ORDINANZA N.367
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 16, comma 1, e 8, comma 4-bis, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), promossi con due ordinanze del 27 luglio 2002 emesse dal Tribunale di Chieti sui ricorsi proposti da Donatella Dell’Osa e da Umberto Parlione contro l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS), iscritte ai numeri 582 e 583 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti gli atti di costituzione dell’INPS, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 28 ottobre 2003 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi l’avvocato Giuseppe Fabiani per l’INPS e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che con ordinanza del 27 luglio 2002, emessa nel procedimento civile tra Donatella Dell'Osa e l'INPS, il Tribunale di Chieti ha dichiarato rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 16, comma 1, e 8, comma 4-bis, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), per contrasto con gli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono - ai fini dell'integrazione del requisito dell'anzianità aziendale di almeno dodici mesi quale presupposto perché i dipendenti che perdono il posto di lavoro possano beneficiare dell'indennità di mobilità - il cumulo del periodo di lavoro prestato, senza soluzione di continuità, con passaggio diretto presso imprese dello stesso settore di attività che abbiano il medesimo assetto proprietario di quelle presso le quali in precedenza sia intercorso il rapporto lavorativo;
che il giudice rimettente riferisce che il giudizio era stato instaurato da una lavoratrice che aveva prestato lavoro prima alle dipendenze della società Colagreco Trasporti s.r.l. e successivamente, a seguito di passaggio diretto, della società Colagreco Trasporti Group s.p.a. e precisa ulteriormente che <<tutti i lavoratori erano passati senza soluzione di continuità alcuna alle dipendenze della Colagreco Group S.p.a., con le medesime mansioni, le medesime strutture aziendali per lo svolgimento della medesima attività d'impresa dato che la Colagreco S.r.l. nel gennaio 1998 aveva cessato ogni attività di fatto ceduta alla Colagreco Group S.p.a.>>;
che il giudice rimettente ipotizza la violazione del principio di eguaglianza per disparità di trattamento tra i lavoratori licenziati nel periodo 1° gennaio 1992 - 31 dicembre 1994, che (ai sensi dell'art. 4, comma 11, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito in legge 28 novembre 1996, n. 608) hanno beneficiato dell'indennità di mobilità cumulando l’anzianità aziendale in caso di passaggio diretto da un’azienda ad un’altra con il medesimo assetto proprietario, e quelli estromessi dal posto di lavoro successivamente, che non ne hanno fruito non potendo cumulare analoghe anzianità di lavoro;
che sussisterebbe disparità di trattamento anche tra i dipendenti trasferiti con passaggio diretto, a seguito di determinazione unilaterale del datore di lavoro, da un'azienda ad un'altra dello stesso settore avente il medesimo assetto proprietario e quelli rimasti invece nella stessa azienda, non essendo ai primi consentito di cumulare i periodi di lavoro prestato, al fine della spettanza dell'indennità di mobilità;
che il giudice rimettente denuncia altresì la violazione degli artt. 2 e 38 Cost. sotto il profilo dell'inadeguata tutela approntata in favore dei lavoratori disoccupati, trasferiti con passaggio diretto, ai quali non sarebbero assicurati mezzi sufficienti alle loro esigenze di vita, con compromissione del principio di solidarietà sociale;
che si è costituito l'INPS, concludendo per l'infondatezza delle questioni di costituzionalità;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ed ha concluso in via principale per l'inammissibilità delle questioni di costituzionalità, perché il giudice rimettente non ha esplorato a fondo la nozione di "anzianità aziendale" a fronte di una vicenda che avrebbe potuto essere inquadrata nella fattispecie della mera trasformazione societaria ex artt. 2498 e 2500 del codice civile, e in via subordinata per la sua infondatezza, perché non sussiste la denunciata violazione del principio di eguaglianza non essendo comparabili le fattispecie raffrontate e comunque costituendo il fluire del tempo un idoneo elemento di differenziazione;
che con altra ordinanza in pari data lo stesso Tribunale di Chieti ha sollevato identiche questioni di legittimità costituzionale nel giudizio promosso da Umberto Parlione contro l’INPS svolgendo le medesime argomentazioni;
che sia l’INPS, nell’atto di costituzione, che l’Avvocatura generale dello Stato, nell’atto di intervento, hanno concluso negli stessi termini di cui sopra.
Considerato che i due giudizi possono essere riuniti, concernendo le medesime disposizioni e ponendo le stesse questioni di costituzionalità;
che la prima disposizione censurata (art. 16, comma 1, della legge n. 223 del 1991) prevede che, nel caso di disoccupazione derivante da licenziamento per riduzione di personale, ai sensi del successivo art. 24, da parte di imprese diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell'intervento straordinario di integrazione salariale, l’indennità di mobilità spetti al lavoratore, operaio, impiegato o quadro, <<qualora possa far valere una anzianità aziendale di almeno dodici mesi>>, di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie, festività e infortuni, con un rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a termine;
che siffatta norma è ritenuta dal giudice rimettente in contrasto con gli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui non prevede - ai fini dell'integrazione del requisito dell'anzianità aziendale di almeno dodici mesi - il cumulo del periodo di lavoro prestato, senza soluzione di continuità, con passaggio diretto presso imprese dello stesso settore di attività, con il medesimo assetto proprietario di quelle presso le quali il rapporto lavorativo sia in precedenza intercorso;
che lo stesso giudice rimettente ricorda come la fattispecie concreta concerna lavoratori dipendenti da una società a responsabilità limitata, passati senza soluzione di continuità alle dipendenze di una società per azioni, con le medesime mansioni e le medesime strutture aziendali, per lo svolgimento della medesima attività d'impresa, dato che la prima società aveva cessato ogni attività di fatto ceduta alla seconda;
che la questione così proposta è manifestamente inammissibile per insufficiente motivazione sulla rilevanza, avendo il giudice rimettente omesso di verificare se la concreta vicenda societaria dedotta in giudizio non fosse piuttosto inquadrabile nella fattispecie della mera trasformazione della società o in quella del trasferimento d’azienda, nessuna delle quali comporta soluzione di continuità nell’anzianità aziendale dei lavoratori dipendenti;
che il giudice rimettente neppure ha tenuto conto che – secondo l’art. 2112 del codice civile, anche nel testo recentemente novellato dall’art. 32 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 - per trasferimento d'azienda si intende qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato (anche in seguito a cessione contrattuale o fusione, secondo l’art. 32 cit.);
che comunque - seppur l'art. 4, comma 11, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito in legge 28 novembre 1996, n. 608, invocato dal giudice rimettente come tertium comparationis, ammetta il cumulo di distinti periodi di attività lavorativa, stabilendo che i requisiti per l'indennità di mobilità <<si considerano acquisiti dai lavoratori con riferimento al lavoro prestato con passaggio diretto presso le imprese dello stesso settore di attività che presentino assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, ovvero risultino in rapporto di collegamento o di controllo anche consortili>> - tale disposizione riguarda, come eccezionale e transitoria previsione a carattere derogatorio rispetto alla regola posta dall’art. 16, comma 1, della legge n. 223 del 1991, soltanto i lavoratori licenziati nel periodo dal 1° gennaio 1992 al 31 dicembre 1994 sicché è in ogni caso inidonea a valere come termine di comparazione della normativa impugnata;
che, quanto all’altra disposizione censurata (art. 8, comma 4-bis, della medesima legge n. 223 del 1991), la questione è manifestamente inammissibile perché tale disposizione riguarda l’inapplicabilità dei benefici di cui ai precedenti quattro commi, relativi al collocamento dei lavoratori in mobilità, e non già alle condizioni per la fruizione dell’indennità di mobilità, oggetto del giudizio a quo, onde essa non deve essere affatto applicata dal giudice rimettente;
che pertanto entrambe le questioni di costituzionalità sono manifestamente inammissibili.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 16, comma 1, e 8, comma 4-bis, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro) sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Chieti con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Franco BILE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2003.