ORDINANZA N.287
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA “
- Carlo MEZZANOTTE “
- Fernanda CONTRI “
- Guido NEPPI MODONA “
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 415 bis, comma 3, e 552, comma 2, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze del 30 maggio e del 13 giugno 2002 del Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Albano Laziale, nei procedimenti penali a carico di C.F. e DG. D. iscritte ai nn. 496 e 497 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 21 maggio 2003 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con due ordinanze di identico contenuto, il Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Albano Laziale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, degli artt. 415-bis, comma 3, e 552, comma 2, del codice procedura di procedura penale, nella parte in cui «non prevedono alcun obbligo del pubblico ministero di compiere gli atti di indagine richiesti dall'indagato, alcun obbligo del pubblico ministero di provvedere con atto motivato in caso di rigetto della richiesta, alcun rimedio contro l'inerzia del pubblico ministero e non prevedono (rectius: l'art. 552, comma 2, cod.proc.pen. non prevede) la nullità del decreto di citazione a giudizio che sia nondimeno emesso»;
che il giudice a quo – premesso che nel corso delle formalità di apertura di entrambi i dibattimenti i difensori dei rispettivi imputati avevano depositato copia di istanze avanzate al pubblico ministero ai sensi dell'art. 415-bis cod.proc.pen., mai formalmente rigettate dall'organo inquirente e, nondimeno, rimaste senza effetto – evidenzia che l'art. 415-bis contempla, tra l'altro, la facoltà dell'indagato di richiedere di essere sottoposto all'interrogatorio da parte del pubblico ministero, con il corrispettivo obbligo, per quest'ultimo, di procedervi, pena la nullità – espressamente comminata dall'art. 552, comma 2, cod.proc.pen. – del decreto di citazione a giudizio; ma non «chiarisce quale sia l'effetto giuridico (sanzione) del mancato compimento degli atti di indagine sollecitati al pubblico ministero dall'indagato»;
che tale «appariscente lacuna» implicherebbe una disparità di trattamento, con violazione dell'art. 3 della Costituzione, «giacché non si comprende perché la nullità sia comminata per il mancato invito a presentarsi per rendere interrogatorio, che è un mezzo di difesa, ma altresì un atto di indagine, e non anche per il mancato compimento di un diverso atto di indagine espressamente richiesto dall'indagato … che è anche un mezzo di difesa»;
che dalla mancata previsione di un obbligo dell'organo inquirente di pronunciarsi sulla richiesta dell'indagato e dall'assenza di qualsivoglia sanzione per l'eventuale inerzia scaturirebbe, altresì, la violazione del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost.;
che nel giudizio instaurato a seguito dell'ordinanza iscritta al n. 496 del 2002, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, per difetto di rilevanza nel giudizio a quo;
che infatti, secondo la difesa erariale, l'atto di indagine, richiesto dall'indagato al pubblico ministero, non era stato espletato per specifiche ragioni, esposte dall'organo inquirente con un provvedimento motivato di rigetto della richiesta, secondo quanto risultava da una nota del Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Roma, recante la trasmissione di altra nota della Procura della Repubblica di Velletri, entrambe allegate dall'Avvocatura generale;
Considerato che, essendo sollevate questioni identiche, va disposta la riunione dei relativi giudizi;
che l'eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza, dedotta dall'Avvocatura dello Stato, deve essere disattesa, in quanto la valutazione della irrilevanza della questione si fonda su documentazione – non delibata dal giudice a quo – acquisita al di fuori delle forme previste, per il processo costituzionale, dalla legge 11 marzo 1953 n. 87 e dalle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
che, nel merito, la questione di legittimità costituzionale si basa sull'omessa previsione di un generale obbligo, in capo al pubblico ministero ed attraverso la censurata norma di cui all'art. 415-bis cod.proc.pen., di ottemperare alla richiesta di specifici atti di indagine avanzata dall'indagato nella fase delle indagini preliminari, con il correlato obbligo di motivare l'eventuale rigetto della richiesta; nonché sull' omessa previsione di sanzioni processuali in caso di mancato rispetto dell'obbligo di svolgere gli accertamenti richiesti, da parte del pubblico ministero;
che, in particolare, il Tribunale rimettente deduce la violazione dell'art. 3 Cost., per la «evidente» disparità di trattamento conseguente alla scelta legislativa di rendere obbligatoria, in capo all'organo inquirente, la sola emissione dell'invito a comparire dell'indagato per rendere interrogatorio, con la conseguente sanzione processuale per il caso di inottemperanza; senza invece prevedere alcun obbligo dell’inquirente in relazione a tutti gli altri atti di indagine, eventualmente sollecitati dall'indagato;
che, tuttavia, per un verso, la previsione di una ulteriore garanzia per l'indagato, attraverso l'art. 415-bis cod. proc. pen., appare modulata secondo scelte legislative che non incontrano alcun limite in soluzioni costituzionalmente obbligate, quanto a necessità di estensione della garanzia medesima; e, per un altro verso, l'interrogatorio, quale strumento di garanzia all'apice dell'indagine espletata - idoneo ad innestare, in quel particolare segmento processuale, il confronto con l'accusatore sul materiale d'accusa e sullo snodo essenziale dell'esercizio o meno dell'azione penale – non ha possibilità di comparazione alcuna con qualsivoglia atto di indagine richiesto dall'indagato;
che, per analoghe ragioni, appare destituita di fondamento altresì la pretesa violazione dell' art. 24 della Costituzione, atteso che il diritto di difesa – garantito oltretutto, nella fase delle indagini preliminari, anche dalla parallela investigazione difensiva – è conformato diversamente dal legislatore nelle varie fasi del processo, in ragione della differenza strutturale esistente tra la raccolta degli elementi necessari per la determinazione dell'esercizio dell'azione penale e l'attività di formazione della prova, quest'ultima propria della fase dibattimentale;
che, pertanto, le questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9,secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 415-bis, comma 3, e 552, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Albano Laziale, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2003.