ORDINANZA N.499
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 36, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), nel testo risultante dall’art. 1 del decreto legislativo 28 dicembre 1998, n. 490 (Disposizioni integrative del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, concernenti la revisione della disciplina dei centri di assistenza fiscale), promosso con ordinanza del 6 giugno 2001 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Fallica Giuseppina ed altri contro il Ministero delle finanze, iscritta al n. 944 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 49, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visto l'atto di costituzione di Fallica Giuseppina ed altri, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 ottobre 2002 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio da alcuni avvocati tributaristi per l’annullamento del decreto del ministro delle finanze 29 dicembre 1999, recante "Disposizioni in materia di certificazione tributaria", nella parte in cui (art.1) individua i soggetti certificatori, rinviando al disposto dell’art. 36, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), nel testo risultante dall’art. 1 del decreto legislativo 28 dicembre 1998, n. 490, il Tribunale adito, con ordinanza del 6 giugno 2001 (r.o. n. 944 del 2001), ha sollevato questione di legittimità costituzionale di detto art. 36, nella parte in cui esso attribuisce solo a determinate categorie di professionisti, ivi indicate, la legittimazione ad effettuare la certificazione tributaria, per contrasto con gli artt. 35, 76, 3 e 97 della Costituzione;
che la norma impugnata, ad avviso del collegio rimettente, opererebbe di fatto una sorta di riserva monopolizzatrice delle predette attività, laddove gli adempimenti relativi alla tenuta della contabilità dovrebbero ritenersi del tutto liberi, non richiedendo specifici requisiti professionali. In tal modo, essa determinerebbe una ingiustificata limitazione alla scelta ed al libero svolgimento di attività lavorative, con conseguente violazione del diritto al lavoro, costituzionalmente garantito;
che, per altro verso, il Tar del Lazio ravvisa un vulnus all’art. 76 della Costituzione con riferimento al ritenuto superamento, ad opera della norma denunciata, del limite della funzione legislativa delegata. Al riguardo, si osserva nella ordinanza di rimessione che l’art. 3, comma 134, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che delegava il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni volte a semplificare gli adempimenti dei contribuenti, a modernizzare il sistema di gestione delle dichiarazioni ed a riorganizzare il lavoro degli uffici finanziari in modo da assicurare la gestione unitaria delle posizioni dei singoli contribuenti, secondo principi e criteri direttivi nella stessa norma contenuti, fissava, alla lettera d), il criterio concernente le modalità di presentazione delle dichiarazioni e dei relativi allegati da parte dei soggetti obbligati, con particolare riguardo alla "utilizzazione di strutture intermedie tra contribuente ed amministrazione finanziaria", nonché all’adeguamento "al nuovo sistema della disciplina degli adempimenti demandati ai predetti soggetti e delle relative responsabilità". Alla stregua di tale criterio, il legislatore delegato era tenuto, secondo il Tribunale rimettente, a dettare disposizioni riguardanti le modalità di presentazione delle dichiarazioni e, quindi, ad attenersi ad aspetti formali delle stesse; mentre non gli sarebbe stato consentito, anche sotto il profilo del principio perequativo sancito dall’art. 3 della Costituzione, nonché di quelli di razionalità e di buona amministrazione garantiti dall’art. 97 della Costituzione, di affidare il compito di effettuare la certificazione tributaria ad una ristretta categoria di revisori contabili iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro che avessero esercitato la professione per almeno cinque anni, escludendo dal novero dei soggetti abilitati tutti gli altri professionisti che offrissero analoghe garanzie di esperienza e professionalità;
che nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti fuori termine gli avvocati tributaristi parti del giudizio a quo, che hanno poi presentato una memoria illustrativa;
che ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità per difetto di rilevanza della questione e, nel merito, per la infondatezza. Ha rilevato al riguardo l’Avvocatura, quanto alla censura relativa alla presunta violazione dei limiti della delega, che il legislatore aveva dettato anche criteri direttivi intesi da un lato a dare attuazione ad una disciplina dell’attività dei soggetti abilitati a costituire le strutture intermedie tra il contribuente e l’Amministrazione, e, dall’altro, a riorganizzare l’attività degli uffici: sotto tale profilo, la norma denunciata avrebbe attuato pienamente la volontà del legislatore delegante. Quanto alla denunciata lesione degli articoli 3, 35 e 97 della Costituzione, l’Avvocatura esclude la configurabilità di una situazione di monopolio dell’attività di certificazione tributaria in capo a determinati soggetti, osservando che la delicatezza della certificazione ha indotto il legislatore ad individuare ed imporre il possesso di particolari requisiti di capacità professionale agli appartenenti alle categorie professionali abilitate al rilascio della stessa, che, peraltro, non costituendo un obbligo per il certificatore, ma una sua scelta discrezionale, deve essere rilasciata soltanto quando i risultati dei riscontri effettuati evidenzino una corretta osservanza delle norme tributarie relative a tutte le componenti oggetto della certificazione. L’Avvocatura pone, quindi, in rilievo i benefici che dalla normativa delegata trarrebbe l’interesse generale ad un più agile funzionamento degli uffici finanziari e l’esigenza imprescindibile di potenziare la disciplina degli adempimenti e della responsabilità dei soggetti abilitati a fornire l’assistenza fiscale.
Considerato che manca nella ordinanza di rimessione qualsiasi specifico riferimento (salva la notazione che i ricorrenti avvocati tributaristi sono revisori contabili) ai profili di rilevanza della questione nella concreta fattispecie all’esame del giudice a quo, in riferimento al possesso da parte degli stessi ricorrenti degli altri requisiti che devono accompagnare quello relativo alla iscrizione negli appositi albi dei revisori contabili (esercizio da parte dei revisori della professione per almeno cinque anni; tenuta di scritture contabili) per poter essere abilitati al rilascio, ai soli fini fiscali, della certificazione tributaria, di cui al comma 2 dell’art 36 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241;
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte Costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), nel testo risultante dall’art. 1 del decreto legislativo 28 dicembre 1998, n. 490 (Disposizioni integrative del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, concernenti la revisione della disciplina dei centri di assistenza fiscale), sollevata, in riferimento agli artt. 35, 76, 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2002.