata violerebbe perciò:

- l’art. 3 Cost., in quanto irragionevolmente prescrive che il ricorso immediato contenga l’indicazione delle esatte generalità dell’incolpato, non richieste per una valida proposizione della querela, nonostante il ricorso immediato sia equiparato, negli effetti, alla querela;

- l’art. 24 Cost., in quanto ostacola l’esercizio del diritto di difesa del privato e rende di conseguenza «inutile la predisposizione del mezzo legislativo (ricorso immediato)»;

- l’art. 111 Cost., in quanto preclude alla parte privata, cui in astratto «è riconosciuto il diritto di introdurre ricorso immediato», di esercitare nel processo pari diritti rispetto al pubblico ministero, che può invece accertare le generalità dell’incolpato;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

che ad avviso dell’Avvocatura il rimettente trascura di considerare che a norma dell’art. 12, comma 1, lettera h), della legge n. 675 del 1996 al privato è consentito accedere ai dati personali di terzi, a prescindere dal loro consenso, allorché ciò sia «necessario […] per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria»;

che l’Avvocatura rileva, inoltre, che la differenza di disciplina rispetto a quella prevista per la proposizione della querela è giustificata dalla diversità dei due istituti e che il ricorso immediato al giudice di pace costituisce «rimedio alternativo alla procedura ordinaria, confacente ad esigenze di semplificazione ed accelerazione», così che, da un punto di vista sostanziale, è ragionevole che, qualora l’identità della persona alla quale il reato è attribuito sia ignota, la persona offesa, anziché proporre il ricorso immediato, presenti atto di querela, seguendo le vie ordinarie della tutela giurisdizionale.

Considerato che il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), in quanto prevede che il ricorso immediato della persona offesa al giudice di pace deve contenere le generalità della persona citata a giudizio;

che, ad avviso del rimettente, per effetto della legge 31 dicembre 1996, n. 675, per il privato è impossibile accedere ai dati identificativi della persona citata a giudizio, che sono invece conoscibili dall’autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza;

che la disciplina censurata si porrebbe perciò in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, in quanto prescrive che il ricorso immediato contenga l’indicazione delle complete generalità della persona citata, non richieste invece ai fini della validità della querela; con l’art. 24 Cost., in quanto ostacola l’esercizio del diritto di difesa della persona offesa e rende di conseguenza «inutile» l’istituto del ricorso immediato; con l’art. 111 Cost., in quanto preclude alla parte privata l’esercizio di diritti pari a quelli del pubblico ministero, che ha invece accesso ai dati identificativi delle persone nei cui confronti svolge le indagini;

che il rimettente fonda le sue argomentazioni sull’erroneo presupposto che alla persona offesa sia preclusa la possibilità di prendere conoscenza dei dati identificativi dell’imputato, ma non tiene conto che, come rileva l’Avvocatura dello Stato, a norma dell’art. 12, comma 1, lettera h), della legge n. 675 del 1996, tra i casi nei quali non occorre il consenso dell’interessato sono incluse le situazioni in cui il trattamento dei dati personali è necessario ai fini dello svolgimento delle indagini difensive o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria;

che peraltro, in riferimento alla denunciata disparità di trattamento e alla violazione del principio della parità delle parti, la Corte di cassazione ha avuto di recente occasione di affermare che il requisito delle «generalità della persona citata a giudizio», richiesto a pena di inammissibilità dal comma 1, lettera c), dell’art. 24 del decreto legislativo n. 274 del 2000, è soddisfatto anche se nel ricorso immediato manchi l’indicazione della data e del luogo di nascita della persona citata a giudizio, purché l’atto non risulti rivolto ad incertam personam, in quanto la completa identificazione dell’imputato è differibile al momento della presentazione del medesimo avanti all’autorità procedente;

che, infine, non è dato riscontrare alcuna violazione del diritto di azione e difesa in relazione all’onere di acquisire i dati che consentono la sicura individuazione della persona citata, in quanto la persona offesa, ove ritenga che l’acquisizione di tali dati sia eccessivamente difficoltosa o dispendiosa, può comunque seguire le vie della ordinaria tutela giurisdizionale davanti al giudice di pace, esercitando la facoltà di presentare querela;

che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice di pace di Napoli, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2004.