ORDINANZA N.324
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11 del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Mondovì con ordinanza del 24 luglio 2001, iscritta al n. 865 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 giugno 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che nel corso di un procedimento per il reato di cui all’art. 342 del codice penale il Tribunale di Mondovì ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che la disciplina dettata in materia di competenza territoriale per i procedimenti in cui sia persona offesa un magistrato si applichi anche ai procedimenti nei quali detta qualità sia attribuita <<ad una istituzione giudiziaria nel suo complesso>> e non al singolo magistrato;
che il giudice a quo, premesso che l'imputazione per cui procede ha per oggetto il reato di oltraggio nei confronti del Tribunale di Mondovì, inteso quale istituzione di cui fanno parte <<i magistrati deputati per legge all’amministrazione della giustizia>>, rileva che il fatto <<non è realizzato in danno della singola persona di un magistrato>>, ma nei confronti <<di tutti coloro che della suddetta istituzione fanno organicamente, seppure pro tempore, parte>>;
che ad avviso del rimettente l’art. 11 cod. proc. pen. non considera, ai fini dell'attribuzione della competenza per territorio al giudice egualmente competente per materia che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge, il caso in cui persona offesa dal reato non sia il singolo magistrato ma, come nel delitto di cui all’art. 342 cod. pen., <<un’intera istituzione giudiziaria>>;
che l'art. 11 cod. proc. pen. potrebbe trovare applicazione solo ove si ammettesse che il reato per cui si procede leda la dignità, l’onore o altri diritti facenti capo ai singoli magistrati, ma nell’imputazione così come formulata non è ravvisabile alcuna lesione (o messa in pericolo) dei diritti di singoli magistrati, ed in ogni caso <<l’interesse leso è quello di cui all’art. 342, secondo comma, cod. pen.>>;
che la norma censurata si porrebbe pertanto in contrasto con gli artt. 3 e 25 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto alla situazione del tutto analoga in cui il magistrato assume la qualità di persona offesa, sussistendo anche nel caso di specie le medesime esigenze di garantire la serenità e obiettività di giudizio e la imparzialità del giudice che stanno a base della disciplina dettata dall'art. 11 cod. proc. pen.;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
che l'Avvocatura, premesso che la qualificazione giuridica del fatto e l'individuazione dei titolari dell’interesse protetto sono riservate all’esclusiva valutazione del giudice che procede, osserva tra l’altro che, ove il tribunale rimettente avesse ritenuto sussistente un concorrente interesse individuale dei singoli magistrati, certamente compatibile con la natura potenzialmente plurioffensiva del delitto di cui all'art. 342 cod. pen., l’applicazione dell’art. 11 cod. proc. pen. sarebbe stata del tutto legittima e non certamente frutto di una <<integrazione di carattere analogico o inopinatamente estensivo>>.
Considerato che il rimettente, muovendo dal presupposto che il reato di oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario è volto a tutelare il Corpo nel suo complesso - nel caso di specie l'istituzione giudiziaria del Tribunale di Mondovì - e non i singoli magistrati che ne fanno parte, ritiene che nella situazione sottoposta al suo esame non sia applicabile la disciplina di cui all'art. 11 cod. proc. pen., che si riferisce esclusivamente all'ipotesi in cui ad assumere la qualità di persona offesa sia il singolo magistrato;
che il giudice a quo solleva pertanto questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 cod. proc. pen. per violazione degli artt. 3 e 25 della Costituzione, sotto i profili della disparità di trattamento rispetto alla situazione del tutto analoga in cui il magistrato assume la qualità di persona offesa, e della lesione del principio del giudice imparziale predeterminato per legge;
che il giudice a quo trascura di svolgere qualsiasi considerazione sulle ragioni per cui non ritiene di poter aderire a quella giurisprudenza di legittimità secondo cui l'oltraggio all'ente collegiale implica anche l'offesa ai singoli soggetti che ne fanno parte, dal momento che un'unica condotta criminosa può ledere sia il prestigio della pubblica amministrazione, sia l'onore del pubblico ufficiale;
che inoltre il rimettente omette di fornire qualsiasi indicazione sulle concrete modalità di realizzazione della fattispecie per cui si procede, in base alle quali ha escluso la portata plurioffensiva della condotta;
che, a prescindere dall’attribuzione della qualità di persona offesa ai singoli magistrati che compongono il Corpo giudiziario ai sensi dell’art. 342 cod. pen., va osservato che l’art. 11 cod. proc. pen. prevede lo spostamento di competenza territoriale anche quando il magistrato sia danneggiato dal reato e che neppure su questo aspetto il rimettente fornisce un’idonea motivazione;
che tali omissioni non consentono a questa Corte di verificare se la fattispecie per cui si procede non renda possibile l'applicabilità dell'art. 11 cod. proc. pen.;
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, dal Tribunale di Mondovì, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° luglio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 5 luglio 2002.