ORDINANZA N.102
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 81, commi 1 e 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 19 novembre 1991, n. 52 e successive modifiche e integrazioni (Norme regionali in materia di pianificazione territoriale e urbanistica), promosso con ordinanza del 15 marzo 2002 dal Tribunale di Pordenone nel procedimento penale a carico di Manente Gianfranco, iscritta al n. 212 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento della Regione Friuli-Venezia Giulia;
udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2003 il Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto che il Tribunale di Pordenone, con ordinanza in data 15 marzo 2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, commi 1 e 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 19 novembre 1991, n. 52 (Norme regionali in materia di pianificazione territoriale e urbanistica) e successive modifiche ed integrazioni, deducendo la violazione degli artt. 3, primo e secondo comma, 25, 112 e 117 della Costituzione;
che l’ordinanza è stata pronunciata nel corso di un procedimento penale a carico di un soggetto imputato del reato di costruzione in assenza di concessione, previsto dall’art. 20, lettera b), della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) perché, in forza di autorizzazione edilizia in precario, rilasciata ai sensi dell’art. 81 della legge regionale n. 52 del 1991, aveva realizzato un manufatto destinato ad essere utilizzato come ricovero per materiale in legno;
che tale manufatto non era stato tempestivamente demolito allo scadere del termine di validità dell’autorizzazione, termine prorogato due volte dall’amministrazione comunale;
che, ad avviso del giudice a quo, l’art. 81 della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia – nel prevedere che possano essere autorizzati a titolo precario gli interventi soggetti a concessione od autorizzazione edilizia, benché difformi dalle previsioni degli strumenti urbanistici, qualora siano destinati al soddisfacimento di esigenze di carattere improrogabile e transitorio, non altrimenti realizzabili –, determinerebbe una radicale modificazione dei presupposti del reato di costruzione in assenza di concessione, con inevitabile pregiudizio per la concreta applicabilità delle sanzioni previste dalla legge penale statale;
che, in particolare, l’incostituzionalità della norma emergerebbe dalla prassi applicativa, dal momento che gli organi competenti comunicano la notizia di reato all’autorità giudiziaria solo dopo la scadenza del termine di validità della autorizzazione in precario (che, nel caso di più proroghe, può arrivare fino a 3 anni) con la conseguenza che, per tutto il periodo di validità di tale autorizzazione, viene ad escludersi la violazione della normativa urbanistica e dunque qualsiasi ipotesi di reato, pur essendo l’opera realizzata in assenza di concessione;
che la situazione descritta pregiudicherebbe fin dall’inizio la possibilità di un utile esercizio dell’azione penale in quanto spesso, già prima dell’avvio del procedimento penale, è ormai decorso il termine di prescrizione del reato (tre anni decorrenti dal giorno di ultimazione dei lavori), ovvero in quanto la notizia di reato non giunge affatto all’autorità giudiziaria allorché l’opera urbanisticamente rilevante, assentita con l’autorizzazione in precario, venga demolita entro i termini di validità dell’autorizzazione suddetta;
che – prosegue il Tribunale – il "diritto vivente" (meglio: la prassi applicativa) che si è formato sulla norma regionale determinerebbe l’alterazione della fattispecie penale, identificando il reato nella omessa demolizione dell’opera alla scadenza dell’autorizzazione in precario, anziché nella esecuzione di un’opera in assenza di concessione edilizia;
che, in definitiva, la norma censurata violerebbe la tipicità e determinatezza della fattispecie criminosa delineata dalla normativa statale, con conseguente lesione dell’art. 25 Cost.;
che l’art. 81 della legge del Friuli-Venezia Giulia n. 52 del 1991, pregiudicherebbe l’utile esercizio dell’obbligatoria azione penale (art. 112 Cost.) e contrasterebbe con l’art. 117 della Costituzione, che al secondo comma lettera l) attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia penale;
che il giudice a quo ravvisa inoltre una violazione dell’art. 3 della Costituzione, sia in quanto identiche fattispecie concrete sarebbero assoggettate ad un trattamento sanzionatorio penale diverso a seconda della loro localizzazione geografica (nel Friuli-Venezia Giulia ovvero in altra regione), sia in quanto, pur all’interno del territorio del Friuli, la persecuzione penale di fatti analoghi verrebbe a dipendere dall’esercizio altamente discrezionale, da parte dei Comuni, del potere di rilasciare o meno l’autorizzazione in precario;
che infine la norma censurata contrasterebbe anche con l’art. 3, secondo comma, Cost. introducendo una definizione di opera precaria ontologicamente incompatibile con il senso logico e giuridico stesso del concetto, come emergerebbe dal "diritto vivente consacrato nella circolare della competente Direzione Regionale interpretativa dell’art. 81";
che, in ordine alla rilevanza della questione, il Tribunale di Pordenone osserva che nel giudizio a quo "la condotta contestata concerne la realizzazione del manufatto in regime di autorizzazione in precario (la cui illegittimità conseguente alla censura costituzionale renderebbe ab origine illecita la realizzazione in difetto di valido titolo) oltre che la sua mancata demolizione alla scadenza del termine";
che, aggiunge il rimettente, pur applicando il principio della non punibilità dell’imputato per condotte che assumono carattere penalmente illecito solo a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale, questa sarebbe comunque rilevante sia in relazione alla diversa formula di proscioglimento da adottare e dei relativi effetti, anche extrapenali, sia "ai fini di individuazione della istantaneità ovvero permanenza della violazione e del conseguente termine iniziale di prescrizione (che può risultare in concreto già maturata a seconda di questo)";
che nel giudizio è intervenuta la Regione Friuli-Venezia Giulia, la quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile sia per la mancata prospettazione, da parte del remittente, di un’interpretazione della norma censurata conforme a Costituzione, sia sotto il profilo del difetto di rilevanza della questione nel giudizio a quo, in quanto il reato contestato sarebbe comunque estinto per prescrizione;
che la difesa regionale ha inoltre eccepito l’infondatezza della censura, dal momento che la norma impugnata avrebbe ad oggetto opere che, pur se potenzialmente soggette a concessione qualora destinate ad uso permanente, in realtà in concreto non lo sono perché destinate ad un uso temporaneo e precario, come affermato dalla giurisprudenza ormai costante;
che quindi appare legittima la rigorosa disciplina di un istituto, assente nella preesistente legislazione urbanistica, da parte di una Regione come il Friuli-Venezia Giulia, dotata in materia di una potestà legislativa di tipo primario.
Considerato che il Tribunale di Pordenone dubita della legittimità costituzionale dell’art. 81, commi 1 e 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 19 novembre 1991, n. 52 (Norme regionali in materia di pianificazione territoriale e urbanistica), nella parte in cui prevede che interventi soggetti a concessione o autorizzazione edilizia, anche se difformi dalle previsioni degli strumenti urbanistici, qualora siano destinati al soddisfacimento di esigenze improrogabili e transitorie, possono essere autorizzati a titolo precario per un periodo di validità di un anno, prorogabile per due volte;
che dall’ordinanza di remissione emerge che nel giudizio a quo l’imputato è chiamato a rispondere per il reato di costruzione in assenza di concessione per aver realizzato un manufatto in forza di autorizzazione in precario rilasciata ai sensi dell’art. 81, manufatto che non veniva tempestivamente demolito alla scadenza del termine di validità della autorizzazione stessa;
che il remittente non ha chiarito le ragioni che a suo avviso rendono applicabile la norma censurata nel giudizio a quo, dal momento che non si comprende se il comportamento considerato ai fini della valutazione della responsabilità penale sia quello consistente nella realizzazione del manufatto (disciplinato dalla disposizione regionale sottoposta a questo giudizio), ovvero quello della mancata demolizione dell’opera, alla scadenza dell’autorizzazione in precario (che, al contrario, esula dall’ambito di applicazione della stessa disposizione);
che, conseguentemente, l’ordinanza di remissione appare carente di specifica motivazione in punto di rilevanza della questione prospettata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, commi 1 e 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 19 novembre 1991, n. 52 (Norme regionali in materia di pianificazione territoriale e urbanistica) e successive modifiche ed integrazioni, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 25, 112 e 117 della Costituzione, dal Tribunale di Pordenone con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2003.