ORDINANZA N.419
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
a pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 10, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza emessa il 23 ottobre 2001 dal Tribunale di Asti nel procedimento penale a carico di Berruti Mario, iscritta al n. 132 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 3 luglio 2002 il Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio penale concernente il reato previsto dall’ art. 22, comma 10, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), il Tribunale di Asti ha emesso, a seguito delle eccezioni formulate dal pubblico ministero e dalle parti, una ordinanza in data 23 ottobre 2001 con la quale solleva la questione di legittimità costituzionale di tale norma che punisce "il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato";
che, ad avviso del giudice a quo, il "permesso di soggiorno" cui fa riferimento la norma impugnata non sarebbe il "permesso di soggiorno previsto dal presente articolo" – locuzione impiegata nel testo legislativo – bensì sarebbe quello << previsto e regolamentato dall’art. 5 (appunto rubricato "Permesso di soggiorno") del citato decreto legislativo >>;
che, sempre ad avviso del giudice rimettente, per poter applicare una siffatta disposizione, dovrebbe procedere ad una "correzione della norma svolgendo, però, una operazione logica di sostanziale modifica del testo di legge, operazione non consentita dal nostro ordinamento";
che, prosegue l’ordinanza, "la norma incriminatrice, probabilmente per un mero errore materiale di redazione legislativa, risulta ambigua ponendosi in contrasto con gli artt. 3, 24, 25,secondo comma, e 101 della Costituzione e con i principi di legalità, tassatività e necessaria determinatezza delle norme penali";
che, sulla base delle richiamate considerazioni, il giudice a quo ritiene incostituzionale la disposizione impugnata <<nella parte in cui fa riferimento al "permesso di soggiorno di cui al presente articolo" anziché a quello previsto dall’articolo 5 della stessa legge>>;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio della Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità della questione che risulterebbe sia dal fatto che si demanda alla Corte costituzionale la risoluzione di un dubbio interpretativo di competenza del giudice a quo, sia dalla circostanza per cui l’eventuale sentenza "correttiva" richiesta alla Corte non potrebbe mai portare ad una sentenza di condanna;
che, sempre secondo l’ Avvocatura, la questione apparirebbe infondata perché, contrariamente a quanto affermato dal giudice rimettente, la norma censurata, facendo riferimento al permesso di soggiorno "previsto dal presente articolo", non intende riferirsi al permesso di soggiorno previsto dall’art. 5 del d.lgs. n. 286 del 1998 (disciplinante l’istituto generico del permesso di soggiorno), bensì e specificamente al permesso di lavoro per motivi di lavoro subordinato previsto dal comma 9 dell’articolo 22 impugnato.
Considerato che il giudice rimettente – in contrasto con i più comuni canoni ermeneutici – giunge a conclusioni interpretative del tutto errate, in quanto il riferimento contenuto nella norma impugnata al "permesso di soggiorno di cui al presente articolo" non è frutto di errore materiale nella redazione legislativa, bensì rinvia al permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato disciplinato dall’articolo 22 del d.lgs. n. 286 del 1998 e specificamente richiamato nei commi 7 e 9 di detto articolo e non al permesso di soggiorno "generico" previsto dall’invocato articolo 5 dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998;
che l’erroneità della ricostruzione interpretativa ipotizzata a base della questione sollevata è confermata sia dai lavori preparatori della legge 6 marzo 1998, n. 40, coordinata nell’attuale testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina giuridica dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero, sia dalla giurisprudenza ordinaria che ha applicato l’art. 22, comma 10, del d.lgs. n. 286 del 1998 quale norma incriminatrice della condotta del datore di lavoro che impieghi alle sue dipendenze lavoratori privi di "valido permesso di soggiorno per motivi di lavoro";
che, per tali motivi, i dubbi di costituzionalità relativi alla disposizione di cui all’articolo 22 del d.lgs n. 286 del 1998, ove riferibile alle fattispecie di cui all’articolo 5 dello stesso decreto legislativo, appaiono del tutto privi di fondamento;
che la questione deve, pertanto, ritenersi manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 22, comma 10, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina giuridica dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero),sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 secondo comma, della Costituzione dal Tribunale di Asti con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 31 luglio 2002.