Ordinanza n. 288 del 2003

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ORDINANZA N.288

 

ANNO 2003

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Riccardo                     CHIEPPA                                                  Presidente

 

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                                        Giudice

 

- Valerio                        ONIDA                                                              “

 

- Carlo                           MEZZANOTTE                                                “

 

- Fernanda                     CONTRI                                                            “

 

- Guido                         NEPPI MODONA                                            “

 

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                                                     “

 

- Annibale                     MARINI                                                            “

 

- Franco                         BILE                                                                  “

 

- Giovanni Maria FLICK                                                                         “

 

- Francesco                    AMIRANTE                                                      “

 

- Ugo                             DE SIERVO                                                      “

 

- Romano                      VACCARELLA                                               “

 

- Paolo                           MADDALENA                                                 “

 

- Alfio                           FINOCCHIARO                                               “

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 129 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 5 luglio 2002 dal Tribunale di Locri – sezione staccata di Siderno, iscritta al n. 483 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2002.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2003 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

 

Ritenuto che, con ordinanza in data 5 luglio 2002, il Tribunale di Locri – sezione staccata di Siderno, dovendo decidere sulla richiesta, avanzata dalla difesa di una imputata, di declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione prima dell’esercizio dell’azione penale con l’emissione del decreto di citazione a giudizio e sulla conseguente richiesta di rifusione delle spese processuali sostenute per la difesa, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 129 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la condanna dello Stato al rimborso delle spese difensive in caso di declaratoria di estinzione del reato prima dell’esercizio dell’azione penale;

 

che il remittente, premesso che alla data di emissione del decreto di citazione a giudizio il reato contestato all’imputata era già prescritto, non risultando al fascicolo del dibattimento atti idonei ad interrompere la prescrizione, tale non potendosi considerare l’avviso di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., rileva che la questione della rifusione delle spese processuali è stata correttamente proposta dal difensore dell’imputata, “atteso che nel caso di specie non viene richiesto un giudizio di assoluzione – che avrebbe potuto giustificare un vaglio dibattimentale per l’accertamento dei fatti – ma la mera declaratoria di estinzione del reato (perché prescritto prima dell’esercizio dell’azione penale, cioè dell’emissione del decreto di citazione a giudizio), sicché viene richiesto anche il rimborso delle spese inutilmente sostenute”, attesa l’obbligatorietà della difesa tecnica nel processo penale;

 

che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo ne afferma la sussistenza, dovendo procedere alla immediata declaratoria di estinzione del reato, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.;

 

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il remittente rileva che la disposizione censurata contrasterebbe con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., in quanto non risulterebbe assicurata la condizione di parità tra l’accusa e la difesa, posto che il principio della parità delle parti, introdotto nel testo dell’art. 111 Cost. con legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, si riferisce ad ogni tipo di giudizio e che nel giudizio penale, a differenza che nel giudizio civile, l’imputato è in ogni caso gravato del pagamento delle spese processuali, sia in caso di condanna, sia in caso di assoluzione, sia - come nella specie - in caso di immediata declaratoria di non punibilità senza necessità di procedere al vaglio dibattimentale dei fatti contestati;

 

che, ad avviso del giudice a quo, il fatto che all’imputato vengano addebitate le spese sostenute anche nel caso in cui l’azione penale non avrebbe dovuto essere esercitata sarebbe quindi lesivo del principio della parità di condizioni tra le parti, giacché lo Stato non è mai gravato delle spese sostenute dall’imputato e per quest’ultimo la partecipazione al processo è certamente più gravosa rispetto alla pubblica accusa;

 

che è intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque manifestamente infondata;

 

che, ad avviso della difesa erariale, il presupposto argomentativo dal quale muove il remittente sarebbe errato, giacché l’azione penale viene esercitata con la richiesta di rinvio a giudizio e non già con il decreto che dispone il giudizio;

 

che in ogni caso, prosegue l’Avvocatura, il remittente non avrebbe valutato che l’azione penale, a differenza di ogni altra, è costituzionalmente obbligatoria e, come tale, non può dare luogo al rimborso delle spese giudiziali, che presuppone invece un’iniziativa autonoma e volontaria.

 

Considerato che il dubbio di legittimità costituzionale investe, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, l’articolo 129 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la condanna dello Stato al rimborso delle spese difensive in caso di declaratoria di estinzione del reato prima dell’esercizio dell’azione penale;

 

che, con ordinanza n. 286 depositata in pari data, questa Corte ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 529 e 649, comma 2, cod. proc. pen., sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevedono la condanna dello Stato al rimborso delle spese in favore dell’imputato, quando si pronuncia nei suoi confronti sentenza di proscioglimento per il divieto di un secondo giudizio;

 

che, pur investendo l’odierna questione una diversa disposizione, la sostanza è la medesima, giacché si pretende che nell’ipotesi di pronuncia favorevole all’imputato – in questo caso proscioglimento immediato per intervenuta prescrizione – lo Stato debba essere condannato a rifondere le spese processuali;

 

che nella citata ordinanza si è chiarito che nessuna comparazione può essere effettuata tra processo penale e altri tipi di processo, che il diritto di difesa è assicurato ai non abbienti dagli istituti che hanno dato attuazione all’art. 24, terzo comma, Cost., e che la condanna dello Stato alla rifusione delle spese non è soluzione costituzionalmente imposta, poiché non irragionevolmente il legislatore ha inquadrato i casi di esercizio doloso o gravemente colposo dell’attività giudiziaria fra le ipotesi di responsabilità civile dei magistrati che gli imputati, assolti o prosciolti, ricorrendone i presupposti, hanno diritto di far valere in giudizio;

 

che pertanto anche la presente questione deve essere dichiarata manifestamente infondata in relazione a tutti i parametri evocati.

 

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

Per questi motivi

 

La Corte costituzionale

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 129 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Locri – sezione staccata di Siderno, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2003.

 

Riccardo CHIEPPA, Presidente

 

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2003.