ORDINANZA N. 53
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale della legge 11 ottobre 1995, n. 423 (Norme in materia di soprattasse e di pene pecuniarie per omesso, ritardato o insufficiente versamento delle imposte), e dell'art. 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), promossi con due ordinanze emesse il 30 novembre 2000 dalla Commissione tributaria di primo grado di Trento, iscritte, rispettivamente, ai nn. 92 e 93 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 16 gennaio 2002 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto che, con due ordinanze del medesimo tenore, emesse il 30 novembre 2000 e pervenute a questa Corte il 22 gennaio 2001, la Commissione tributaria di primo grado di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale, senza espressa indicazione della norma costituzionale che si assume violata, della legge 11 ottobre 1995, n. 423 (Norme in materia di soprattasse e di pene pecuniarie per omesso, ritardato o insufficiente versamento delle imposte), e dell'art. 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), "in quanto non tutelano sufficientemente e ragionevolmente, in tema di riscossione dei tributi ed accessori, il contribuente vittima di "consulente infedele"";
che il remittente premette che il contribuente contesta un accertamento di imposta sul reddito delle persone fisiche, ritenendo di dover pagare solo la minore somma risultante da un atto di accertamento con adesione, non perfezionato perchè il consulente del medesimo contribuente aveva omesso di effettuare i pagamenti devolvendo a proprio profitto gli importi da corrispondere; e chiede, in sede cautelare, la sospensione della riscossione;
che, secondo il giudice a quo, mancherebbe una norma che in via generale rimetta il contribuente nei termini incolpevolmente scaduti, ed in particolare mantenga la possibilità di fruire dell'agevolazione conseguente all'accertamento con adesione quando i relativi atti non si siano perfezionati a causa dell'illecito commesso dal professionista: ciò darebbe luogo ad una "irragionevole disparità di trattamento fra il regime dedicato alle sanzioni ed il regime di riscossione del tributo", che renderebbe non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale della normativa denunciata;
che, quanto alla rilevanza della questione, il remittente afferma che la verifica del fumus boni juris ai fini della richiesta tutela cautelare appare influenzata dal dubbio di legittimità costituzionale sollevato;
che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, osservando che l'art. 1, comma 6-bis, della legge n. 423 del 1995 prevede la possibilità per l'ufficio finanziario di sospendere, fra l'altro nella ipotesi di omesso versamento di tributi dovuto a fatto penalmente illecito, e denunciato, del professionista, la riscossione del tributo, per un biennio, nei confronti del contribuente per il quale sussistano comprovate difficoltà di ordine economico, e che offra idonea garanzia: onde il giudice tributario avrebbe potuto accordare la richiesta sospensione, ovvero, se avesse ritenuto quest'ultima di esclusiva competenza degli uffici, prospettare la questione di legittimità costituzionale riferendola a più puntuale oggetto e ad altri parametri;
che pertanto, secondo l'interveniente, la questione sarebbe inammissibile per irrilevanza nella fase cautelare nel giudizio, in quanto preordinata alla decisione sul merito della controversia, nonchè per difetto di individuazione della norma sostanziale relativa alla risoluzione o alla decadenza dai benefici dell'accertamento con adesione; sarebbe, ancora, inammissibile per insufficiente esplicitazione delle ragioni della denuncia; e sarebbe, comunque, manifestamente infondata ove riferita ad una asserita preclusione alla sospensione della riscossione del tributo nella ipotesi di omesso versamento d'imposta per fatto penalmente illecito del terzo.
Considerato che le due ordinanze sollevano la medesima questione, onde i giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronunzia;
che la censura mossa dal giudice remittente – la cui rilevanza nella specie é dal medesimo, non implausibilmente, collegata alla valutazione del fumus boni juris ad esso demandata ai fini della richiesta tutela cautelare – riguarda la mancata estensione dei benefici riconosciuti dall'art. 1, commi 1, 2 e 6-bis della legge n. 423 del 1995 nel caso di omesso versamento di tributi quando la violazione consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, del professionista in dipendenza del mandato professionale (sospensione della riscossione delle somme dovute a titolo di soprattassa e di pena pecuniaria; sospensione per un biennio e successiva rateizzazione del debito relativo al versamento del tributo, nel caso di comprovate difficoltà di ordine economico del contribuente), e dall'art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997 nel caso in cui il pagamento del tributo non sia stato eseguito per fatto denunciato all'autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi (non assoggettabilità del contribuente alle sanzioni amministrative previste) alla ipotesi in cui l'omesso versamento a causa del fatto illecito del professionista abbia impedito il perfezionarsi dell'accertamento con adesione, previsto dal d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218; e mira ad ottenere, attraverso la richiesta pronuncia additiva di questa Corte, la rimessione del contribuente in termini per l'effettuazione del pagamento che condiziona il perfezionamento dell'accertamento con adesione, ai sensi dell'art. 9 del medesimo d.lgs. n. 218 del 1997;
che, benchè l'ordinanza di remissione ometta la indicazione espressa del parametro, la censura di disparità di trattamento appare riconducibile all'art. 3 della Costituzione, parametro dunque implicitamente ricavabile dalla motivazione dell'ordinanza medesima;
che il beneficio che si vorrebbe far conseguire al contribuente attraverso la richiesta pronuncia di illegittimità costituzionale si colloca su di un piano diverso dai benefici derivanti dalle norme invocate: non riguarderebbe infatti la sospensione (e poi lo sgravio) del debito per le soprattasse e le pene pecuniarie, e la non applicabilità delle sanzioni, nonchè la sospensione temporanea e la rateizzazione del debito tributario, destinato però a rimanere invariato nel suo ammontare, bensì inciderebbe sull'ammontare del debito tributario medesimo, che si vorrebbe ridotto o riducibile all'entità risultante dall'accertamento con adesione, pur quando quest'ultimo non si sia perfezionato per il mancato tempestivo versamento delle somme dovute;
che, pertanto, la questione sollevata appare manifestamente infondata per inidoneità del tertium comparationis invocato e disomogeneità delle situazioni messe a raffronto;
che l'accertamento con adesione é procedimento, apprestato dal legislatore in base ad una scelta discrezionale, volto a consentire una più rapida definizione dei rapporti tributari e la riduzione del contenzioso, e ragionevolmente legato dunque ad adempimenti del contribuente da espletarsi entro termini perentori; onde appartiene alla discrezionalità del legislatore l'eventuale introduzione di ipotesi di riapertura dei termini per la definizione del rapporto tributario, in casi come quelli evocati dal remittente;
che, peraltro, fermo restando l'ammontare del debito tributario come definito in base alle procedure di accertamento previste, e alle eventuali determinazioni di merito del giudice tributario tempestivamente adito, il contribuente, il quale sia vittima della condotta illecita penalmente rilevante del professionista, può sempre usufruire, ove ne sussistano le condizioni, dei benefici riconosciuti, per questa ipotesi, dalle norme legislative sopra ricordate, concernenti la sospensione della riscossione delle sanzioni e la non applicabilità delle medesime, nonchè la sospensione temporanea e la rateizzazione del debito tributario, oltre che della normale tutela cautelare in sede di giudizio tributario promosso avverso l'accertamento: a parte, evidentemente, il diritto nei confronti dell'autore dell'illecito al risarcimento del danno subito.
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 11 ottobre 1995, n. 423 (Norme in materia di soprattasse e di pene pecuniarie per omesso, ritardato o insufficiente versamento delle imposte), e dell'art. 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), sollevata dalla Commissione tributaria di primo grado di Trento con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2002.