Ordinanza n. 326/2002

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ORDINANZA N.326

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                     Presidente

- Riccardo                     CHIEPPA                       Giudice

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                 "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Carlo                           MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                     CONTRI                                "

- Guido                         NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto             CAPOTOSTI                                     "

- Annibale                     MARINI                                "

- Franco                         BILE                                      "

- Giovanni Maria          FLICK                                               "

- Francesco                    AMIRANTE                          "

- Ugo                             DE SIERVO                          "

- Romano                      VACCARELLA                   "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 4, del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Siracusa con ordinanza del 12 giugno 2001, iscritta al n. 106 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2002.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 giugno 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con ordinanza del 12 giugno 2001 il Tribunale di Siracusa ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 4, del codice di procedura penale, nella parte in cui vieta agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria di deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettera a), dello stesso codice;

che il Tribunale di Siracusa premette che nel corso del dibattimento era stata assunta la testimonianza di un ufficiale di polizia giudiziaria sulle dichiarazioni acquisite, nell'ambito di attività di indagine delegata dal pubblico ministero, da persone informate sui fatti, citate in dibattimento come testimoni;

che il difensore di uno degli imputati aveva eccepito, ai sensi dell'art. 195, comma 4, cod. proc. pen., così come riformulato dalla legge 1° marzo 2001, n. 63, il divieto per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria di deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), cod. proc. pen.;

che il Tribunale, rigettata l'eccezione della difesa, aveva dato corso all'assunzione della deposizione ritenendo, in adesione alla interpretazione letterale della norma prospettata dal pubblico ministero, che il divieto operi nelle sole ipotesi di dichiarazioni assunte nell'ambito di attività di indagine a iniziativa della polizia giudiziaria;

che i difensori avevano quindi eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 195, comma 4, cod. proc. pen., nell'interpretazione datane dal giudice, in quanto la norma determinerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento della situazione in esame rispetto alle dichiarazioni assunte d'iniziativa della polizia giudiziaria;

che il Tribunale, dopo aver ribadito che il tenore letterale della norma non consente di ritenere che il divieto di testimonianza della polizia giudiziaria si estenda al contenuto delle dichiarazioni ricevute nel corso di attività di indagine delegata, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 4, cod. proc. pen., "nella parte in cui prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni nelle ipotesi di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettera a)", ritenendo che tale norma violi gli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost.;

che, con riferimento all'art. 3 Cost., il rimettente rileva che non vi è alcuna ragione per differenziare le ipotesi in cui l'ufficiale di polizia giudiziaria abbia assunto le informazioni di propria iniziativa ovvero su delega del pubblico ministero, in quanto le due situazioni appaiono identiche, trattandosi in entrambi i casi di attività di assunzione di informazioni da parte della polizia giudiziaria, disciplinata nel medesimo modo quanto a modalità di documentazione, destinazione dell'atto al fascicolo del pubblico ministero, utilizzabilità per le contestazioni, possibilità di lettura ai sensi degli artt. 512 e 512-bis cod. proc. pen.;

che la disciplina censurata violerebbe inoltre gli artt. 2 e 24 Cost., in quanto - essendo rimessa alla discrezionalità del pubblico ministero la decisione se delegare o meno l'atto e, quindi, se consentire o meno all'ufficiale o agente di polizia giudiziaria di deporre sul suo contenuto - attribuirebbe allo stesso pubblico ministero il potere di sottrarre un teste alle domande del difensore dell'imputato;

che sarebbe di conseguenza violato anche il principio di parità delle parti enunciato dall'art. 111 Cost., dal momento che il potere del pubblico ministero di delegare l'atto, incidendo sul regime della testimonianza de relato della polizia giudiziaria, configurerebbe "una posizione di preminenza della pubblica accusa sulla difesa";

che il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria, sebbene riferibile ai soli casi in cui costoro abbiano svolto attività d'iniziativa ai sensi degli artt. 351 e 357, comma 2, lettera a), cod. proc. pen., riprodurrebbe la medesima illegittimità già dichiarata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 1992;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, mediante integrale richiamo all'atto d'intervento depositato nel giudizio instaurato con ordinanza n. 514 del r.o. del 2001 e deciso con la sentenza n. 32 del 2002, che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato che il rimettente, muovendo dalla premessa interpretativa che il divieto imposto agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria di deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni nelle ipotesi di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettera a), cod. proc. pen. sia operante solo in caso di attività di indagine a iniziativa della polizia giudiziaria, e non anche in caso di indagini delegate dal pubblico ministero, ravvisa nella norma censurata la violazione degli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost.;

che il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei casi in cui abbiano svolto attività di indagine di iniziativa, riprodurrebbe infatti, ad avviso del giudice a quo, la medesima situazione di illegittimità già dichiarata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 1992;

che la disparità di disciplina della testimonianza indiretta, a seconda che abbia per oggetto attività di indagine di iniziativa o delegate, sarebbe priva di qualsiasi fondamento razionale e che la discrezionalità del pubblico ministero nel decidere se delegare l'attività di indagine, incidendo sulla possibilità di assumere la testimonianza de relato, violerebbe il diritto di difesa e il principio della parità tra le parti;

che questione identica, sollevata dal medesimo rimettente con ordinanza n. 728 del r.o. del 2001, è stata dichiarata da questa Corte manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza con la sentenza n. 32 del 2002;

che, come emerge dall'ordinanza di rimessione, anche nel caso in esame il Tribunale solleva questione di legittimità costituzionale della norma che vieta la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni assunte nell'ambito di attività di indagine di iniziativa, nonostante abbia assunto la deposizione de relato del verbalizzante ed abbia quindi già fatto applicazione del comma 4 dell'art. 195 cod. proc. pen., in base al presupposto interpretativo, sul quale questa Corte non è chiamata a prendere posizione, che il divieto non operi nell'ipotesi di attività delegata;

che pertanto, avendo lo stesso rimettente in precedenza già assunto la testimonianza dell'ufficiale di polizia giudiziaria, la questione è priva di rilevanza nel giudizio a quo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Siracusa, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° luglio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 5 luglio 2002.