ORDINANZA N.451
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 210, comma 6, e 197-bis, comma 2, del codice di procedura penale (in relazione agli artt. 197, comma 1, lettera b, e 64, comma 3, lettera c, cod. proc. pen.), promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Biella con ordinanza del 19 novembre 2001, iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Tribunale di Biella ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 210, comma 6, e 197-bis, comma 2, del codice di procedura penale (in relazione agli artt. 197, comma 1, lettera b, e 64, comma 3, lettera c, cod. proc. pen.), nella parte in cui non prevede la possibilità di sentire come testimone, in sede dibattimentale e a prescindere dall'avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen., anche la persona che abbia reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato in qualità di persona informata sui fatti e che abbia assunto la qualità di indagato o di imputato di reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., in epoca successiva alle dichiarazioni stesse;
che il rimettente premette di procedere nei confronti di persona imputata (in concorso con altro soggetto già giudicato con rito abbreviato) dei reati di sequestro di persona, cessione illecita di sostanze stupefacenti e violenza sessuale e che nella fase degli atti introduttivi al dibattimento il pubblico ministero ha chiesto l'esame di alcune parti offese che nel corso delle indagini preliminari avevano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato in qualità di persone informate sui fatti;
che tali soggetti avevano successivamente assunto la qualità di persone sottoposte alle indagini in relazione al reato - collegato a quello per cui si procede ex art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen. - di tentato omicidio commesso in danno dell'attuale imputato, ed erano stati poi condannati per tale reato con sentenza non ancora passata in giudicato pronunciata a seguito di giudizio abbreviato;
che ad avviso del rimettente i soggetti che hanno reso dichiarazioni prima di assumere la veste di imputati devono essere esaminati ai sensi del combinato disposto degli artt. 197-bis, comma 2, e 210, comma 6, cod. proc. pen., che disciplina l'esame in dibattimento degli imputati in procedimenti teleologicamente connessi o di reati collegati che in tale veste non abbiano reso in precedenza dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui;
che secondo il giudice a quo tale conclusione si trae agevolmente dalla nuova disciplina della incompatibilità a testimoniare introdotta dalla legge 1° marzo 2001, n. 63, posto che nel caso di specie non si versa in alcuna delle ipotesi per le quali in base agli artt. 197 e 197-bis cod. proc. pen. è prevista l’assunzione dell’ufficio di testimone;
che, in particolare, il comma 6 dell'art. 210 cod. proc. pen., pur stabilendo che l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen. deve essere dato alle persone imputate in procedimento connesso o di reato collegato che non hanno in precedenza reso dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato, non può non ritenersi applicabile anche ai soggetti che abbiano in precedenza reso dichiarazioni nella diversa veste di persone informate sui fatti;
che ad avviso del giudice a quo il conseguente obbligo di formulare l'avvertimento relativo alla facoltà di non rispondere, oltre a determinare un evidente profilo di <<irragionevolezza intrinseca>> delle norme censurate, si pone in contrasto:
- con l'art. 3 Cost., perché disciplina in modo identico, con riferimento, in particolare, alla garanzia del diritto al silenzio e al regime di valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona esaminata, situazioni processuali diverse, quali appunto sarebbero quella di imputati di reati collegati che non hanno mai reso dichiarazioni su fatti altrui e quella di soggetti che hanno invece in precedenza reso dichiarazioni erga alios, ma nella diversa veste di persone informate sui fatti;
- con l'art. 111 Cost., in quanto, una volta che il soggetto, non ancora indagato o imputato di reato collegato ai sensi dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., abbia deciso per <<"libera scelta" [...] di rendere dichiarazioni contra alios>>, il riconoscimento della garanzia del diritto al silenzio previsto dall'art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen. <<finirebbe per scontrarsi, in maniera irragionevole e inaccettabile, con il diritto sia dell'accusato che del pubblico ministero al confronto dialettico nella formazione della prova>>;
- con l'art. 112 Cost., perché determina un ostacolo all'esercizio dell'azione penale.
Considerato che il Tribunale di Biella dubita della legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 210, comma 6, e 197-bis, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che chi ha in precedenza reso dichiarazioni sulla responsabilità dell'imputato in qualità di persona informata sui fatti, e solo successivamente ha assunto la qualità di imputato di un reato collegato ai sensi dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., possa essere sentito come testimone in dibattimento a prescindere dall'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen.;
che il rimettente ritiene che l'avvertimento previsto dall'art. 210, comma 6, cod. proc. pen. circa la facoltà di non rispondere debba essere rivolto anche alla persona imputata in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lettera c), ovvero di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., che ha in precedenza reso dichiarazioni sulla responsabilità di altri nella diversa qualità di persona informata sui fatti;
che ad avviso del giudice a quo la normativa censurata, così interpretata, si pone in contrasto: con l'art. 3 Cost., in quanto disciplina in modo identico le diverse situazioni processuali di chi non ha mai reso in precedenza dichiarazioni erga alios e di chi ha reso tali dichiarazioni, sia pure nella diversa veste di persona informata sui fatti; con l'art. 111 Cost., in quanto una volta che il soggetto, anche se non ha ancora assunto la qualità di imputato di reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., abbia operato la <<libera scelta>> di rendere dichiarazioni sul fatto altrui, il riconoscimento del diritto al silenzio verrebbe a violare il principio della formazione della prova in contraddittorio; con l'art. 112 Cost., in quanto ostacola l'esercizio dell'azione penale;
che la legge n. 63 del 2001, nell'intento di ridurre l'area del diritto al silenzio, ha previsto che l'incompatibilità a testimoniare degli imputati in procedimenti connessi ex art. 12, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. o di reati collegati a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen. venga meno, quando il procedimento a loro carico è ancora pendente, se questi hanno reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri precedute dall'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen. (richiamato dall'art. 210, comma 6, cod. proc. pen.), nel rispetto del principio nemo tenetur se detegere e al fine di garantire che il dichiarante operi una scelta libera e consapevole;
che il rimettente, nel ritenere che le dichiarazioni erga alios rese ex art. 362 cod. proc. pen. siano frutto di una <<libera scelta>> - circostanza che, a suo avviso, rende superfluo l'avvertimento - trascura di considerare che la persona informata sui fatti ha l'obbligo di rispondere, secondo verità, alle domande rivoltele dal pubblico ministero, e che, se rifiuta di rispondere o dichiara il falso, commette il reato di false informazioni, previsto e sanzionato dall'art. 371-bis cod. pen.;
che le dichiarazioni a norma dell'art. 362 cod. proc. pen. non sono pertanto assimilabili a quelle rese sul fatto altrui dalla persona sottoposta alle indagini o imputata di un reato collegato ex art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., in quanto solo nel secondo caso il soggetto, ricevuto l'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen., si è liberamente determinato a rilasciare dichiarazioni accusatorie;
che la nuova disciplina del diritto al silenzio prevista dalla legge n. 63 del 2001, esprimendo l'esigenza di subordinare, per determinate categorie di soggetti, l'assunzione della qualità di testimone su fatti concernenti la responsabilità altrui alla libera autodeterminazione del dichiarante, si fonda su una ratio che non può non estendersi alla peculiare situazione di chi, avendo reso le precedenti dichiarazioni nella veste di soggetto che aveva l'obbligo di rispondere alle domande e di dire la verità, debba poi essere esaminato nella diversa qualità di imputato di reato collegato;
che non è dunque dato ravvisare alcuna violazione del principio di eguaglianza nella disciplina, non implausibilmente interpretata dal rimettente, che prescrive l'obbligo di dare l'avvertimento circa la facoltà di non rispondere all'imputato di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., non rilevando la circostanza che tale soggetto abbia in precedenza reso dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui nella diversa qualità di persona informata sui fatti;
che non sussiste neppure la dedotta violazione dell'art. 111, comma quarto, Cost., perché la regola della formazione della prova in contraddittorio non può vanificare l'esercizio del diritto al silenzio, che è espressione del principio nemo tenetur se detegere, e costituisce perciò un <<corollario essenziale del diritto di difesa>> (v. ordinanza n. 291 del 2002);
che, infine, non sussiste alcuna violazione dell'art. 112 Cost., posto che le norme che assicurano il diritto al silenzio all'imputato di reato collegato o in procedimento connesso, che non si sia determinato per consapevole e libera scelta a rendere dichiarazioni erga alios, non incidono in alcun modo sull'esercizio dell'azione penale, tanto più nel caso in cui il pubblico ministero abbia già formulato la richiesta di rinvio a giudizio e il procedimento si trovi nella fase dibattimentale;
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata con riferimento a tutti i parametri presi in considerazione.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 210, comma 6, e 197-bis, comma 2, del codice di procedura penale (in relazione agli artt. 197, comma 1, lettera b, e 64, comma 3, lettera c, cod. proc. pen.), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione, dal Tribunale di Biella, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2002.