SENTENZA N.70
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge 12 febbraio 1955, n. 77 (Pubblicazione degli elenchi dei protesti cambiari), come sostituito dalla legge 18 agosto 2000, n. 235 (Nuove norme in materia di cancellazione dagli elenchi dei protesti cambiari), promosso con ordinanza del 30 luglio 2002 dal Giudice di pace di Sansepolcro nel procedimento civile vertente tra Viciani Lorenzo e la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Arezzo, iscritta al n. 457 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di costituzione di Viciani Lorenzo nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2003 il Giudice relatore Romano Vaccarella;
uditi l’avv. Alberto Rubechi per Viciani Lorenzo e l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso di un procedimento civile promosso, davanti al Giudice di pace di Sansepolcro, da Lorenzo Viciani nei confronti della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Arezzo, ai sensi dell’art. 4, comma 4, della legge 12 febbraio 1955, n. 77 (Pubblicazione degli elenchi dei protesti cambiari) - sostituito dall’articolo 2, comma 1, della legge 18 agosto 2000, n. 235 (Nuove norme in materia di cancellazione dagli elenchi dei protesti cambiari) -, a seguito della reiezione, da parte del presidente di detto ente camerale, dell’istanza di cancellazione dal registro informatico di cui all’art. 3-bis del decreto legge 18 settembre 1995, n. 381 (Disposizioni urgenti in materia di finanziamento delle camere di commercio) – convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 novembre 1995, n. 480 -, iscrizione avvenuta per mancato pagamento di due assegni bancari, il giudice adito, con ordinanza del 30 luglio 2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 4 della citata legge 12 febbraio 1955, n. 77, nella parte in cui – mentre prevede che il debitore, contro cui sia stato levato protesto per mancato pagamento di una cambiale o di un vaglia cambiario, ha diritto di ottenere la cancellazione del proprio nome dal predetto registro informatico qualora, entro il termine di dodici mesi dalla levata del protesto, provveda al pagamento della cambiale o del vaglia cambiario protestato (unitamente agli interessi maturati ed alle spese per il protesto, per il precetto e per il processo esecutivo eventualmente promosso) - non consente, invece, al traente di un assegno bancario, o agli altri soggetti legittimati, di adire il presidente della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, per ottenere la cancellazione del proprio nome dal medesimo registro informatico.
1.1.- Quanto alla rilevanza della questione, il giudice rimettente rileva che l’attore, avendo emesso due assegni bancari, presentati per il pagamento in data 21 e 24 dicembre 2001, e successivamente protestati, per difetto di provvista, aveva provveduto al pagamento delle somme portate dai titoli, oltre agli interessi maturati, alle spese di protesto ed alla penale, pari al dieci per cento della somma dovuta e non pagata, in data 8 gennaio 2002, ossia nel termine (sessanta giorni) di cui all’art. 8, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari) - sostituito dall’art. 33, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205). L’attore aveva, quindi, presentato istanza al presidente della locale camera di commercio, in data 24 gennaio 2002, per ottenere la cancellazione del proprio nome dal registro informatico dei protesti, ma si era visto respingere l’istanza, con la motivazione che non ricorreva alcuna delle ipotesi in cui la legge consente la cancellazione del protesto di un assegno bancario, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge n. 77 del 1955 (illegittima od erronea levata del protesto), non essendo estensibile al protesto di assegno bancario la disposizione del comma 1 dello stesso art. 4, il quale prevede la cancellazione del protesto per mancato pagamento soltanto con riferimento alla cambiale ed al vaglia cambiario.
1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente sostiene che la norma dell’art. 4 della legge n. 77 del 1955, nella parte in cui nega al traente di un assegno bancario, protestato per mancato pagamento, la possibilità di ottenere la cancellazione del proprio nome dal registro informatico dei protesti, è in contrasto:
a) con l’art. 3 della Costituzione, poiché determina una ingiustificata disparità di trattamento rispetto al debitore che abbia provveduto, nel termine di dodici mesi ivi previsto, al pagamento di una cambiale o di un vaglia cambiario protestato per mancato pagamento, ed equipara ingiustificatamente la posizione del traente dell’assegno bancario protestato, che abbia eseguito il pagamento nel termine (60 giorni) di cui all’articolo 8, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 386 – sostituito dall’art. 33 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 -, a quella del traente che non vi abbia provveduto;
b) con l’art. 24 della Costituzione, poiché comprime il diritto di difesa del traente che abbia eseguito il pagamento dell’assegno bancario dopo il protesto nel termine di cui innanzi.
Il rimettente ricorda che la Corte costituzionale, in due precedenti occasioni (con sentenza 26 giugno 1990, n. 317, e ordinanza 12 gennaio 1993, n. 14), ha dichiarato non fondata identica questione di legittimità costituzionale, ma osserva che la diversità di regime giuridico e sanzionatorio fra cambiale e assegno bancario, in considerazione della quale la Corte ha respinto le censure di incostituzionalità, si è nel frattempo quasi del tutto annullata, per effetto di alcune norme di legge; in particolare:
"a) della legge n. 386 del 15 dicembre 1990, art. 8, la quale prevede che l’avvenuto pagamento dell’assegno, degli interessi e della penale sollevano il traente da ogni conseguenza sanzionatoria;
"b) del decreto legislativo n. 507 del 30 dicembre 1999, art. 33, che ha depenalizzato il reato di emissione di assegni emessi senza provvista, sottoponendolo così ora al procedimento sanzionatorio disciplinato dalla legge 24 novembre 1981, n. 689;
"c) dell’art. 4 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, comma 2, che ha introdotto la possibilità di cancellare il nome del debitore protestato dall’archivio informatico di cui all’art. 3-bis del decreto-legge 18 settembre 1995, n. 381, nel caso in cui la levata del protesto sia stata fatta in modo erroneo o illegittimo, non distinguendo fra cambiale e assegno;
"d) dell’art. 17, comma 1, della legge 7 marzo 1996, n. 108, come modificato dalla legge 18 agosto 2000, n. 235, secondo cui il debitore protestato, che abbia adempiuto all’obbligazione per la quale il protesto è stato levato, ha diritto ad ottenere la riabilitazione, trascorso un anno, ove non abbia subito ulteriore protesto, anche qui senza fare alcuna distinzione tra assegni e cambiali;
"e) dell’art. 17, comma 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108, come modificato dalla legge 18 agosto 2000, n. 235, nella parte in cui prevede, non distinguendo gli effetti protestati, che il debitore protestato riabilitato possa ottenere la cancellazione definitiva dei dati relativi al protesto anche dal registro informatico di cui all’art. 3-bis del decreto-legge 18 settembre 1995, n. 381".
In sintesi, l’evoluzione legislativa successiva al 1993 mostra, ad avviso del rimettente, una tendenziale volontà del legislatore di armonizzare le normative della cambiale e dell’assegno bancario, per cui risulta essere ormai ingiustificato il trattamento differenziato che ancora permane quanto alla possibilità di ottenere la cancellazione del protesto per mancato pagamento.
2.- Si è costituito nel giudizio il sig. Lorenzo Viciani, il quale si è limitato a concludere per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata.
3.- E’intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di non fondatezza della questione, in quanto è tuttora valido ciò che aveva evidenziato la Corte costituzionale nelle su richiamate pronunce, e cioè che diversa è "la funzione tipica dei due titoli di credito, costituendo l’assegno bancario un mezzo di pagamento e la cambiale, invece, uno strumento di credito" (ordinanza n. 14 del 1993).
Quanto, poi, al parametro dell’art. 24 Cost., la difesa erariale osserva che, essendo negato dal legislatore, sul piano sostanziale, un diritto alla cancellazione del protesto dell’assegno bancario, manca lo stesso presupposto perché si possa porre una questione di diritto alla tutela giurisdizionale.
4.- All’udienza pubblica del 28 gennaio 2003 l’avv. Rubechi, per Lorenzo Viciani, ha concluso per la fondatezza della questione e l’avv. Massimo Salvatorelli, dell’Avvocatura generale dello Stato, ha insistito per la dichiarazione di infondatezza.
Considerato in diritto
1.- Il Giudice di pace di Sansepolcro dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge 12 febbraio 1955, n. 77, come sostituito dall’art. 2, comma 1, della legge 18 agosto 2000, n. 235, nella parte in cui esclude dalla disciplina della cancellazione del protesto (nel registro informatico di cui all’art. 3-bis del decreto legge 18 settembre 1995, n. 381, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 novembre 1995, n. 480) il traente di assegno bancario che, nel termine di sessanta giorni dalla levata del protesto, abbia pagato quanto portato dal titolo (e relativi oneri accessori e penale), irrazionalmente discriminandolo rispetto al debitore cambiario che abbia provveduto al pagamento del proprio debito (e dei relativi oneri accessori) nel termine di dodici mesi dalla levata del protesto.
2.- La questione non è fondata.
La Corte osserva che, se è vero, come rilevato dal rimettente, che l’evoluzione legislativa (in particolare, il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507) è nel senso di un avvicinamento – sia rispetto all’originaria disciplina, di cui al regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736 (Disposizioni sull’assegno bancario, sull’assegno circolare e su alcuni titoli speciali dell’Istituto di emissione, del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia), marcatamente pubblicistica, sia anche rispetto alla successiva legge 15 dicembre 1990, n. 386 – della disciplina legislativa dell’assegno bancario a quella della cambiale, è anche vero che permangono significative e strutturali diversità di disciplina, frutto di opzioni non irragionevoli del legislatore.
Va evidenziato, in particolare, che l’avvicinamento di cui si è detto si riscontra non tanto nella previsione di una condizione di procedibilità connessa allo spirare del "termine di grazia" di sessanta giorni senza che sia avvenuto il pagamento (condizione di procedibilità per l’azione penale: legge n. 386 del 1990; condizione di procedibilità per la sanzione amministrativa pecuniaria e inibitoria della facoltà di emettere assegni: legge n. 205 del 1999), quanto piuttosto nell’irrilevanza – sotto ogni profilo – dell’assenza della provvista al momento dell’emissione.
Tuttavia, tale circostanza non vale a snaturare la peculiare natura dell’assegno bancario quale mezzo di pagamento, dal momento che - pur non costituendo più, in sé, illecito sanzionabile sul piano penale (art. 12 legge n. 386 del 1990) l’omessa o inesatta indicazione della data di emissione - l’assegno continua ad essere (art. 31 del r. d. n. 1736 del 1933) immediatamente presentabile per il pagamento ed al momento della presentazione deve sussistere la provvista.
Va ritenuto, conseguentemente, che appartiene alla discrezionalità del legislatore collegare all’assenza della provvista al momento della presentazione taluni effetti lato sensu sanzionatori, quali la levata del protesto e l’irrogazione della penale del 10%, e postergarne altri (sanzione pecuniaria ed inibizione) allo spirare del "termine di grazia", in tal modo, da un lato, favorendo l’adempimento, sia pure tardivo, dell’obbligazione portata dal titolo, ma anche, dall’altro lato, continuando ad attribuire rilevanza giuridica all’assenza della provvista al momento della presentazione.
Pertanto, il protrarsi – nonostante il successivo adempimento nel "termine di grazia" – dell’iscrizione nel registro informatico dei protesti per il tempo necessario per la riabilitazione, di cui all’art. 17 della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura), costituisce una scelta del legislatore non irrazionale, e come tale non censurabile da questa Corte, a fronte della diversa soluzione adottata per il debitore cambiario adempiente nel "termine di grazia", al quale la legge riconosce un vero e proprio diritto alla cancellazione dell’iscrizione.
Totalmente irrilevante, ai fini della asserita irrazionalità della disciplina, è la circostanza che la legge (ovviamente) riconosca anche al traente di assegno bancario il diritto alla cancellazione del protesto erroneamente o illegittimamente levato, così come irrilevante è, ai medesimi fini, la circostanza che, quanto alla cancellazione del protesto, il traente di assegno che abbia adempiuto nel "termine di grazia" sia trattato allo stesso modo del traente che non abbia adempiuto, il quale, tuttavia, viene assoggettato alle ulteriori sanzioni (pecuniaria e inibizione) collegate all’inutile decorso del termine di grazia.
In definitiva, non sussiste alcuna irrazionalità nel diverso trattamento riservato a due situazioni tra loro diverse, quale quella del traente di assegno bancario adempiente nel "termine di grazia" e quella del debitore cambiario adempiente nel "termine di grazia".
Ne discende che, in assenza di una violazione dell’art. 3 Cost. per aver diversamente disciplinato sul piano sostanziale situazioni diverse, non sussiste alcuna violazione dell’art. 24 Cost., ciò che presupporrebbe un diritto sostanziale non riconosciuto al traente di assegno bancario.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge 12 febbraio 1955 n. 77 (Pubblicazione degli elenchi dei protesti cambiari), come sostituito dall’art. 2, comma 1, della legge 18 agosto 2000, n. 235 (Nuove norme in materia di cancellazione dagli elenchi dei protesti cambiari), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal Giudice di pace di Sansepolcro con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2003.