Ordinanza n.369

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ORDINANZA N.369

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 223, comma 2, numero 1), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il  15 marzo 2001 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Catania nel procedimento penale a carico di C.F. ed altri, iscritta al n. 504 del registro ordinanze 2001 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del  19 giugno 2002 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con ordinanza emessa il 15 marzo 2001 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania ha sollevato, in riferimento all’art. 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 223, secondo comma, numero 1), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dall’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui, richiamando l’art. 2621 del codice civile, non richiede, per la configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta, un nesso causale tra le false comunicazioni sociali ed il successivo fallimento della società;

  che il giudice a quo premette di essere investito, quale giudice dell’udienza preliminare, della richiesta di rinvio a giudizio degli amministratori di una società dichiarata fallita per il delitto di bancarotta fraudolenta di cui all’art. 223, secondo comma, numero 1), del r.d. n. 267 del 1942, in riferimento all’art. 2621 cod. civ., per avere concorso, con false comunicazioni sociali — e, in particolare, con falsità nei bilanci — a cagionare o ad aggravare il dissesto della società;

  che sebbene il perito nominato nell’udienza preliminare abbia escluso ogni collegamento eziologico tra le falsità contestate ed il fallimento sociale — prosegue l’ordinanza di rimessione — la richiesta di rinvio a giudizio dovrebbe essere egualmente accolta, giacché, secondo l’interpretazione data dalla Corte di cassazione alla norma impugnata — interpretazione dalla quale il giudice a quo non ritiene di potersi discostare — il delitto di bancarotta fraudolenta impropria per false comunicazioni sociali si configura a prescindere dal nesso causale tra la condotta descritta dall’art. 2621 cod. civ. ed il successivo fallimento;

  che in tale lettura, tuttavia, la disposizione denunciata si porrebbe in contrasto con il principio di personalità della responsabilità penale, enunciato dall’art. 27 Cost., nella portata ad esso riconosciuta da questa Corte con le sentenze n. 364 e n. 1085 del 1988;

  che le citate decisioni avrebbero chiarito, infatti, che il primo comma dell’art. 27 Cost. non si limita a porre un tassativo divieto di responsabilità penale per fatto altrui, ma esclude, altresì, la responsabilità penale per fatto proprio incolpevole, richiedendo «almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi significativi della fattispecie tipica»;

  che nella cornice dell’ipotesi criminosa in questione, il dissesto (o il fallimento) della società sarebbe un evento che, da un lato, contribuisce a delineare il disvalore della figura di bancarotta fraudolenta, e, dall’altro lato, produce un aggravamento della pena rispetto alla fattispecie delineata dall’art. 2621 cod. civ.;

  che ponendo il predetto evento a carico del soggetto pure in assenza di un nesso eziologico con la sua condotta, la norma incriminatrice censurata verrebbe dunque a prefigurare una «responsabilità per fatto non proprio», esponendo in sostanza l’agente «ad una reazione punitiva determinata da qualcosa di diverso dalla sua azione»;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato che, successivamente alla pronuncia dell’ordinanza di rimessione, l’art. 4 del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61 (Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, a norma dell’articolo 11 della legge 3 ottobre 2001, n. 366) ha sostituito il numero 1) dell’art. 223, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, richiedendo specificamente — per la configurabilità dell’ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria da esso delineata — che i reati societari richiamati abbiano «cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società»;

  che l’art. 1 del citato d. lgs. n. 61 del 2002 — sostituendo l’intero titolo XI del libro V del codice civile e, in particolare, riscrivendo gli artt. 2621 e 2622 di detto codice — ha inoltre modificato sotto più profili la fisionomia del reato di false comunicazioni sociali, precedentemente contemplato dall’art. 2621, primo comma, numero 1), cod. civ.;

  che a fronte di tali modifiche normative sopravvenute — che investono sia la  norma incriminatrice impugnata, che quella da essa richiamata — deve dunque disporsi la restituzione degli atti al giudice rimettente affinché verifichi se la questione proposta sia tuttora rilevante nel giudizio a quo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  ordina la restituzione degli atti al giudice rimettente.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2002.