SENTENZA N. 24
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 459, comma 1, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 37 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), promosso con ordinanza emessa il 14 marzo 2001 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino nel procedimento penale a carico di F. S., iscritta al n. 328 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 21 novembre 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick;
Ritenuto in fatto
1.- Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino solleva, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 459, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la possibilità di applicare il procedimento per decreto ai reati militari punibili a richiesta del comandante di corpo, a norma dell’art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace. Il rimettente premette che il pubblico ministero, esercitando l’azione penale nei confronti di un militare per il delitto di allontanamento illecito, aveva richiesto l’emissione di decreto penale di condanna nei confronti dell’imputato; che tuttavia, trattandosi di imputazione per reato punito con pena edittale massima di mesi sei di reclusione militare, esso risultava perseguibile soltanto previa richiesta del comandante di corpo, a norma dell’art. 260, secondo comma, cod. pen. mil. pace. Peraltro – soggiunge il giudice a quo – l’art. 459 cod. proc. pen., pur ammettendo, a seguito delle modifiche apportate ad esso dall’art. 37 della legge 16 dicembre 1999, n. 479, la possibilità di adottare il procedimento per decreto anche per i reati perseguibili a querela, non ha fatto menzione alcuna dei reati militari per i quali sia prevista la condizione di procedibilità della richiesta del comandante di corpo. A parere del rimettente risulterebbe dunque impossibile – contrariamente alla tesi espressa dal pubblico ministero in sede di richiesta – procedere ad una applicazione analogica del nuovo disposto dell’art. 459 cod. proc. pen. al caso in esame, attesa la diversità dell’istituto della richiesta del comandante di corpo rispetto alla querela: da ciò la necessità di sollevare il quesito di legittimità costituzionale.
Al riguardo, il giudice a quo sottolinea di essere consapevole del fatto che sulla identica questione questa Corte si é già pronunciata in senso negativo con la sentenza n. 274 del 1997, ma tuttavia ritiene legittima la riproposizione del quesito in ragione del fatto che quella pronuncia aveva preso in considerazione il "vecchio" testo dell’art. 459 cod. proc. pen.; e che pertanto – alla luce della modifica normativa che ha reso ora possibile il rito monitorio anche per i reati procedibili a querela – le argomentazioni poste a fondamento della pronuncia in questione risulterebbero, ormai, non più "condivisibili". La normativa impugnata si porrebbe dunque in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto da essa deriverebbero sia "una disparità di trattamento, dal punto di vista della legge processuale, relativamente a reati comuni e militari, aventi lo stesso nucleo di condotta penalmente rilevante"; sia una "disparità di trattamento dal punto di vista della legge penale sostanziale, tra imputati di reati militari della stessa indole", giacchè per gli imputati di reati militari perseguibili d’ufficio – e quindi di più intensa gravità – risulterebbe applicabile il procedimento per decreto, a differenza dei militari responsabili di reati a procedibilità condizionata, per i quali, invece, quel rito resta precluso. Sarebbe leso anche il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., in quanto verrebbe imposta la definizione del procedimento con le forme ordinarie – con conseguente dilatazione dei tempi processuali – per i reati perseguibili a richiesta del comandante di corpo, benchè aventi caratteristiche di lieve entità e la cui prova é, di regola, sufficientemente assicurata dalle risultanze cartolari della indagine.
2.- Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. A parere della Avvocatura, la diversità sussistente tra l’istituto della querela e quello della richiesta del comandante di corpo impedirebbe di ravvisare "quel requisito di omogeneità che consente di invocare la lesione dell’art. 3 Cost."; mentre per ciò che attiene alla pretesa violazione dell’art. 111, secondo comma, Cost., l’ampia discrezionalità di cui il legislatore gode nell’assicurare la durata ragionevole del processo non sarebbe stata nella specie indebitamente superata.
Considerato in diritto
1. - Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino solleva, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 459, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente di applicare il procedimento per decreto ai reati punibili a richiesta del comandante del corpo o di altro ente superiore da cui dipende il militare colpevole, a norma dell’art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace. A parere del giudice a quo, le modifiche apportate all’art. 459, comma 1, cod. proc. pen. ad opera dell’art. 37 della legge n. 479 del 1999 - estendendo la possibilità di procedere con il rito monitorio anche nei confronti dei reati procedibili a querela - avrebbero fatto venir meno la ratio essendi della sentenza n. 274 del 1997, con la quale questa Corte disattese la fondatezza di analoga questione, facendo leva, appunto, sulla circostanza che il procedimento per decreto era allora consentito unicamente per i reati procedibili di ufficio, in considerazione della ritenuta "…incompatibilità tra il rito monitorio e la complessità degli accertamenti richiesti per i reati a procedibilità condizionata…".
Venuta meno l’anzidetta preclusione per i reati perseguibili a querela; e considerato che la invocata complessità degli accertamenti é di regola collegata all’intrecciarsi tra gli aspetti penalistici e quelli civilistici (problematica, questa, invece estranea all’istituto della richiesta previsto dall’art. 260, secondo comma, cod. proc. mil. pace): ne deriverebbe, ad avviso del rimettente, una irragionevole divergenza di disciplina tra reati comuni e reati militari "…aventi lo stesso nucleo di condotta penalmente rilevante…". Siffatta divergenza sarebbe idonea anche a ledere il canone della uguaglianza sul piano del trattamento sanzionatorio (attesa la possibilità di fruire di un cospicuo "sconto di pena" attraverso la applicazione del decreto penale di condanna), ed avrebbe dei riflessi negativi sul versante della ragionevole durata del processo, sancita dall’art. 111, secondo comma, della Carta fondamentale.
2.- La questione non é fondata.
La omologabilità delle situazioni poste a raffronto é impedita dalle stesse prospettazioni che il rimettente adduce a sostegno delle proprie censure.
Come infatti emerge dalla ordinanza di rimessione, da un lato, il giudice a quo sottolinea la nutrita gamma di elementi che impediscono di ritenere fra loro sovrapponibili o assimilabili gli istituti della richiesta del comandante di corpo e della querela, essendo la richiesta "volta alla tutela di interessi di natura pubblicistica quali il servizio e la disciplina militare, valori che potrebbero subire un pregiudizio anche dalla pubblicità conseguente alla celebrazione di processi per episodi di lieve entità", a differenza della querela, che "soddisfa invece l’interesse (privato) della vittima del reato": così da escludere qualsiasi possibilità di estensione analogica della novella concernente l’art. 459 cod. proc. pen. ai reati militari a procedibilità condizionata. Da un altro lato – in modo del tutto contraddittorio – il rimettente finisce per affermare che, proprio a seguito di quest’ultima innovazione, risulterebbe irragionevole il mancato "allineamento", agli effetti che qui rilevano, delle due figure di condizione di procedibilità messe a confronto.
E’ dunque evidente che, una volta esclusa – come lo stesso rimettente mostra di escludere - la comparabilità della querela e della richiesta del comandante di corpo, tanto sul piano della struttura che delle rispettive finalità, l’intera problematica della "estensione" del rito monitorio ai reati militari procedibili a richiesta viene di per sè a trasferirsi sul piano della pura discrezionalità legislativa; non diversamente, d’altra parte, dalla eventuale ulteriore "estensione" del medesimo rito anche ai reati comuni subordinati a condizioni di procedibilità diverse dalla querela. Posto che la pronuncia additiva sollecitata dal giudice a quo - lungi dall’operare secondo un meccanismo di conseguenzialità costituzionalmente imposto - presupporrebbe una scelta di opportunità, estranea all’accertamento dei vizi tipico del giudizio devoluto a questa Corte, ne deriva che la questione proposta risulta non fondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 459, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2002.