Ordinanza n. 293/2002

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ORDINANZA N.293

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                                    RUPERTO                     Presidente

- Riccardo                                 CHIEPPA                       Giudice

- Gustavo                                  ZAGREBELSKY                 "

- Valerio                                    ONIDA                                  "

- Carlo                                       MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                                 CONTRI                                "

- Guido                                     NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto                         CAPOTOSTI                                     "

- Annibale                                 MARINI                                "

- Franco                                     BILE                                      "

- Giovanni Maria                      FLICK                                               "

- Francesco                                AMIRANTE                          "

- Ugo                                         DE SIERVO                          "

- Romano                                  VACCARELLA                   "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 195, comma 4, e 500 del codice di procedura penale, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, dal Tribunale di Potenza e dal Tribunale di Brindisi con ordinanze del 2 maggio 2001 e del 6 luglio 2001, rispettivamente iscritte al n. 928 e al n. 941 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47 e n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2001.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con ordinanza del 2 maggio 2001 (r.o. n. 928 del 2001) il Tribunale di Potenza ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 4, del codice di procedura penale, nonchè questione di legittimità costituzionale dell'art. 500 del medesimo codice, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 101, 111 e 112 Cost.;

che, per quanto concerne la questione di costituzionalità dell'art. 195, comma 4, cod. proc. pen., il Tribunale premette, in punto di rilevanza, che la norma censurata vieta all'ufficiale di polizia giudiziaria, indicato come teste dal pubblico ministero, di riferire sulle dichiarazioni, regolarmente verbalizzate, rese nel corso delle indagini preliminari da alcuni testimoni già escussi in precedenti udienze;

che, nel merito, il rimettente ritiene che il divieto per gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria di deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), cod. proc. pen., violi gli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 111 e 112 Cost., e cioé i principi costituzionali posti a garanzia della "eguaglianza tra le persone, formale e sostanziale (art. 3)"; della "ragionevolezza delle previsioni legislative (art. 3)"; del "diritto di difesa, nell'accezione di difesa non solo dell'imputato ma anche delle persone offese dai reati (art. 24)"; del "diritto alla sicurezza dei consociati e correlativo dovere per lo Stato di mantenere la pace tra di essi, dovere cui é strumentale la repressione dei reati, la ricerca dei responsabili e l'accertamento giusto e rapido della responsabilità penale degli imputati colpevoli e della innocenza di quelli incolpevoli (artt. 2, 3, 25, 97, 111 e 112)"; del "principio della non dispersione dei mezzi di prova nell'interesse della giustizia e della ricerca nel processo penale della verità storica e non già di quella meramente processuale (artt. 3, 24, 25, 97, 101, 111 e 112)"; del "principio della parità tra accusa e difesa (artt. 3, 24, 111 e 112)";

che in particolare, ad avviso del giudice a quo, "la eccezione posta dal comma 4 dell'art. 195 cod. proc. pen. alla generale disciplina dell'art. 195 e alla capacità di testimoniare appartenente ad ogni persona", sarebbe irragionevole sulla base delle stesse considerazioni svolte nella sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 1992;

che tali ragioni non potrebbero ritenersi superate per effetto del mutato quadro costituzionale, in quanto neppure il principio del contraddittorio nella formazione della prova, introdotto nell'art. 111 Cost., sarebbe sufficiente a giustificare il divieto per l'appartenente alla polizia giudiziaria di rendere dichiarazioni de relato, dal momento che tale prova verrebbe assunta in udienza, davanti a un giudice terzo e imparziale;

che, quanto alla questione relativa all'art. 500 cod. proc. pen., la disposizione, nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni utilizzate per la contestazione sono acquisite al fascicolo per il dibattimento e possono concorrere, unitamente ad altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità, a fondare il convincimento del giudice, sarebbe viziata dagli stessi profili di illegittimità costituzionale individuati dalla Corte nella sentenza n. 255 del 1992, dal momento che, nonostante il mutato assetto normativo, il fine ineludibile del processo penale resterebbe quello della ricerca della verità storica e non meramente processuale e si deve comunque assicurare "al giudice la piena conoscenza dei fatti onde consentirgli di pervenire ad una giusta decisione";

che la norma censurata, prevedendo invece che le dichiarazioni oggetto di contestazione possono essere valutate soltanto ai fini della credibilità del teste anche nel caso in cui questi non sia in grado di rispondere perchè non ricorda, impedisce "al giudice di avere piena conoscenza dei fatti che deve giudicare e limita, sino a snaturarla, la peculiare funzione del giudice penale (artt. 101 e 111 Cost.); priva di efficacia la legge penale sostanziale (art. 25 Cost.); lede il diritto costituzionale di azione della parte pubblica e della parte civile (artt. 3, 24 e 112 Cost.); svuota di effettiva tutela i diritti inviolabili dell'individuo riconosciuti dalla Costituzione e salvaguardati dalla legge penale (artt. 2, 25, 112 Cost.)", violando così gravemente anche il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.);

che la disposizione censurata non troverebbe giustificazione nel nuovo art. 111 Cost. poichè il "meccanismo della acquisizione delle precedenti dichiarazioni nell'ipotesi in cui permanga difformità all'esito della lettura-contestazione" non inciderebbe in alcun modo sul principio del contraddittorio nella formazione della prova, nè sui principi di oralità e immediatezza, comunque salvaguardati dal meccanismo dell'esame e del controesame del teste condotto dalle parti, ma violerebbe il principio del libero convincimento del giudice e i principi posti a garanzia della parità tra le parti, del diritto all'azione, del diritto di difesa delle parti civili e, infine, dei diritti fondamentali dell'individuo, come singolo e nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (artt. 2, 3, 24, 25, 112 Cost.);

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che le questioni siano dichiarate infondate riportandosi all'atto di intervento depositato nel giudizio promosso con ordinanza n. 514 del 2001 e deciso con la sentenza n. 32 del 2002;

che in termini sostanzialmente analoghi il Tribunale di Brindisi con ordinanza del 6 luglio 2001 (r.o. n. 941 del 2001) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 4, in relazione all'art. 500, comma 2, cod. proc. pen., "nella parte in cui il primo vieta agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria di rendere testimonianza sul contenuto delle dichiarazioni acquisite dai testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), ed il secondo consente di utilizzare i verbali usati per le contestazioni solo ai fini di valutare la credibilità del teste";

che il Tribunale premette che nel corso dell'istruzione dibattimentale due dei testi "chiave" del processo hanno reso dichiarazioni contrastanti con quelle risultanti dai verbali di sommarie informazioni, peraltro non utilizzabili, alla luce della normativa censurata, come prova dei fatti in esse affermati;

che il rimettente, pur dando atto che la norma di cui al comma 4 dell'art. 195 cod. proc. pen. é ispirata al principio dell'oralità e mira a garantire il contraddittorio nella formazione della prova, ritiene tuttavia che per consentire il sostanziale rispetto di tali principi, senza detrimento di quelli garantiti dai parametri evocati, sarebbe stato necessario introdurre "un meccanismo processuale che […] consentisse a quelle stesse dichiarazioni, nel caso in cui i testimoni fossero reticenti o rendessero dichiarazioni divergenti rispetto a quelle precedenti, non solo di entrare nel dibattimento ma di conservare un qualche valore di prova";

che tale meccanismo dovrebbe "consistere nella possibilità di far transitare, attraverso il sistema delle contestazioni, i verbali contenenti le dichiarazioni precedentemente rese da valutare, in caso di difformità unitamente ad altri elementi di riscontro, come prova dei fatti in esse contenuti";

che si dovrebbe quindi prevedere la possibilità di acquisire, successivamente e quale elemento di riscontro, la deposizione dei verbalizzanti sugli aspetti poco chiari ed equivoci della verbalizzazione stessa;

che il "combinato disposto dell'art. 195, comma 4, cod. proc. pen. e 500, comma 2, cod. proc. pen." violerebbe invece, ad avviso del rimettente, innanzitutto l'art. 3 Cost., perchè, "irragionevolmente, porta all'esclusione dal processo di prove legittimamente formate" e perchè vieta di utilizzare come elemento di riscontro la testimonianza de relato degli agenti e degli ufficiali di polizia giudiziaria quando "la deposizione di un qualsiasi teste de relato, seguita da quella del teste di riferimento, può di per sè costituire, salvo ogni apprezzamento del giudice, prova dei fatti riferiti";

che la disciplina censurata si porrebbe in contrasto proprio con i principi del giusto processo, tale potendo definirsi solo il processo che tende all'accertamento del fatto storico e della verità sostanziale irragionevolmente ostacolato dalle disposizioni censurate;

che sarebbero inoltre violati il principio di parità sancito dall'art. 111 Cost., come espressione del più generale principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., dal momento che "la posizione del pubblico ministero é fortemente ed irragionevolmente penalizzata dal sistema normativo su delineato" e, conseguentemente, il principio di obbligatorietà dell'azione penale di cui all'art. 112 Cost., perchè il pubblico ministero é chiamato ad esercitare l'azione penale anche sulla base di dichiarazioni rese da persone informate sui fatti che "sa già (o ha sentore) che non verranno confermate a dibattimento".

Considerato che i rimettenti dubitano, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 111 e 112 Cost., della legittimità costituzionale degli artt. 195, comma 4, e 500, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui il primo vieta agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria di rendere testimonianza sul contenuto delle dichiarazioni acquisite dai testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), dello stesso codice ed il secondo consente di utilizzare i verbali usati per le contestazioni solo al fine di valutare la credibilità del teste;

che, sollevando le ordinanze di rimessione questioni sostanzialmente eguali, nonostante la differente articolazione e la varietà dei parametri evocati, va disposta la riunione dei relativi giudizi;

che successivamente alle ordinanze di rimessione questa Corte ha esaminato analoghe questioni, dichiarando non fondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 195, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui vieta la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni rese da testimoni (sentenza n. 32 del 2002); manifestamente infondata la medesima questione sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111 e 112 Cost. (ordinanza 292 del 2002); manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, primo comma, 25, secondo comma, 27, 101, primo e secondo comma, 111, quinto e sesto comma, e 112 Cost., la questione di costituzionalità dell’articolo 500, commi 2 e 7, cod. proc. pen., nella parte in cui non consentono che le dichiarazioni utilizzate per le contestazioni possano essere acquisite e valutate come prova dei fatti in esse affermati (ordinanza n. 36 del 2002);

che in dette pronunce la Corte ha rilevato come la prima parte del quarto comma dell’articolo 111 Cost., "con il quale il legislatore ha dato formale riconoscimento al contraddittorio come metodo di conoscenza dei fatti oggetto del giudizio" (sentenza n. 32 del 2002), esprime una generale regola di esclusione probatoria (ordinanza n. 36 del 2002), in base alla quale nessuna dichiarazione raccolta unilateralmente durante le indagini può essere utilizzata come prova del fatto in essa affermato, se non nei casi, eccezionali, contemplati dal comma successivo, di consenso dell’imputato, di accertata impossibilità di natura oggettiva di formazione della prova in contraddittorio, di provata condotta illecita;

che appare dunque del tutto coerente con il dettato costituzionale "la previsione di istituti che mirino a preservare la fase del dibattimento – nella quale assumono valore paradigmatico i principi della oralità e del contraddittorio – da contaminazioni probatorie fondate su atti unilateralmente raccolti nel corso delle indagini preliminari" (ordinanza n. 36 del 2002, che sul punto richiama la sentenza n. 32 in pari data);

che, in particolare, il comma 2 dell'art. 500 cod. proc. pen. risponde alla "esigenza di impedire che l’istituto delle contestazioni - proprio perchè configurato quale veicolo tecnico di utilizzazione processuale di dichiarazioni raccolte prima e al di fuori del contraddittorio - si atteggi alla stregua di meccanismo di acquisizione illimitato ed incondizionato di quelle dichiarazioni" (ordinanza n. 36 del 2002);

che, in coerenza con tale regola, la previsione dell'art. 195, comma 4, cod. proc. pen., che vieta la testimonianza indiretta degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria sulle dichiarazioni ricevute dalle persone informate sui fatti con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere b) e c), cod. proc. pen., é finalizzata ad "evitare che tali dichiarazioni possano surrettiziamente confluire nel materiale probatorio utilizzabile in giudizio attraverso la testimonianza sul loro contenuto resa da chi le ha raccolte unilateralmente nel corso delle indagini preliminari" (sentenza n. 32 del 2002);

che, non risultando profili nuovi rispetto a quelli già valutati con le richiamate pronunce, le questioni vanno dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 195, comma 4, e 500 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 111 e 112 della Costituzione, dal Tribunale di Potenza e dal Tribunale di Brindisi con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2002.