ORDINANZA N.431
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 500, commi 2, 4, 6 e 7, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 16 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’art. 111 della Costituzione), promossi con ordinanze emesse il 3 maggio 2001 dal Tribunale di Ascoli Piceno, il 3 ottobre 2001 dal Tribunale di Castrovillari, il 5 novembre 2001 dal Tribunale di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, il 6 aprile 2001 dal Tribunale di Firenze e il 15 ottobre 2001 dal Tribunale di Napoli, rispettivamente iscritte ai nn. 57, 58, 60, 82 e 95 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7, 10 e 11, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che il Tribunale di Ascoli Piceno solleva, in riferimento agli artt. 2, 3, 25, 101, 111, sesto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 500, comma 7, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni lette per le contestazioni possano essere acquisite e valutate come prova dei fatti;
che il giudice a quo sottolinea come le censure di "irragionevolezza" poste a fondamento della sentenza di questa Corte n. 255 del 1992, siano proponibili anche in relazione al nuovo testo dell’art. 500 cod. proc. pen., giacché non può reputarsi coerente con il principio sancito dall’art. 3 Cost. l’impossibilità di utilizzare le dichiarazioni rese dal teste nel corso delle indagini come materiale probatorio "pieno";
che sarebbe leso anche l’art. 111, sesto comma, Cost., in quanto per il giudice risulterebbe impossibile contemperare logicamente - nella motivazione della sentenza - "l’esclusione della credibilità del teste, che renda in dibattimento dichiarazioni difformi rispetto a quanto ha dichiarato nel corso delle indagini preliminari, con l’affermazione di una verità processuale sicuramente parziale, derivante dall’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini";
che nella specie sarebbero ravvisabili, altresì, la violazione dell’art. 2 Cost., in quanto la norma impugnata risulterebbe di fatto ostativa "al libero esercizio dei diritti fondamentali"; e, correlativamente, quella dell’art. 24 Cost., sotto il profilo della limitazione che in concreto deriverebbe al diritto di azione in capo alle vittime dei reati;
che, infine, alla luce dei rilievi svolti, la disposizione censurata violerebbe anche l’art. 101, secondo comma, Cost., che assoggetta i giudici soltanto alla legge, ed il principio di legalità, sancito dall’art. 25 della medesima Carta;
che anche il Tribunale di Castrovillari solleva, in riferimento agli artt. 3, 111, primo e quarto comma, 112 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 500, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni lette per le contestazioni possano essere acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate come prova dei fatti in esse affermati;
che il giudice a quo, per motivare la non manifesta infondatezza della questione, si limita a fare integrale rinvio alle considerazioni svolte in altra ordinanza, asseritamente acclusa, ma, in effetti, non allegata al provvedimento di rimessione;
che il Tribunale di Busto Arsizio - sezione distaccata di Saronno, solleva, in riferimento agli artt. 3, 24,secondo comma, e 111, terzo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 500, commi 2, 4 e 7, cod. proc. pen.;
che il rimettente prospetta come "paradossali" le conseguenze che scaturiscono da un sistema in forza del quale al giudice - anche quando esso si convinca della fondatezza della originaria versione testimoniale e della inattendibilità della deposizione resa dal medesimo soggetto in dibattimento – non sia consentito di utilizzare "in termini decisori" il materiale su cui tale convincimento si poggia;
che la disciplina censurata sarebbe irragionevole anche nella parte in cui rimette al potere dispositivo delle parti la facoltà "di rendere efficace, sotto il profilo probatorio, ovvero di azzerarne la valenza, la dichiarazione raccolta dal testimone in fase d’indagine";
che, alla stregua dei contestati limiti di utilizzazione processuale, risulterebbe violata anche la garanzia della " piena esplicazione del diritto di difesa", sancita dall’art. 24, secondo comma, Cost., e, ad un tempo, dall’art. 111, terzo comma, della stessa Carta;
che il Tribunale di Firenze solleva una questione identica a quella proposta dal Tribunale di Ascoli Piceno, lamentando la violazione degli artt. 2, 3, 24, primo comma, 25, secondo comma, e 102, secondo comma, della Costituzione, giacché - secondo il Tribunale rimettente - la disciplina del procedimento di formazione della prova, per la sua natura strumentale, non può introdurre limitazioni di entità tale da privare di efficacia la legge penale sostanziale, determinando, per questa via, la compressione del diritto costituzionale di azione e la vanificazione della peculiare funzione del giudice penale, con la correlativa perdita di effettiva tutela per i diritti inviolabili riconosciuti dalla Costituzione e salvaguardati dalla legge penale;
che sarebbero violati anche il principio di ragionevolezza e quello di libero convincimento, poiché la norma impugnata imporrebbe al giudice di contraddire la propria motivata convinzione nel contesto della stessa decisione: ciò in quanto - se la precedente dichiarazione resa dal teste è ritenuta veritiera e per ciò stesso sufficiente a stabilire l’inattendibilità del medesimo nella diversa deposizione resa in dibattimento - risulterebbe irrazionale che essa, una volta introdotta nel giudizio ed esaminata nel contraddittorio delle parti, non possa essere utilmente acquisita ai fini della prova dei fatti in essa affermati;
che anche il Tribunale di Napoli solleva, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 25, secondo comma, e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 500 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni difformi precedentemente rese dal testimone, lette per le contestazioni, non possano essere acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate ai fini della prova dei fatti in queste affermati;
che, infatti - ad avviso del Tribunale rimettente - l’attuale formulazione della disposizione oggetto di impugnativa, "prevedendo una lettura contestazione senza acquisizione delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari, consente di valutare tale diversa prospettazione dell’accaduto, esclusivamente ai fini della credibilità delle parti offese sentite quali testi, con esclusione della loro valenza probatoria, così impedendo al giudice la possibilità di utilizzazione delle stesse, in violazione dei principi del libero convincimento del giudice, della funzione conoscitiva del processo, dell’indefettibilità della giurisdizione e dell’obbligatorietà dell’azione penale";
che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, la quale, riportandosi alle considerazioni svolte in altri atti di intervento, ha chiesto dichiararsi non fondate le questioni proposte.
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni fra loro del tutto analoghe e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione;
che, preliminarmente, la questione sollevata dal Tribunale di Castrovillari deve essere dichiarata inammissibile per totale difetto di motivazione in punto di non manifesta infondatezza, avendo il giudice a quo omesso di trasmettere l’ordinanza cui - nell’atto di rimessione - si è limitato a formulare un integrale rinvio;
che i quesiti sollevati dagli altri giudici rimettenti sono stati già ampiamente scrutinati, sotto tutti i profili dedotti, nelle ordinanze nn. 36 e 365 del 2002, nelle quali questa Corte ha rimarcato in particolare "come l’art. 111 della Costituzione abbia espressamente attribuito risalto costituzionale al principio del contraddittorio, anche nella prospettiva della impermeabilità del processo, quanto alla formazione della prova, rispetto al materiale raccolto in assenza della dialettica delle parti": con conseguente predisposizione, per la fase del dibattimento, di meccanismi normativi idonei alla salvaguardia "da contaminazioni probatorie fondate su atti unilateralmente raccolti nel corso delle indagini preliminari";
che, pertanto, non essendo stati addotti argomenti nuovi o diversi rispetto a quelli già esaminati, le questioni proposte devono essere dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 500, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 111, primo e quarto comma, 112 e 24, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Castrovillari con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 500, commi 2, 4 e 7, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, primo e secondo comma, 25, 101 e 111, secondo, terzo e sesto comma, della Costituzione, dal Tribunale di Ascoli Piceno, dal Tribunale di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, dal Tribunale di Firenze e dal Tribunale di Napoli con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 29 ottobre 2002.