ORDINANZA N. 12
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO,Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 4 della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura), promosso con ordinanza emessa il 6 dicembre 2000 dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra Di Palma Salvatore e la Banca di Roma s.p.a., iscritta al n. 301 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2001 il Giudice relatore Annibale Marini.
Ritenuto che il Tribunale di Napoli, con ordinanza emessa il 6 dicembre 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 47 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 4 della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura), nella parte in cui sanziona con la non debenza di alcun interesse la pretesa di interessi legittimamente pattuiti, ma divenuti successivamente usurari; e, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 1815, secondo comma, del codice civile nella parte in cui non sanziona in alcun modo la pretesa di interessi legittimamente pattuiti, ma divenuti successivamente usurari;
che ad avviso del rimettente - il quale é chiamato a decidere sulla domanda di pagamento, in base a contratto di mutuo, di interessi convenzionali corrispettivi e moratori la cui misura, in corso di rapporto, ha superato il cosiddetto tasso soglia – risponderebbe del reato di usura, nella configurazione risultante dal nuovo testo dell’art. 644 del codice penale, non solo chi si fa promettere ma anche chi si fa dare interessi superiori al tasso fissato dall’art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996 e, in quanto tali, considerati, dalla stessa norma, sempre usurari;
che, conseguentemente, la sanzione civile della non debenza di alcun interesse disposta dall’art. 1815, secondo comma, del codice civile, per l’ipotesi in cui siano convenuti interessi usurari, opererebbe non soltanto nel caso in cui gli interessi siano pattuiti ad un tasso originariamente usurario ma anche in quello in cui essi superino il tasso soglia per effetto di una variazione in diminuzione del predetto tasso, e ciò con riguardo sia ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 108 del 1996 sia a quelli stipulati successivamente;
che, in tal modo, la norma impugnata si porrebbe in contrasto, innanzitutto, con l’art. 24 della Costituzione, in quanto precluderebbe, per effetto dei decreti ministeriali di determinazione del tasso soglia, la tutela giurisdizionale del diritto, legittimamente sorto, alla percezione degli interessi convenzionali;
che la stessa norma sarebbe inoltre lesiva del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., creando una irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento sia tra operatori che abbiano legittimamente concesso finanziamenti a tassi di interesse non usurari, in funzione del dato accidentale della variazione in diminuzione del tasso soglia, non prevedibile nell’an e nel quantum, sia tra posizioni creditorie e debitorie, atteso che il creditore - il quale non é necessariamente il soggetto economicamente più forte del rapporto - sarebbe esposto, in caso di diminuzione del tasso soglia, alla sanzione della non debenza di interessi, senza che un successivo aumento della soglia di usurarietà al di sopra del tasso pattuito possa incidere nuovamente sul rapporto;
che la norma impugnata contrasterebbe da ultimo con l’art. 47 della Costituzione, in quanto da un lato ostacolerebbe la concessione del credito a causa del rischio di una sanzione a carico degli operatori finanziari indipendente da qualsiasi loro condotta colpevole, dall’altro indurrebbe gli operatori medesimi - i quali, in virtù del meccanismo previsto dalla legge n. 108 del 1996, possono di fatto incidere sulla determinazione del tasso soglia - a mantenere i tassi di interesse ad un livello più alto di quello effettivamente imposto dal mercato;
che qualora, poi, la norma impugnata fosse interpretata nel senso di riferire la sanzione di nullità ivi prevista alle sole pattuizioni con le quali vengono convenuti interessi usurari, escludendo dunque le ipotesi in cui gli interessi divengano usurari a seguito dell’abbassamento del tasso soglia, ugualmente la disposizione si porrebbe - ad avviso del rimettente - in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto sottoporrebbe a disciplina diversa situazioni identiche (e cioé richieste di interessi superiori al tasso soglia pro tempore vigente) in ragione esclusivamente del dato temporale relativo alla conclusione del contratto;
che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la restituzione degli atti al giudice rimettente in considerazione dell’entrata in vigore, successivamente all’ordinanza di rimessione, del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394 (Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2001, n. 24.
Considerato che, secondo l’art. 1, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2001, n. 24, "ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento";
che tale norma, intervenuta successivamente all’ordinanza di rimessione ed applicabile nel giudizio a quo, rende evidentemente necessaria una nuova valutazione, da parte del rimettente, riguardo alla rilevanza ed alla non manifesta infondatezza della questione proposta.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Napoli.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2002.