ORDINANZA N.160
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
– Paolo MADDALENA "
– Alfio FINOCCHIARO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 10, della legge 19 ottobre 1999, n. 370 (Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica), promossi con n. 5 ordinanze del 6 febbraio 2002 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, rispettivamente iscritte ai nn. 232, 233, 234, 235 e 236 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti gli atti di costituzione di Massimo Iappelli ed altri, di Rosalba Benvenuto ed altro e di Stefano Conti ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2003 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 6 febbraio 2002 (r.o. n. 232/2002), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 10, della legge 19 ottobre 1999, n. 370 (Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica), che così dispone: «Al personale di cui all’articolo 6, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 12, commi 1, 2, 3, 4, 6 e 7, della legge 19 novembre 1990, n. 341. Il suddetto personale è ricompreso nelle dizioni previste dall’articolo 16, comma 1, della legge 19 novembre 1990, n. 341, e successive modificazioni. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.»;
che nel giudizio pendente dinanzi al TAR l’Università degli studi di Roma «La Sapienza» ricorre contro il provvedimento governativo di annullamento straordinario [d.P.R. 18 gennaio 2001, emanato a norma dell’art. 2, comma 3, lettera p), della legge 23 agosto 1988, n. 400] di un decreto del Rettore della suddetta Università, adottato in data 21 gennaio 2000, con il quale è stato disposto l’inquadramento nel ruolo dei ricercatori universitari, a decorrere dal 27 ottobre 1999, dei tecnici laureati medici con funzioni assistenziali in servizio presso l’Università;
che, come riferito nell’ordinanza di rimessione, il ricorso giurisdizionale si basa sulla tesi secondo la quale l’art. 8, comma 10, della legge n. 370 del 1999 sarebbe il punto di arrivo di una evoluzione normativa che avrebbe determinato l’equiparazione dello status giuridico dei tecnici laureati a quello dei ricercatori universitari, fondando il titolo a disporre – come è stato fatto con il decreto rettorale poi annullato – l’inquadramento dei primi nella categoria dei secondi;
che, svolgendo un’ampia disamina della normativa vigente e della sua evoluzione, il TAR rimettente esclude che la disposizione sopra detta possa avere il significato (di conclusiva e piena equiparazione della categoria dei tecnici laureati medici ai ricercatori universitari) a essa attribuito dall’Università ricorrente, osservando in particolare che: (a) la figura del tecnico laureato è stata istituita con la specifica attribuzione della funzione di coadiuvare i docenti per il funzionamento dei laboratori, con corrispondente responsabilità delle attrezzature scientifiche e con compiti di direzione dell’attività del personale tecnico non laureato assegnato al laboratorio (art. 35 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382); (b) nello stabilire, con l’art. 12 della legge n. 341 del 1990, i compiti didattici affidati ai ricercatori universitari (affidamenti e supplenze di corsi e moduli, partecipazione alle commissioni di esame, relazione di tesi di laurea, copertura di insegnamenti sdoppiati), il legislatore ha altresì disposto (art. 16 della stessa legge) l’estensione di detti compiti ai tecnici laureati in possesso, alla data di entrata in vigore del d.P.R. n. 382 del 1980, dei requisiti di cui all’art. 50 di quest’ultimo decreto, cioè a coloro che – entro detta data – avessero svolto un triennio di attività scientifica e didattica; (c) per effetto dell’anzidetta estensione, ai tecnici laureati aventi i requisiti richiesti sono stati affidati, tramite una norma di rinvio, i compiti di docenza già assegnati ai ricercatori, inclusi quelli precedentemente elencati nel contesto dello stesso d.P.R. n. 382 (art. 32), cioè compiti didattici integrativi, esercitazioni, cicli di lezioni interne e attività di seminario, in aggiunta ai compiti assistenziali svolti di fatto dal personale in questione nelle facoltà di medicina, per la carenza di personale medico; (d) con l’art. 6, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come sostituito dall’art. 7 del decreto legislativo correttivo 7 dicembre 1993, n. 517, si è stabilito, con una previsione di sostanziale sanatoria di situazioni di fatto, che nelle strutture delle facoltà mediche il personale laureato medico e odontoiatra di ruolo delle aree tecnico-scientifica e socio-sanitaria, in servizio alla data del 31 ottobre 1992, dovesse svolgere anche le funzioni assistenziali; (e) il quadro della evoluzione normativa di progressivo accostamento funzionale dei tecnici laureati ai ricercatori si completa con ulteriori disposizioni, come l’art. 73, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), che consente al personale tecnico laureato l’iscrizione agli ordini professionali, e come l’art. 1, comma 6, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), che estende allo stesso personale la disciplina in tema di attività libero-professionale intra ed extra-muraria;
che, prosegue il rimettente, alla luce di tale quadro deve essere considerata la previsione dell’art. 8, comma 10, della legge n. 370 del 1999, la cui apparente sovrapposizione con la disposizione di estensione ai tecnici laureati dei compiti dei ricercatori già in precedenza contenuta nella legge n. 341 del 1990 si risolve considerando che in realtà la norma del 1999 comprende il personale tecnico laureato «in servizio alla data del 31 ottobre 1992» (secondo la specificazione contenuta nella norma oggetto di rinvio), e che pertanto, prescindendo dall’esercizio di attività didattica per un triennio (come richiesto invece dalla legge del 1990, per il richiamo in quest’ultima ai requisiti di cui al d.P.R. n. 382 del 1980), l’art. 8 in discorso opera un’estensione delle attribuzioni di didattica e ricerca a personale tecnico laureato che non è direttamente incluso nella disciplina di cui alla legge n. 341 del 1990;
che, tutto ciò posto, il TAR esclude che al citato art. 8, comma 10, della legge n. 370 del 1999 possa riconoscersi l’effetto di determinare la conclusiva e totale equiparazione di status tra le due categorie, come vorrebbe l’amministrazione universitaria ricorrente, valendo, in senso contrario: la formulazione testuale della disposizione; l’esigenza, anche in rapporto all’interesse costituzionalmente rilevante del buon funzionamento dell’amministrazione, di una apposita e chiara previsione di inquadramento nell’università, con la qualifica richiesta, del personale in discorso [previsione che non è stata emanata, che non potrebbe desumersi dall’«ambigua» stesura dell’art. 8 e che sarebbe comunque incongruente con l’intervento legislativo, di pochi mesi anteriore, che aveva previsto l’inquadramento nei ruoli di ricercatore del personale tecnico laureato attraverso procedure concorsuali riservate, appositamente istituite (legge 14 gennaio 1999, n. 4)], onde un inquadramento ope legis – come quello disposto con il decreto rettorale – si porrebbe quale elemento di irrazionalità e fonte di discriminazioni all’interno di una medesima categoria, beneficiando alcuni e penalizzando altri; infine, la disposizione dell’ultimo periodo della norma, che esclude oneri aggiuntivi di bilancio (non potendosi, precisa il TAR, formalisticamente distinguere tra bilancio dello Stato e bilancio delle singole università);
che, muovendo dalle esposte premesse ricostruttive del quadro normativo, che condurrebbero a negare validità all’interpretazione fatta propria dall’Università e dunque al rigetto del ricorso da essa proposto, il TAR rimettente dubita della costituzionalità dell’art. 8, comma 10, citato, appunto perché, in presenza del quadro legislativo sopra indicato e della sostanziale assimilazione funzionale tra le due categorie nell’ambito della medesima struttura organizzativa dell’università, non stabilisce la piena identificazione di status e di trattamento giuridico della categoria dei tecnici laureati con quella dei ricercatori, ciò che appare al TAR in contraddizione (a) con il principio di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), sia per l’ingiustificata differenziazione che tuttora mantiene tra i tecnici laureati e i ricercatori, nonostante la riferita progressiva assimilazione, sia per l’incoerenza del mancato collocamento dei primi in una posizione formale che sia corrispondente alle funzioni effettivamente svolte, e altresì (b) con l’art. 97 della Costituzione, per la sperequazione consistente nell’addossare a una categoria di personale (i tecnici laureati) compiti spettanti in origine a un’altra categoria (i ricercatori), senza riconoscere alla prima la complessiva disciplina di status riservata alla seconda, in contrasto con le esigenze di buon funzionamento dell’amministrazione universitaria;
che, conclude il TAR, la rilevanza della questione di costituzionalità risiede nella necessità della pronuncia additiva richiesta quale unica possibile premessa giuridica della tutela dell’interesse fatto valere in giudizio dall’Università ricorrente;
che questioni identiche sono state sollevate dallo stesso TAR del Lazio, con altre quattro ordinanze (r.o. n. 233, n. 234, n. 235 e n. 236/2002), emesse tutte in data 6 febbraio 2002 nell’ambito di altrettanti giudizi promossi – per l’impugnativa del citato provvedimento governativo di cui al d.P.R. 18 gennaio 2001 – da tecnici laureati medici in servizio con funzioni assistenziali presso l’Università degli studi «La Sapienza» di Roma, già inquadrati nella posizione di ricercatori universitari con il decreto rettorale 21 gennaio 2000 poi annullato;
che nei suddetti ulteriori quattro giudizi di legittimità costituzionale così promossi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, che, richiamando la decisione di manifesta infondatezza resa dalla Corte in altro precedente giudizio concernente analoga materia (ordinanza n. 94 del 2002), ha concluso per una declaratoria di inammissibilità delle questioni ora in esame;
che nei giudizi iscritti al r.o. n. 234, n. 235 e n. 236/2002 hanno depositato atti di costituzione i ricorrenti nei rispettivi giudizi principali, i quali, nella memoria depositata, previa ampia e analitica riproposizione delle argomentazioni dedotte nell’ambito dei ricorsi per l’annullamento dell’atto oggetto dell’impugnazione dinanzi al TAR del Lazio, hanno concluso per l’accoglimento della questione di costituzionalità.
Considerato che le cinque ordinanze di rimessione sollevano questioni coincidenti tra loro, e che pertanto è opportuno che i relativi giudizi siano preliminarmente riuniti per essere definiti con unica pronuncia;
che il TAR del Lazio dubita della costituzionalità dell’art. 8, comma 10, della legge 19 ottobre 1999, n. 370 (Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica), in quanto tale norma, pur estendendo ai tecnici laureati (ora: funzionari tecnici e collaboratori tecnici) dell’area tecnico-scientifica e socio-sanitaria in possesso del diploma di laurea in medicina e in odontoiatria, in servizio alla data del 31 ottobre 1992 e svolgenti funzioni assistenziali, le mansioni e i compiti didattici già attribuiti in generale ai tecnici laureati (in possesso del requisito di un triennio di attività didattica e scientifica, a norma dell’art. 50 del d.P.R. n. 382 del 1980), in termini ritenuti corrispondenti agli omologhi compiti assegnati ai ricercatori universitari dalla stessa legge n. 341 del 1990 (e quindi: affidamenti e supplenze di corsi e di moduli; partecipazione alle commissioni di esame; relazione di tesi di laurea; copertura di insegnamenti sdoppiati), non porterebbe a compimento la propria ratio attraverso la piena e completa equiparazione dello status giuridico ed economico dei tecnici laureati a quello dei ricercatori, in violazione dell’art. 3 della Costituzione – per disparità ingiustificata tra le due categorie, essenzialmente assimilabili, e per irragionevolezza della distinzione a fronte di un quadro normativo complessivo improntato a crescente omologazione, anche quanto alle funzioni assistenziali – e altresì dell’art. 97 della Costituzione – per essere la mancata perequazione tra le due categorie, funzionalmente tra loro sovrapponibili, in contraddizione con le esigenze di buon andamento dell’amministrazione universitaria –;
che, chiamata a pronunciarsi su questione identica e riferita ai medesimi parametri costituzionali, questa Corte ne ha dichiarato, con l’ordinanza n. 262 del 2002, la manifesta infondatezza;
che nella citata decisione, riprendendo le corrispondenti e più generali argomentazioni contenute nell’ordinanza n. 94 del 2002 (alla quale fa richiamo l’Avvocatura dello Stato) – resa su questione anch’essa relativa alla mancata equiparazione tra tecnici laureati e ricercatori universitari secondo la disciplina della legge n. 341 del 1990 –, questa Corte ha escluso che abbia fondamento la premessa della questione allora sollevata, cioè la piena fungibilità tra le due categorie di personale, sotto il profilo delle funzioni svolte da ognuna di esse, poiché, al contrario, dal quadro normativo complessivo, a una parziale coincidenza di compiti per quanto riguarda l’attività didattica, si contrappone una essenziale differenziazione per quanto riguarda i compiti primariamente assegnati a ciascuna categoria, cioè la ricerca, che è propria ed esclusiva dei ricercatori, e la direzione e gestione di laboratori, che è propria ed esclusiva dei tecnici laureati;
che pertanto, una volta esclusa la validità della premessa, non sussiste la necessità, alla stregua dell’art. 3 della Costituzione, di introdurre, per via di una pronuncia additiva, la totale assimilazione di status tra le due categorie;
che, inoltre, si è precisato nella citata ordinanza n. 262 del 2002 che nessuna incidenza possono rivestire, rispetto alla conclusione anzidetta, talune settoriali disposizioni legislative concernenti i tecnici laureati dell’area medica (come l’art. 6, comma 5, del decreto legislativo n. 502 del 1992, che attribuisce de iure al personale in questione le funzioni assistenziali in precedenza svolte de facto, o come gli artt. 73, comma 2, del decreto legislativo n. 29 del 1993 e 1, comma 6, della legge n. 662 del 1996, in tema rispettivamente di iscrizione dei tecnici laureati medici agli albi professionali e di applicazione della disciplina sull’attività extra-muraria), in quanto si tratta di norme di contorno basate sul principio, più volte sottolineato da questa Corte, della stretta compenetrazione tra assistenza e didattica;
che, ancora, nella pronuncia richiamata si è escluso ogni profilo di violazione dell’art. 97 della Costituzione, impropriamente evocato in vista di miglioramenti economici e di trattamento normativo (sentenza n. 273 del 1997);
che, in mancanza di argomenti o profili nuovi nelle ordinanze di rimessione ora in esame (emesse in data anteriore all’ordinanza n. 262 del 2002 di questa Corte), non v’è ragione di discostarsi dalle conclusioni raggiunte nella citata decisione, cosicché le questioni sollevate devono essere dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 10, della legge 19 ottobre 1999, n. 370 (Disposizioni in materia di università e di ricerca scientifica e tecnologica), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2003.