Sentenza n. 377 del 2003

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SENTENZA N.377

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Alfio   FINOCCHIARO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 52, comma 62, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), promosso con ricorso della Regione Campania, notificato il 27 febbraio 2002, depositato in cancelleria il 7 marzo 2002 ed iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2002.

    Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nell'udienza pubblica del 17 giugno 2003 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

    uditi l'avvocato Vincenzo Cocozza per la Regione Campania e l'Avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

    1. — La Regione Campania, con ricorso notificato il 27 febbraio 2002, depositato il 7 marzo 2002, ha impugnato numerose norme della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002) e, per quanto qui interessa, ha denunciato l'art. 52, comma 62, in riferimento agli artt. 3, 117, 118 della Costituzione.

    2. — La norma censurata ha abrogato il comma 82 dell'art. 145, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), il quale stabiliva che «la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale non è incompatibile con lo svolgimento di funzioni di amministrazione di società di capitale a partecipazione mista, costituite, in conformità alla deliberazione CIPE del 21 marzo 1997, come soggetti responsabili dell'attuazione degli interventi previsti dal comma 203 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662».

    Nel ricorso e nella memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, la ricorrente Regione Campania sostiene che la succitata norma violerebbe la competenza legislativa regionale, «in quanto incide nelle materie relative allo sviluppo economico del territorio», ad essa attribuite, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. Il comma 203 dell'art. 2 della legge n. 662 del 1996, disciplina gli interventi che coinvolgono una molteplicità di soggetti pubblici e privati ed implicano decisioni istituzionali e risorse finanziarie a carico anche delle amministrazioni regionali, delle province autonome nonché degli enti locali, svolti attraverso una serie di strumenti negoziali, con i quali le amministrazioni interessate organizzano nella maniera più idonea le attività, essendo altresì prevista la nomina di un responsabile che cura l'attuazione dei programmi di intervento. La delibera del CIPE del 21 marzo 1997 prevede che il responsabile di detti programmi svolge funzioni molteplici e rilevanti, che incidono direttamente sulle modalità di attuazione del programma di sviluppo economico approvato dalle parti. Egli, infatti, rappresenta  in modo unitario gli interessi dei soggetti sottoscrittori; provvede ad attivare risorse finanziarie, tecniche e organizzative; assicura il monitoraggio e la verifica dei risultati; verifica il rispetto degli impegni e degli obblighi dei  soggetti sottoscrittori assumendo le iniziative necessarie, in caso di inadempimenti, a riscontrare e garantire la coerenza di nuove iniziative con l'obiettivo di sviluppo locale e, in genere, ad assumere ogni iniziativa utile alla realizzazione del patto.

    In considerazione di dette competenze, la delibera del CIPE prevede che le funzioni di "responsabile" devono essere attribuite, tra i sottoscrittori del patto, esclusivamente ai soggetti pubblici ovvero alle società miste di cui all'art. 22 della legge n. 142 del 1990, trattandosi di funzioni prettamente pubbliche di coordinamento e di indirizzo. Pertanto, il legislatore aveva espressamente escluso che la direzione delle società miste sopra indicate fosse incompatibile con le cariche pure sopra precisate, in quanto in detta ipotesi non sussisteva quel potenziale conflitto di interessi che aveva ispirato la previsione del divieto in relazione alle società che svolgono attività di gestione di servizi locali in concorrenza con imprese del medesimo settore.

    Secondo la ricorrente, il ripristino della incompatibilità, sotto un primo profilo, «comporta una ricaduta di estrema gravità sul ruolo della Regione e degli enti locali», determinando «effetti immediati nella gestione del patto territoriale e ciò altera scelte già compiute (e naturalmente pregiudica quelle da compiere) in ambiti che sono di competenza normativa (legislativa e regolamentare) delle regioni e attengono a funzioni amministrative dei comuni». Inoltre, la norma impugnata violerebbe «l'autonomia regionale: sia direttamente perché la disciplina statale incide sui settori che non sono attribuiti allo Stato, sia indirettamente perché la compressione del ruolo degli enti locali, ora con autonomia di livello costituzionale, si riflette sulle scelte organizzative della Regione».

    Sotto un diverso profilo, ad avviso della Regione Campania, la norma sarebbe irragionevole, in quanto, in virtù dell'abrogazione, sono state equiparate situazioni non omologhe, senza tenere conto della specialità delle società di capitale a partecipazione mista in esame, con conseguente lesione della autonomia regionale.

    3. — Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.

    Secondo la difesa erariale, le censure sono infondate, in quanto la norma mira a tutelare l'interesse nazionale, che costituisce un limite intrinseco ad ogni attività che riguarda gli enti locali, al fine di «eliminare in radice ogni, sia pur potenziale, conflitto di interessi», esigenza «che se viene particolarmente in rilievo per i massimi organi dello Stato non può che essere sentita con pari intensità in relazione all'attività dei rappresentanti degli enti territoriali».

    4. — All'udienza pubblica le parti hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

    1 — La Regione Campania nell'impugnare numerose disposizioni della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), denuncia, tra gli altri, l'art. 52, comma 62, di tale legge. Per ragioni di omogeneità di materia, la trattazione della predetta questione di costituzionalità viene separata da quella delle altre, sollevate con lo stesso ricorso, le quali sono oggetto di distinte decisioni.

    La norma censurata ha abrogato il comma 82 dell'art. 145 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, il quale stabiliva che "la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale non è incompatibile con lo svolgimento di funzioni di amministrazione di società di capitale a partecipazione mista, costituite, in conformità alla deliberazione CIPE del 21 marzo 1997, come soggetti responsabili dell'attuazione degli interventi previsti dal comma 203 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662" .

    Secondo la ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe gli artt. 3, 117 e 118 della Costituzione, poiché "incide nelle materie relative allo sviluppo economico del territorio", che sarebbero riservate alla propria competenza, dal momento che realizzano "effetti immediati nella gestione del patto territoriale". Inoltre la norma in questione determinerebbe un'alterazione delle scelte già compiute in ambiti di competenza legislativa e regolamentare delle regioni e che attengono a funzioni amministrative dei comuni, determinando così una compressione del ruolo degli enti locali, la quale si rifletterebbe sulle scelte organizzative della Regione stessa.

    Infine, ad avviso della Regione Campania, la norma predetta equiparerebbe situazioni non omologhe, senza tenere conto della specialità delle società di capitale a partecipazione mista, come quelle in esame.

2. — La questione non è fondata.

    La questione di legittimità costituzionale in oggetto riguarda una disposizione che, pur avendo contenuto abrogativo, si inserisce certamente nel quadro della disciplina delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità degli amministratori locali, poiché comporta il ripristino di una causa di incompatibilità, relativa alle elezioni degli enti locali. La predetta disposizione, infatti, non viene ad incidere, come erroneamente sostiene la Regione ricorrente, "nelle materie relative allo sviluppo economico del territorio", ma piuttosto sul regime dell'elettorato passivo nelle elezioni amministrative, rientrando così nell'ambito della legislazione elettorale di Comuni, Province e Città metropolitane, che l'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione attribuisce alla competenza statale esclusiva.

    A questo proposito, la Corte ha già rilevato che il nuovo testo dell'art. 117 della Costituzione ha sostanzialmente confermato, sul punto, il previgente sistema, nel quale le regioni ordinarie, a differenza di quelle a statuto speciale, non avevano alcuna competenza in materia di ordinamento degli enti locali appartenenti al rispettivo territorio. Né si può dire che nella predetta materia non sia compresa anche la relativa legislazione elettorale, giacché –secondo la Corte – "la configurazione degli organi di governo degli enti locali, i rapporti fra gli stessi, le modalità di formazione degli organi e quindi anche le modalità di formazione degli organi rappresentativi… sono aspetti di questa materia" (sentenza n. 48 del 2003). Del resto, ad ulteriore conferma, si può rilevare che il capo II del titolo III del testo unico sugli enti locali (d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267) è appunto dedicato –confermando così una tradizione legislativa– alle diverse ipotesi di incandidabilità, ineleggibilità ed incompatibilità dei componenti degli organi di governo degli enti locali.

    Non può dunque essere accolta la doglianza regionale, per l'assorbente considerazione della esclusiva spettanza alla legislazione statale della disciplina relativa ai casi di incompatibilità nelle elezioni degli organi degli enti locali. D'altra parte, la disposizione impugnata appare, di per sé, non irragionevole, poiché, abrogando il citato art. 145, comma 82, della legge n. 388 del 2000, che stabiliva un regime di compatibilità tra cariche istituzionali locali e funzioni di amministrazione in società di capitale a partecipazione mista, costituite per interventi di "programmazione negoziata", viene ad escludere una deroga alle corrispondenti disposizioni di carattere generale contenute nel menzionato t.u. n. 267 del 2000.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riservata a separate pronunce ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), sollevate dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe;

     dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 52, comma 62, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Campania, con il ricorso in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 2003.

    Riccardo CHIEPPA, Presidente

    Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

    Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 2003.