ORDINANZA N. 356
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Massimo VARI Giudice
- Riccardo CHIEPPA “
- Gustavo ZAGREBELSKY “
- Valerio ONIDA “
- Carlo MEZZANOTTE “
- Fernanda CONTRI “
- Guido NEPPI MODONA “
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 1 e 1-bis, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), come modificati dalla legge 29 marzo 2001, n. 134 (Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 2001 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia, iscritta al n. 790 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2002 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia - chiamato, in sede di udienza preliminare, a decidere su un’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata da un imputato del reato di bancarotta - con ordinanza in data 7 giugno 2001, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 97 e 111, primo (recte: sesto) comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1 e 1-bis, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), come modificati dalla legge 29 marzo 2001, n. 134 (Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), “nella parte in cui stabiliscono, a pena di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179, comma 2, del codice di procedura penale, che il giudice decida sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato anche quando lo stesso ha richiesto le informazioni di cui all’art. 1, commi 9-bis e 9-ter, della stessa legge”;
che il remittente, dopo avere precisato di avere disposto, ai sensi del comma 9-bis, dell’art. 1 della legge n. 217 del 1990, introdotto dalla legge n. 134 del 2001, accertamenti a mezzo della Guardia di finanza in ordine alle condizioni personali e familiari dell’istante, osserva che il comma 1-bis, dell’art. 6 della legge n. 217 del 1990, pure introdotto dalla legge n. 134 del 2001, impone anche in questo caso, a pena di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179, comma 2, cod. proc. pen., di provvedere in ordine alla istanza di ammissione al beneficio nei dieci giorni successivi a quello in cui è presentata o pervenuta, ovvero immediatamente se la stessa è presentata in udienza e, quindi, prima di conoscere l’esito delle richieste informazioni, fatta salva la possibilità per il giudice di revocare il provvedimento ammissivo una volta che tali accertamenti dimostrino che le condizioni economiche e patrimoniali dell’istante siano incompatibili con l’ottenuto beneficio;
che, ad avviso del giudice a quo, la previsione della massima sanzione processuale quale conseguenza dell’inosservanza da parte del giudice dei termini citati violerebbe il canone della ragionevolezza, poiché, da un lato, le disposizioni censurate non preciserebbero quali siano gli atti che tale inosservanza renderebbe insanabilmente nulli, e, dall’altro, per altre ipotesi (ad es., quelle previste dagli artt. 299, commi 3 e 4, e 392 cod. proc. pen.) di mancato rispetto di termini fissati dalla legge per l’adozione di provvedimenti giudiziari che inciderebbero su valori ed interessi di rango ben più elevato rispetto a quelli tutelati dalla legge n. 217 del 1990, non sarebbe prevista alcuna sanzione;
che il remittente ravvisa un ulteriore profilo di irragionevolezza nella ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla ipotesi disciplinata dall’art. 5, comma 5, della legge n. 217 del 1990, come modificato dalla legge n. 134 del 2001, disposizione che, prevedendo la possibilità per il giudice di invitare l’istante a produrre la documentazione necessaria per accertare la veridicità delle dichiarazioni contenute nella richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, andrebbe interpretata nel senso che, in questa evenienza, il giudice, prima di provvedere, potrebbe attendere di ricevere la documentazione ed esaminarla senza essere vincolato al rispetto dei termini di cui all’art. 6, comma 1;
che, ad avviso del giudice a quo, le disposizioni censurate sarebbero in contrasto anche con l’art. 111, sesto comma, della Costituzione, in quanto il giudice, essendo tenuto a rispettare il termine perentorio impostogli anche nel caso in cui abbia disposto accertamenti, si troverebbe di fatto nella condizione di potere valutare soltanto l’ammissibilità dell’istanza, mentre, per quanto attiene al merito, non potrebbe che recepire acriticamente quanto attestato dall’istante, e, in tal modo non soltanto non potrebbe mai adottare un provvedimento di rigetto, ma in caso di accoglimento non potrebbe corredare la sua decisione di una idonea motivazione;
che, infine, la disciplina dettata dalle norme impugnate violerebbe l’art. 97 della Costituzione, in quanto, in caso di esito positivo delle verifiche disposte dal giudice ai sensi dell’art. 1, commi 9-bis e 9-ter, della legge n. 217 del 1990, “all’effetto immediato della revoca del decreto con il quale era stato ammesso il patrocinio a spese dello Stato” si aggiungerebbe “quello indiretto della vanificazione di tutte le attività che a quello erano seguite, quali la liquidazione dei compensi e il parere del consiglio dell’ordine in ordine alla richiesta di liquidazione”;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque non fondata;
che, ad avviso della difesa erariale, anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 134 del 2001, non sarebbe venuto meno il ruolo centrale dell’autocertificazione dell’interessato nella procedura di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in quanto il giudice, anche quando ha disposto verifiche o richiesto informazioni ai sensi dei commi 9-bis e 9-ter dell’art. 1, è tenuto, comunque, a provvedere sulla relativa istanza in tempi brevi, incompatibili con controlli e indagini di una qualche durata sull’effettivo reddito dell’istante, fatta salva la possibilità di revocare successivamente il beneficio con diritto di ripetizione delle somme corrisposte;
che, secondo l’Avvocatura dello Stato, la scelta operata dal legislatore risponderebbe all’esigenza di non privare l’imputato dell’assistenza difensiva nel periodo necessario per accertare la veridicità delle condizioni economiche dichiarate;
che, in particolare, sarebbe inammissibile la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni censurate sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione e avente per oggetto la previsione della sanzione di nullità degli atti in caso di inosservanza del termine a provvedere, in quanto non “immediatamente rilevante ai fini della decisione da assumere circa l’ammissione o meno dell’interessato al chiesto beneficio”;
che, in ogni caso, prosegue la difesa dello Stato, la previsione di questa sanzione non potrebbe dirsi irragionevole, in considerazione della “esigenza di configurare un procedimento effettivamente celere e di non frapporre di fatto ostacoli o ritardi all’attuazione della garanzia di cui al terzo comma dell’art. 24 Cost.”, né rileverebbe, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, che un’analoga previsione sanzionatoria non sussista relativamente all’inosservanza di termini stabiliti per provvedere in ordine ad altre istanze, non accostabili a quella in esame;
che l’interpretazione, fatta propria dal remittente, in base alla quale l’art. 5, comma 5, della legge n. 217 del 1990 prevederebbe una deroga alla perentorietà dei termini fissati per l’ammissione al beneficio dall’art. 6, comma 1, della stessa legge, sarebbe errata, in quanto si fonderebbe sull’inesatto rilievo che il comma 1-bis dell’art. 6 confermi l’obbligo di decisione nei termini di cui al comma 1 “solo” allorché siano state richieste le informazioni di cui all’art. 1, commi 9-bis e 9-ter, mentre tale obbligo sarebbe testualmente ribadito “anche” (e non “solo”) per tale caso, sicché non sussisterebbe la diversità di disciplina che il giudice a quo ritiene ingiustificata;
che, quanto alla asserita violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost., che impone l’obbligo della motivazione per i provvedimenti giurisdizionali, l’Avvocatura dello Stato, premesso che il carattere vincolato dell’oggetto della decisione non esclude l’obbligo di motivare in ordine al ricorrere di tutte le circostanze legalmente stabilite, osserva che la motivazione del provvedimento deve comunque essere adeguata al tipo di verifica rimessa al giudice, che di norma, nella materia di cui si discute, sarebbe di carattere formale e dovrebbe essere condotto alla stregua delle prescrizioni dell’art. 5, che si fondano essenzialmente sull’autocertificazione dell’interessato;
che, infine, secondo la difesa erariale, l’art. 97 della Costituzione non sarebbe riferibile all’attività giurisdizionale e, in ogni caso, la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento a questo parametro sarebbe irrilevante, in quanto atterrebbe alla circostanza, meramente eventuale, che l’accertamento della Guardia di finanza giustifichi la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, della cui emanazione si discute nel giudizio a quo.
Considerato che, successivamente all’ordinanza di rimessione, è stato emanato e pubblicato sul supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficiale” del 15 giugno 2002 (n. 126/L) il decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia), il quale ha disposto dalla data della sua entrata in vigore (1° luglio 2002) l’abrogazione della legge 30 luglio 1990, n. 217, come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 134 (art. 299);
che le disposizioni censurate sono state parzialmente trasfuse, con alcune modificazioni, nell’articolo 96 del citato decreto legislativo, mentre nell’art. 79, comma 3, dello stesso decreto è stato riprodotto e modificato il contenuto dell’art. 5, comma 5, della abrogata legge n. 217 del 1990, assunto dal remittente a termine di riferimento nel giudizio di eguaglianza;
che il mutato quadro normativo impone di restituire gli atti al giudice remittente, perché valuti se la questione sollevata possa ritenersi tuttora rilevante.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2002.