ORDINANZA N. 349
ANNO 2002REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY ”
- Valerio ONIDA ”
- Carlo MEZZANOTTE ”
- Fernanda CONTRI ”
- Guido NEPPI MODONA ”
- Piero Alberto CAPOTOSTI ”
- Annibale MARINI ”
- Franco BILE ”
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 410, comma 3, del codice di procedura penale, in riferimento all’art. 409, comma 2, dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 5 settembre 2001 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di ignoti, iscritta al n. 830 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2002 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino solleva, in riferimento all’art. 111, secondo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 410, comma 3, del codice di procedura penale, in relazione all’art. 409, comma 2, dello stesso codice, «nella parte in cui non prevede che l’udienza camerale, a seguito di opposizione della parte offesa alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero, si svolga in contraddittorio con la persona a cui la parte offesa in querela ha attribuito la commissione di reati»;
che il giudice rimettente, dopo aver dato conto della vicenda oggetto del procedimento a quo (una persona aveva proposto querela nei confronti del medico di guardia di un ospedale per lesioni colpose, denunciando anche la “violazione dell’art. 476 c.p.”, in quanto il personale sanitario del nosocomio avrebbe – nella attestazione dell’intervento operato – taciuto fatti reputati rilevanti), ha precisato che il procedimento stesso «veniva trattato dal p.m. come contro ignoti (anche se era facilmente identificabile il medico querelato) e dava luogo ad indagini soltanto per le lesioni colpose » lamentate dalla parte offesa;
che, all’esito di tali indagini, il pubblico ministero formulava richiesta di archiviazione in ordine alla quale la parte offesa proponeva tempestiva opposizione, sicché – puntualizza il giudice a quo – dovendo fissare udienza camerale a norma degli artt. 410, comma 3, e 409, comma 2, cod. proc. pen. «con provvedimento interlocutorio...restituiva il fascicolo al p.m. perché individuasse il medico che aveva visitato» la parte offesa: provvedimento, quest’ultimo, che veniva però – a seguito di ricorso del pubblico ministero – annullato per abnormità dalla Corte di cassazione, la quale affermava che il «g.i.p. non ha alternative rispetto all’obbligo di fissare immediatamente l’udienza camerale con la sola partecipazione di p.m. ed opponente, trattandosi di procedimento gestito contro ignoti»;
che, pertanto, alla stregua della riferita interpretazione della Corte di cassazione, vincolante nel procedimento a quo, il rimettente intravede un contrasto della normativa impugnata rispetto all'art. 111, secondo e terzo comma, della Costituzione, in quanto risulterebbero in concreto vanificati il principio secondo cui il processo deve svolgersi nel contraddittorio delle parti, e quello secondo cui la persona accusata deve essere informata nel più breve tempo possibile dell’accusa elevata a suo carico.
Considerato che nella specie il giudice a quo lamenta la circostanza che, in sede di opposizione alla richiesta di archiviazione, non sia chiamata a partecipare alla udienza camerale la persona cui i reati sono attribuiti dal querelante, malgrado si tratti di persona agevolmente identificabile;
che una simile doglianza – frutto, in sé, della patologica gestione delle indagini, il cui corretto andamento presuppone, contrariamente a quanto avvenuto nel caso di specie, la pronta identificazione ed iscrizione del nominativo cui i reati sono attribuiti nel registro di cui all’art. 335 del codice di rito, con tutte le conseguenze che da ciò scaturiscono – è priva di qualsiasi risalto costituzionale, giacché la udienza camerale da celebrarsi non può che essere finalizzata proprio a permettere le ulteriori indagini, volte a consentire l’esatta individuazione della persona (identificabile ma non ancora identificata) cui i fatti possono essere in via di accusa contestati;
che, pertanto, la richiesta pronuncia additiva – tesa a consentire la partecipazione alla udienza della «persona a cui la parte offesa in querela ha attribuito la commissione di reati» - nulla aggiungerebbe (proprio perché si tratta di soggetto non ancora identificato) a quanto il giudice rimettente è chiamato a compiere, in ossequio al principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione nel procedimento a quo;
che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale come sopra proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALEdichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 410, comma 3, del codice di procedura penale, in relazione all’art. 409, comma 2, dello stesso codice, sollevata, in riferimento all’art. 111, secondo e terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2002.