ORDINANZA N.333
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 352 codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 29 gennaio 2002 dalla Corte di appello di Torino nel procedimento civile vertente tra la Monti s.a.s. di Monti Loana & c. ed altro e Vidali Riccardo ed altra, iscritta al n. 121 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 19 giugno 2002 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio di appello, la seconda sezione civile della Corte d’appello di Torino, con ordinanza emessa il 29 gennaio 2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 352 del codice di procedura civile - nella parte in cui non prevede, o perlomeno non consente, la fissazione di una nuova udienza per la precisazione delle conclusioni - per asserito contrasto:
con l'art. 3, primo comma, Cost., posto che la necessità di immediata precisazione delle conclusioni nella stessa udienza di comparizione anche nell’ipotesi in cui solo in tale udienza si sia costituita, difendendosi, la parte appellata, determinerebbe l'irragionevole diversità di trattamento delle parti processuali, essendo l'appellante costretto a prendere immediata posizione rispetto a difese ancora non compiutamente esaminate e studiate;
con l'art. 24, secondo comma, Cost., per violazione del diritto di difesa nel suo profilo di effettività concreta, «a nulla valendo l'astratto riconoscimento di un diritto processuale che non sia possibile esercitare consapevolmente, ragionevolmente e, quindi, compiutamente»;
con l'art. 111, secondo comma, Cost. (come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n.2), per contrasto con il principio della parità delle parti nel processo che, nella specie, avrebbe solo tratto formale e non sostanziale;
che la questione è stata sollevata nel corso di un giudizio nel quale - interposto appello dalla s.a.s. Monti di Monti Loana & C. e Paolo Pavan avverso la sentenza n. 459/99 del Tribunale di Verbania nei confronti di Riccardo Vidali - alla prima udienza la seconda sezione della Corte di appello di Torino disponeva la rinnovazione della notifica all'appellato non costituito, rinviando a nuova udienza nella quale si costituiva il procuratore del Vidali che ne dichiarava il decesso, avvenuto il 19 settembre 2000;
che, a seguito della dichiarazione giudiziale di interruzione del processo, il Presidente, su ricorso depositato il 21 settembre 2000 dagli appellanti, fissava l'udienza del 29 gennaio 2002 per la riassunzione, con termine fino al 31 ottobre 2001 per la notificazione;
che, pur avendo gli appellanti richiesto all'ufficiale giudiziario la notifica agli eredi impersonalmente e collettivamente nell'ultimo domicilio del defunto, il plico postale era indirizzato non già agli eredi ma allo stesso Vidali, per cui gli appellanti chiedevano nuovo termine per la notifica del plico che questa volta veniva effettuata, in conformità con la richiesta, il 24 novembre 2001 a mani di persona qualificatasi erede dell'appellato;
che, all'udienza di comparizione del 29 gennaio 2002, si costituiva in giudizio Edilde Fortina - moglie e coerede del defunto Riccardo Vidali - la quale eccepiva l'inesistenza della notificazione del ricorso in riassunzione in quanto eseguita dopo il decorso dell'anno (tenuto conto del periodo feriale) dal decesso del Vidali;
che il difensore della parte appellante chiedeva allora la concessione di un termine per poter esaminare l'avversa difesa contenuta nella comparsa depositata in udienza e, comunque, il beneficio della rimessione in termini con ogni effetto di legge;
che il rimettente, premessa la natura di revisio prioris instantiae dell'appello, osserva che la struttura tipica di questo processo, come risultante dalla riforma operata con la legge n. 353 del 1990, presenta una fase preparatoria nel corso della quale, oltre a risolvere eventuali incidenti relativi all'esecuzione provvisoria, il giudice effettua tutte le verifiche in ordine alla procedibilità dell'appello ed alla regolare costituzione del contraddittorio (nelle ipotesi di cause scindibili ed inscindibili), se del caso disponendo la rinnovazione della notifica dell'atto di appello viziata;
che, esaurita tale fase, in quella successiva di trattazione, ad avviso del rimettente, «non è possibile scambiare memorie scritte, perché la fase necessaria di trattazione scritta, che inizia quando il giudice concede il termine perentorio di sessanta giorni dalla rimessione della causa al collegio ai sensi dell'art. 190 cod. proc. civ. presuppone che le difese precedenti debbano essere necessariamente orali»;
che la disposizione dell’art. 352 cod. proc. civ., col prevedere che esaurita l'attività prevista dagli artt. 350 e 351, il giudice - ove non provveda a norma dell'art. 356, disponendo l'eventuale istruzione probatoria - deve invitare le parti a precisare le conclusioni e disporre lo scambio delle comparse conclusionali, sancirebbe l'inesistenza di qualsivoglia cesura temporale fra l'esaurimento delle attività di cui agli artt. 350 e 351 e l'invito alla precisazione delle conclusioni, in tal modo precludendo per incompatibilità l'applicabilità residua delle norme dettate per il procedimento di primo grado ai sensi dell'art. 359 cod. proc. civ.;
che l'obbligo di immediata precisazione delle conclusioni, in tal modo sancito dall'art. 352 cod. proc. civ., sarebbe, ad avviso del rimettente, in contrasto con i principi enucleabili dagli articoli 3, primo comma, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Cost. nell'ipotesi in cui la parte appellata si costituisca in un momento successivo alla scadenza del termine di cui all'art. 166 cod. proc. civ. (almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione) o addirittura - come nel caso di specie - all'udienza di comparizione, in quanto la costituzione tardiva dell'appellato, in alcun modo sanzionata (salva l'impossibilità di formulare l'appello incidentale ex art. 343 cod. proc. civ.), esporrebbe l'appellante a «dover orientare le proprie difese e addirittura a dover rassegnare le conclusioni, di merito ed istruttorie, senza aver potuto adeguatamente esaminare, e men che meno ponderare e valutare, le difese svolte dalla parte appellata»;
che, tale conclusione, ad avviso della Corte rimettente, non sarebbe superata dalla considerazione che la tardività dell’appello incidentale sarebbe facilmente rilevabile nell'immediato dall'avvocato di parte appellante e, comunque, rilevabile ex officio dal giudice, ovvero dal rilievo che l'appellato, costituitosi tardivamente con esplicazione di mere difese, non amplia in alcun modo la materia controversa (di talché risulterebbe sufficiente ad assicurare la compiuta esplicazione del diritto di difesa l'utilizzo delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero della discussione orale ai sensi del secondo comma dell'art. 352 cod. proc. civ.), e ciò in quanto la parte appellata, ancorché costituitasi tardivamente, potrebbe dedurre nuove prove, sia in via autonoma che di replica, produrre nuovi documenti ovvero ancora riproporre, ai sensi dell'art. 346 cod. proc. civ., domande ed eccezioni rimaste assorbite in primo grado, articolare nuove domande ammissibili ai sensi dell'art. 345, seconda parte del primo comma, cod. proc. civ., svolgere «istanze istruttorie nell'ipotesi in cui lo svolgimento del primo giudizio abbia troncato il normale svolgimento del processo per la decisione del giudice, tuttora lecita ex artt. 184 e 187 cod. proc. civ., indipendentemente dall’accordo delle parti, di rimettere la causa in decisione senza bisogno di assunzione di mezzi di prova»;
che, in tutti questi casi, il difensore dell’appellante sarebbe costretto, a giudizio del rimettente, a prendere immediatamente posizione, controdedurre e financo precisare le conclusioni, con lesione del diritto di difesa come sancito, nel suo sostanziale contenuto di effettività, dall'art. 24 della Costituzione, atteso che il grande rilievo dell'atto di precisazione delle conclusioni richiederebbe un esame sereno ed approfondito delle produzioni e deduzioni - magari ponderose o complesse - della controparte, se del caso previa consultazione con il proprio cliente, tanto più che il codice non esige la presenza della parte personalmente all'udienza (a differenza di quanto avviene in primo grado ai sensi dell'art. 183 cod. proc. civ.) tenuto conto del tenore del terzo comma dell'art. 350 cod. proc. civ.;
che, in assenza, nel nostro sistema processuale positivo, dell'istituto della sospensione dell'udienza, la Corte rimettente «ritiene quindi che le norme processuali (e, in particolare, gli artt. 350 e 352 cod. proc. civ., le quali precludono per incompatibilità l'operatività del residuale richiamo di cui all'art. 359 cod. proc. civ. alle norme vigenti per il giudizio di primo grado) impediscano al Giudice di disporre il rinvio della causa ad altra udienza per la precisazione delle conclusioni», accentuando i gravi inconvenienti organizzativi prodotti dal sistema della citazione ad udienza fissa con «l'impossibilità per il giudice di scaglionare e programmare nel tempo la decisione e la motivazione delle controversie, che ha in carico» e pertanto, sul piano giuridico, confliggendo con la previsione dell'art. 3, primo comma, Cost. per il diverso (senza fondamento di ragionevolezza) trattamento delle parti processuali secondo un modello altresì lesivo del diritto di azione e difesa sancito dall'art. 24, secondo comma, Cost. in termini di effettività concreta fondata anche e soprattutto sulla condizione di parità delle parti innanzi al giudice terzo ed imparziale per come stabilito dall'art. 111, secondo comma, Cost.;
che, secondo il rimettente, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 352 cod. proc. civ. «nella parte in cui non prevede, o perlomeno non consente, la fissazione di nuova udienza per la precisazione delle conclusioni» non sconvolgerebbe il sistema, posto che un differimento della precisazione delle conclusioni ad apposita ulteriore udienza non sortirebbe affatto l’effetto di trasformazione del processo da orale a scritto né causerebbe alcun eccessivo ritardo nella definizione del giudizio di secondo grado, trattandosi di un unico rinvio del procedimento;
che, la questione, a giudizio del rimettente, sarebbe rilevante nel giudizio a quo, in quanto, essendosi la coerede dell'appellato, Edilde Fortina, legittimamente costituita solo in udienza, eccependo «l'inesistenza» della notificazione del ricorso in riassunzione e del pedissequo decreto presidenziale in quanto perfezionatasi, per un verso fuori dal termine fissato dal Presidente e, per altro verso, oltre il termine di cui all'art. 303, secondo comma, cod. proc. civ., la parte appellante non ha avuto modo di conoscere in anticipo le difese svolte ma è stata invece «costretta a determinarsi immediatamente in udienza prendendo posizione sull'avversa eccezione e sulle sue conseguenze processuali», e ciò senza un'adeguata riflessione e valutazione circa le proprie strategie processuali dal momento che la fase delle difese scritte non costituisce sede idonea per la formulazione di rituali istanze, ma può servire solamente all'illustrazione di tesi difensive già svolte e di domande già ritualmente esplicate;
che nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione inammissibile ovvero infondata;
che, ad avviso dell’Avvocatura erariale, la questione – prima ancora che infondata (per l’idoneità della comparsa conclusionale, della memoria di replica e della discussione orale a garantire adeguatamente l’esercizio del diritto di difesa) - sarebbe inammissibile sia in quanto, essendo quella sollevata dall’appellata un’eccezione rilevabile d’ufficio, essa «appartiene al processo indipendentemente dalla proposizione ad opera di una parte», sia in quanto la lettura “rigida” dell’art. 352 cod. proc. civ. operata dal rimettente non è affatto imposta né dalla lettera né dall’interpretazione sistematica della norma impugnata.
Considerato che la Corte d’appello di Torino dubita della legittimità costituzionale dell’art. 352 cod. proc. civ. nella parte in cui non prevede, o perlomeno non consente, la fissazione di una nuova udienza per la precisazione delle conclusioni anche nell’ipotesi in cui solo in tale udienza si sia costituita, difendendosi, la parte appellata;
che l’art. 352 cod. proc. civ. non si pone, né esplicitamente né implicitamente, in antitesi con il potere di direzione del procedimento conferito al giudice dall’art. 175 cod. proc. civ. e, pertanto, non esprime alcun divieto di fissare una nuova udienza, se necessaria per assicurare «il leale svolgimento del procedimento»;
che la mancata considerazione, da parte del rimettente, di ogni ragionevole interpretazione, in relazione al caso di specie, della norma denunciata in senso conforme al sistema processuale complessivamente considerato e, quindi, ai valori costituzionali rende la questione prospettata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 352 del codice di procedura civile, sollevata dalla Corte d’appello di Torino, in riferimento agli artt.3, primo comma, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° luglio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2002.