Ordinanza n.81 del 2002

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ORDINANZA N.81

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 1, del decreto-legge 7 gennaio 2000, n.2 (Disposizioni urgenti per l’attuazione dell’art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in materia di giusto processo) convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, e 210, comma 4, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 9 marzo 2001 dal Tribunale di S. Angelo dei Lombardi nel procedimento penale a carico di M. D.M., iscritta al n. 338 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 30 gennaio 2002 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con ordinanza emessa il 9 marzo 2001, il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 101, secondo comma, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt.1, comma 1, del d.l. 7 gennaio 2000, n. 2 (Disposizioni urgenti per l’attuazione dell’art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in materia di giusto processo) convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, e 210, comma 4, cod. proc. pen. "nella parte in cui, da un lato, continua a prevedere la facoltà di non rispondere in capo a chi viene esaminato ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., quantomeno sui fatti relativi alla responsabilità altrui, e, dall’altro, impedisce, all’esito dell’esercizio di tale facoltà, l’acquisizione ed utilizzazione delle dichiarazioni precedentemente rese dallo stesso";

che il rimettente premette, in punto di fatto, che, nel corso di un procedimento instaurato per il reato di estorsione aggravata, una delle parti offese, "esaminata ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen.", si era avvalsa della facoltà di non rispondere;

che – sottolineato come la norma di cui all’art. 513 cod. proc. pen. "debba ritenersi abrogata", in forza dell’art. 1 del d.l. n. 2 del 2000, che ha disposto l’immediata applicabilità, a tutti i processi in corso, dell’art. 111 della Costituzione – il giudice a quo assume che l’art. 210, comma 4, cod. proc. pen. determini, sotto il profilo considerato, una irragionevole disparità di trattamento tra imputati in procedimenti diversi, per il caso in cui la prova a carico dell’imputato sia costituita dalle dichiarazioni di un coimputato o di un imputato in procedimento connesso il quale accetti di sottoporsi ad esame, rispetto all’ipotesi analoga in cui detto imputato o coimputato si rifiuti di rispondere;

che, in forza della medesima considerazione, risulterebbero violati anche gli artt. 24, secondo comma, e 111 della Costituzione, posto che dalla suddetta insindacabile scelta verrebbero a dipendere il diritto dell’imputato a sottoporre al contraddittorio dibattimentale la fonte delle accuse mosse nei suoi confronti e lo stesso principio della formazione della prova nel contraddittorio delle parti;

che le norme denunciate, in quanto "producono l’effetto di paralizzare ex post l’iniziativa penale", si porrebbero altresì in contrasto con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, e con quello di legalità, sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost., che "assegna al processo la funzione di accertare la verità", attraverso la piena conoscenza dei fatti ad opera del giudice;

che, infine, sarebbe leso il principio della soggezione del giudice esclusivamente alla legge, in quanto la conoscibilità, e la conseguente utilizzabilità processuale delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini dal coimputato di reato connesso o collegato, verrebbero a dipendere esclusivamente dalla possibilità di sottrarsi all’esame dibattimentale, riconosciuta a tali soggetti;

che nel giudizio di costituzionalità é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato che, successivamente all’ordinanza di rimessione, é entrata in vigore la legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’art. 111 della Costituzione), la quale ha profondamente innovato la disciplina sia della formazione della prova in dibattimento, che del diritto al silenzio, incidendo direttamente, tra l’altro, sul campo di applicazione dell’art. 210 cod. proc. pen., per la parte in cui forma oggetto dell’odierna impugnativa;

che a fronte di tali modifiche normative, che investono anche il contesto complessivo della disciplina di riferimento, gli atti devono quindi essere restituiti al giudice rimettente perchè verifichi se la questione sia tuttora rilevante nel giudizio a quo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di S. Angelo dei Lombardi.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 marzo 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2002.