ORDINANZA N.250
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), promossi con ordinanze emesse il 31 marzo 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Cremona e il 12 luglio 2000 dalla Corte di cassazione, sezione tributaria, iscritte ai nn. 859 del registro ordinanze 2000 e 73 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 3 e 6, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di costituzione di Cazzuffi Antonella ed altre;
udito nell’udienza pubblica del 23 aprile 2002 il Giudice relatore Annibale Marini;
udito l’avvocato Francesco Moschetti per Cazzuffi Antonella ed altre.
Ritenuto che, con ordinanze, rispettivamente, del 31 marzo 2000 e del 12 luglio 2000, la Commissione tributaria provinciale di Cremona e la Corte di cassazione, sezione tributaria, hanno sollevato, entrambe in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione e la seconda anche in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni);
che i rimettenti dubitano della legittimità costituzionale della norma nella parte in cui dispone che, ai fini del calcolo della imposta sulle successioni, la base imponibile – quanto alle partecipazioni societarie non quotate - é determinata in misura proporzionale al valore, alla data di apertura della successione, del patrimonio netto della società risultante dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato;
che tale disciplina, ad avviso dei medesimi rimettenti, si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, per la disparità di trattamento che ne deriverebbe tra chi riceve per successione partecipazioni societarie non quotate, assoggettato ad imposta sulla base del mero valore di bilancio, e chi riceve per successione partecipazioni societarie quotate ovvero la proprietà di beni immobili, assoggettato ad imposta sulla base dell’effettivo valore venale del bene o della partecipazione sociale;
che il diverso criterio di valutazione della base imponibile, in presenza di cespiti aventi uguale valore venale, comporterebbe altresì la violazione del principio di capacità contributiva, di cui all’art. 53 della Costituzione;
che – ad avviso della Corte di cassazione - la norma impugnata si porrebbe poi in contrasto anche con l’art. 76 della Costituzione, in quanto essa violerebbe il criterio direttivo, contenuto nell’art. 8, numero 2, della legge di delega 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), secondo il quale l’imposta sulle successioni deve essere commisurata al valore netto dei beni ricevuti dall’erede;
che sebbene la norma di delega non si riferisca specificamente al valore di mercato – risultando, pertanto, legittime forme di tassazione fondate su parametri presuntivi, come nella valutazione automatica degli immobili - non potrebbe, tuttavia, svincolarsi la base imponibile da ogni riferimento al valore effettivo, come appunto si verificherebbe – secondo lo stesso rimettente – nell’ipotesi disciplinata dalla norma impugnata;
che nel giudizio promosso dalla Corte di cassazione si sono costituite le parti private Antonella Cazzuffi, Paola Cazzuffi e Elena Casarotti, concludendo per la infondatezza della questione;
che, ad avviso delle stesse parti, il rimettente trascurerebbe di considerare che il valore di una partecipazione societaria é rappresentato dal suo valore di scambio, che non coincide con il valore della corrispondente quota del patrimonio sociale;
che, mentre per le società quotate in borsa tale valore di scambio sarebbe agevolmente ricavabile dalle quotazioni di mercato, per le altre società il legislatore, facendo uso della sua discrezionalità in materia di determinazione della base imponibile, avrebbe legittimamente individuato un diverso criterio di riferimento rappresentato dal valore di bilancio o di inventario;
che, pertanto, la norma non contrasterebbe nè con il principio di eguaglianza nè con quello di capacità contributiva;
che per quanto riguarda, infine, il parametro di cui all’art. 76 della Costituzione, le parti rilevano, per un verso, che il legislatore delegante non farebbe alcun riferimento al "valore di mercato" del bene caduto in successione, ma ai diversi concetti di "valore netto" e di "valore globale", e, per altro verso, che i limiti della delega contenuta nella legge n. 825 del 1971 sarebbero stati ampliati dall’art. 1, terzo comma, della legge 12 aprile 1984, n. 68 (Proroga del termine per l’emanazione dei testi unici previsti dall’articolo 17 della legge 9 ottobre 1971, n. 825 e successive modificazioni);
Considerato che i due giudizi, concernenti la medesima norma e caratterizzati da evidenti profili di connessione, vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza;
che non incidono sul presente giudizio nè la modifica della norma censurata introdotta dall’art. 69, comma 1, lettera i), della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), nè la stessa soppressione dell’imposta sulle successioni, recata dall’art. 13 della legge 18 ottobre 2001, n. 383 (Primi interventi per il rilancio dell’economia), trattandosi di modifiche legislative applicabili esclusivamente alle successioni aperte in date successive alle ordinanze di rimessione;
che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, é rimessa alla discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà, la determinazione dei fatti espressivi di capacità contributiva e la individuazione dei relativi criteri di valutazione (cfr., da ultimo, sentenze n. 156 del 2001 e n. 362 del 2000);
che, facendo uso di siffatta discrezionalità, il legislatore, negli artt. da 14 a 19 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), ha individuato, in funzione delle diverse tipologie dei beni caduti in successione, distinti criteri per la determinazione della relativa base imponibile;
che, per quanto riguarda le partecipazioni azionarie non quotate, il riferimento al valore risultante dal bilancio o dall’inventario appare tutt’altro che irragionevole, considerata la mancanza di un valore di mercato della quota e la evidente impossibilità, per l’acquirente mortis causa, di procedere ad una autonoma valutazione degli elementi attivi e passivi del patrimonio sociale; ferma sempre restando la possibilità, da parte dell’amministrazione finanziaria, di contestare il mancato rispetto dei criteri legali di redazione del bilancio o dell’inventario;
che non sussiste, pertanto, violazione del principio di capacità contributiva;
che, sotto altro aspetto, la diversità del criterio di determinazione della base imponibile delle partecipazioni societarie non quotate rispetto a quelle quotate e ai beni immobili trova giustificazione nelle diverse caratteristiche dei cespiti oggetto di valutazione; sicchè, anche la censura riguardante l’asserita violazione del principio di eguaglianza risulta manifestamente infondata;
che la norma impugnata neppure eccede i limiti della delega, originariamente contenuta nell’art. 1, punto V, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), e ripetutamente rinnovata con numerose disposizioni legislative succedutesi nel tempo;
che, in particolare, essa – per le considerazioni sin qui svolte - soddisfa il criterio direttivo, fissato dall’art. 8, numero 2), della citata legge n. 825 del 1971, secondo il quale l’imposta é commisurata al valore netto dei beni caduti in successione, essendo il bilancio della società e l’inventario dei beni ad essa appartenenti gli strumenti funzionalmente destinati a rappresentare il valore netto della stessa società e, di conseguenza, quello delle singole quote di partecipazione;
che, conclusivamente, la questione prospettata é, sotto tutti i profili, manifestamente infondata;
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Cremona e, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione tributaria, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2002.