REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori Giudici:
- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 5, 6, 7, 8, 9 e 10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), promosso con ordinanza del 18 febbraio 2003 dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria sul ricorso proposto da Felice Maria Filocamo contro l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Locri, iscritta al n. 255 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di costituzione di Felice Maria Filocamo nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 gennaio 2004 il Giudice relatore Annibale Marini;
uditi l’avvocato Francesco Scaglione per Felice Maria Filocamo e l’avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria, con ordinanza del 29 ottobre 2002, depositata in data 18 febbraio 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 5, 6, 7, 8, 9 e 10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale);
che il rimettente – chiamato a pronunciarsi sull’impugnativa del silenzio rifiuto susseguente alla presentazione, da parte di un contribuente, di una istanza di rimborso della ritenuta d’acconto operata, in data 13 dicembre 1999, dall’Amministrazione finanziaria su di una somma versata a titolo di indennità espropriativa – premette di volersi adeguare all’orientamento giurisprudenziale, costituente ormai diritto vivente, secondo il quale, al fine della interpretazione del citato art. 11, commi da 5 a 10, della legge n. 413 del 1991 in tema di tassazione delle plusvalenze costituite da indennità espropriative ed altri titoli similari, occorre fare riferimento al cosiddetto principio di cassa, con il conseguente assoggettamento ad imposta di tutte le indennità percepite nel vigore della predetta legge, anche se l’atto od il fatto da cui scaturisce il credito del contribuente sia ad essa anteriore;
che, ciò posto, il medesimo rimettente dichiara di condividere totalmente l’eccezione di illegittimità costituzionale delle norme indicate, sollevata dal ricorrente in una memoria difensiva, in parte qua trascritta nell’ordinanza di rimessione;
che le norme stesse si porrebbero innanzitutto in contrasto con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, sia in quanto si applicherebbero retroattivamente a fatti reddituali anteriori all’entrata in vigore della legge, sia perché assoggetterebbero a prelievo somme non costituenti reddito, quali quelle corrisposte a titolo di rivalutazione, interessi ed indennità di occupazione, sia, infine, perché – nel caso in cui il contribuente opti, come consentito dal comma 7, per la tassazione ordinaria – verrebbero imputate a redditi dell’anno di percezione le plusvalenze realizzatesi nel corso di più anni, con le conseguenze pregiudizievoli connesse alla progressività delle aliquote;
che le medesime norme sarebbero altresì lesive del principio di eguaglianza, per la ingiustificata disparità di trattamento tra contribuenti che abbiano percepito l’indennità di esproprio (o equivalente) in tempi diversi, pur in forza di atti o fatti genetici coevi, ovvero tra i contribuenti che abbiano direttamente percepito le suddette indennità e i cessionari di analoghi crediti, i quali ultimi – ad avviso del rimettente – resterebbero esenti dall’imposta;
che si è costituito in giudizio Felice Maria Filocamo, ricorrente nel giudizio a quo, concludendo, in via principale, per una pronuncia interpretativa fondata sul cosiddetto principio di competenza, in virtù del quale resterebbe esclusa l’applicabilità delle norme impugnate nel caso di somme percepite – come nella fattispecie – in virtù di atti o fatti anteriori all’entrata in vigore delle norme censurate;
che, in via subordinata, la parte privata insiste per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità o, comunque, per la infondatezza della questione;
che, ad avviso della parte pubblica, la questione sarebbe priva di rilevanza, essendo erroneo l’assunto del rimettente secondo cui la legittimazione passiva spetterebbe all’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate, convenuto in giudizio;
che la questione stessa sarebbe in ogni caso inammissibile, per difetto ancora di rilevanza, quanto ai profili riguardanti la violazione dell’art. 53 della Costituzione che deriverebbe dalla applicazione del sistema di tassazione progressivo su proventi reddituali cumulatisi nel tempo ovvero dalla tassazione di somme dovute a titolo di risarcimento danni e relativa rivalutazione, non risultando che il contribuente abbia esercitato l’opzione per la tassazione ordinaria né che le somme di cui si tratta siano state erogate a titolo risarcitorio;
che priva di fondamento sarebbe poi la censura, pure essa riferita all’art. 53 della Costituzione, fondata sulla asserita efficacia retroattiva della norma, in quanto applicata ad una plusvalenza realizzatasi all’atto del trasferimento della proprietà, atteso che solamente la materiale riscossione del credito, rappresentando manifestazione concreta ed attuale di capacità contributiva, costituisce presupposto di imposta in base alla regola generale di cui all’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi);
che manifestamente infondati sarebbero infine i profili prospettati in relazione all’art. 3 della Costituzione, sia perché – quanto alla disparità di trattamento tra contribuenti che abbiano percepito l’indennità di esproprio in tempi diversi – il decorso del tempo costituirebbe, secondo la giurisprudenza della Corte, idoneo elemento differenziatore delle situazioni giuridiche, sia in quanto sarebbe erroneo l’assunto secondo cui il cessionario del credito indennitario rimarrebbe esente dall’imposta.
Considerato che il rimettente premette di volersi adeguare al prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale le norme impugnate vanno interpretate in base al cosiddetto principio di cassa, alla stregua del quale il presupposto impositivo è rappresentato non dal fatto genetico della pretesa creditoria bensì dalla materiale riscossione del credito;
che le censure riguardanti l’asserita retroattività della norma impositiva, e la conseguente disparità di trattamento tra contribuenti che abbiano percepito l’indennità di espropriazione in tempi diversi pur in forza di atti o fatti coevi, si fondano invece sull’esplicito presupposto – evidentemente incompatibile con la premessa di cui si è detto – che «la plusvalenza, oggetto di imposizione (….), si realizza nel momento in cui si verifica il trasferimento della proprietà» e sorge quindi il diritto alla percezione della relativa indennità;
che la questione è pertanto prospettata, sotto tale profilo, in termini intrinsecamente contraddittori;
che altri profili di incostituzionalità dedotti nell’ordinanza sono meramente ipotetici, non risultando in alcun modo né che il contribuente abbia nella specie optato per il regime di tassazione ordinaria, né che le somme assoggettate a ritenuta siano state, in tutto o in parte, corrisposte a titolo di rivalutazione, interessi o indennità di occupazione;
che, infine, il rimettente non offre nessuna spiegazione della ragione per cui il cessionario del credito indennitario sarebbe esente dall’imposta cui è invece assoggettato il contribuente che tale credito riscuota direttamente;
che tale omissione si traduce in un difetto assoluto di motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione;
che la questione va perciò dichiarata, sotto tutti i profili, manifestamente inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 5, 6, 7, 8, 9 e 10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2004.