ORDINANZA N.216
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Massimo VARI Giudice
- Riccardo CHIEPPA "
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 5, commi da 1 a 11, del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell'articolo 6 della l. 30 novembre 1998, n. 419), promossi con n. 22 ordinanze emesse il 5 luglio 2000 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III, rispettivamente iscritte ai nn. 592, da 717 a 725 e da 741 a 752 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 33, 38 e 39, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti gli atti di costituzione di S.A. ed altri, di A. A. ed altro, G. L. ed altri, di M. R. ed altro, F. F. ed altro e della Regione Toscana nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 aprile 2002 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III, con ventidue ordinanze del 5 luglio 2000 (pervenute alla Corte il 21 giugno, il 20 ed il 24 agosto del 2001), nel corso di giudizi promossi da docenti universitari delle facoltà di medicina e chirurgia (infra: medici universitari), solleva questione di legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell'articolo 6 della l. 30 novembre 1998, n. 419): art. 5, comma 8, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione; art. 5, comma 7, in riferimento agli artt. 33 e 76 della Costituzione; art. 5, commi da 1 a 6 e da 8 a 11, nonché art. 3 – quest’ultimo nella parte in cui non prevede una partecipazione diretta degli organi universitari nelle scelte delle aziende ospedaliero-universitarie in materia di collegamento tra le attività di assistenza, didattica e ricerca – in riferimento agli artt. 33 e 76 della Costituzione;
che le ordinanze, con argomentazioni sostanzialmente identiche, censurano l'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517 del 1999, il quale stabilisce un termine perentorio entro il quale i medici universitari esercitano o rinnovano l’opzione – prevista dal comma 7 – per l’esercizio di attività assistenziale intramuraria (c.d. attività assistenziale esclusiva), ovvero di attività libero-professionale extramuraria, disponendo che, in mancanza di comunicazione, si intende effettuata l’opzione per l’attività assistenziale esclusiva;
che, ad avviso dei rimettenti, la norma, fissando il succitato termine indipendentemente dalla individuazione delle strutture destinate allo svolgimento dell’attività assistenziale intramuraria, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, in quanto la loro preventiva identificazione configurerebbe un presupposto dell’opzione e, proprio per questo, la disposizione inciderebbe negativamente sulla compenetrazione tra attività assistenziale ed attività didattico-scientifica, in violazione dei principi di coerenza e ragionevolezza dell'ordinamento, nonché di buon andamento dell'amministrazione;
che, secondo il Tar, l'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 517 del 1999 e le disposizioni ad esso sottese e connesse - ossia i commi da 1 a 6 e da 8 ad 11 - nonché l'art. 3, nella parte riguardante l’organizzazione interna delle aziende ospedaliero-universitarie, violerebbe gli artt. 33 e 76 della Costituzione;
che, in particolare, la configurazione dell’opzione per l’attività assistenziale esclusiva quale requisito per l’attribuzione degli incarichi di direzione dei programmi di cui al comma 4 della norma impugnata pregiudicherebbe la compenetrazione tra attività sanitaria assistenziale ed attività didattica e di ricerca scientifica, assoggettando l'attività assistenziale svolta dal medico universitario alle determinazioni organizzative del direttore generale dell'azienda ospedaliero-universitaria, in violazione del principio dell’autonomia universitaria;
che, ad avviso del Tar, agli organi dell’università sarebbero stati attribuiti compiti marginali nel coordinamento degli interessi concernenti l'insegnamento e la ricerca scientifica, tenuto conto sia dei poteri attribuiti al direttore del dipartimento, sia della circostanza che questi risponde della programmazione e della gestione delle risorse al direttore generale e sarebbe tenuto a privilegiare le esigenze dell’attività assistenziale rispetto a quelle dell'attività didattica e scientifica, così da non garantire lo svolgimento delle attività assistenziali <>, in violazione dell'art. 6, comma 1, lettera b), della legge 30 novembre 1998, n. 419;
che, secondo i giudici a quibus, <> (ossia l’art. 5, commi da 1 a 6 e da 8 a 11, nonché l’art. 3 del d.lgs. n. 517 del 1999 <<in parte qua>>) violerebbe gli artt. 33 e 76 della Costituzione, dal momento che il divieto di attribuire al medico universitario, il quale non abbia scelto l'attività assistenziale esclusiva, la direzione delle strutture e dei programmi finalizzati alla integrazione di queste attività non garantirebbe «la coerenza fra l'attività assistenziale e le esigenze della formazione e della ricerca» (art. 6, comma 1, lettere b e c, della legge n. 419 del 1998), modificando lo stato giuridico del personale universitario, in violazione dei principi e dei criteri direttivi della legge-delega;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in tutti i giudizi – fatta eccezione per quello instaurato con l’ordinanza iscritta al n. 750 del registro ordinanze del 2001 – con separati atti di contenuto sostanzialmente coincidente, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate;
che, ad avviso della difesa erariale, il d.lgs. 28 luglio 2000, n. 254, attribuendo ai medici universitari la facoltà di esercitare l'attività libero-professionale intramuraria in regime ambulatoriale presso i propri studi, nei casi di carenza di strutture e di spazi idonei all'interno delle aziende ospedaliero-universitarie, inciderebbe sulla fondatezza delle censure riferite all'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517 del 1999;
che, secondo l’interveniente, detta norma, fissando un termine perentorio per l’esercizio dell’opzione in esame, non sarebbe legata da alcun nesso con il comma 7, e, comunque, i medici universitari, allorquando effettuano la scelta, sono consapevoli degli effetti che ne derivano;
che, ad avviso dell'Avvocatura, le censure riferite all'art. 5, comma 7, cit., ed alle disposizioni ad esso sottese, sarebbero infondate, in quanto gli incarichi di direzione dei programmi del comma 4 sono stati ragionevolmente riservati ai medici universitari i quali, scegliendo il rapporto esclusivo, assicurano piena disponibilità per la loro realizzazione, ed inoltre le norme censurate non violerebbero il principio di compenetrazione tra attività assistenziale ed attività didattica e di ricerca, poiché i medici universitari che scelgono il rapporto non esclusivo continuano a svolgere l'attività di ricerca e didattica strumentale rispetto a quella assistenziale;
che, secondo la difesa erariale, le censure riferite all’art. 76 della Costituzione sarebbero infondate, dato che la legge-delega ha inteso rafforzare la collaborazione tra università e Servizio sanitario nazionale;
che nei giudizi instaurati con le ordinanze di rimessione iscritte ai numeri 592, 722, 724, 749 e 752 del registro ordinanze dell’anno 2001, si sono costituiti i ricorrenti nei processi principali, facendo sostanzialmente proprie le conclusioni del Tar, nonché deducendo, con alcuni atti, il contrasto delle norme impugnate con parametri costituzionali ulteriori rispetto a quelli indicati dalle ordinanze di rimessione;
che nel giudizio promosso dall’ordinanza iscritta al numero 718 del registro ordinanze dell’anno 2001 si è altresì costituita la Regione Toscana – parte nel processo a quo –, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.
Considerato che l'identità delle norme impugnate, delle censure proposte e dei parametri costituzionali invocati, nonché la coincidenza delle argomentazioni svolte nelle ordinanze di rimessione rendono opportuna la riunione dei giudizi;
che, nel decidere identiche questioni sollevate dallo stesso Tar del Lazio, questa Corte, con ordinanza n. 394 del 2001, ha affermato che gli atti legislativi e regolamentari, nonché la sentenza n. 71 del 2001, sopravvenuti alle ordinanze di rimessione, hanno influito sul complessivo quadro normativo di riferimento nel quale si inscrivono i molteplici profili delle questioni di legittimità costituzionale, richiedendo, conseguentemente, un nuovo esame da parte dei giudici a quibus dei termini delle questioni e della loro perdurante rilevanza;
che le argomentazioni svolte in detta ordinanza conservano validità anche in relazione ai provvedimenti di rimessione oggetto del presente giudizio;
che, alla luce delle modificazioni sopra indicate, gli atti devono essere restituiti ai rimettenti, affinché procedano ad un nuovo esame della perdurante rilevanza delle questioni.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2002.