ORDINANZA N.379
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 1-bis, della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali), introdotto dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 135 (Disposizioni integrative della legge 31 dicembre 1996, n. 675, sul trattamento di dati sensibili da parte dei soggetti pubblici), promosso con ordinanza emessa il 14 febbraio 2000 dal Tribunale di Firenze – sezione distaccata di Pontassieve nel procedimento civile vertente tra V. M. e la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, iscritta al n. 347 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visti l’atto di costituzione della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 novembre 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
uditi gli avvocati Stefano Grassi e Gustavo Visentini per la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova e l’avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che con ordinanza del 14 febbraio 2000 il Tribunale di Firenze - sezione distaccata di Pontassieve, nel corso di un giudizio promosso, a norma dell’art. 700 cod. proc. civ., con ricorso di una persona aderente alla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova nei confronti della medesima Congregazione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 8, primo comma, e 19 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 1-bis, della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali), introdotto dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 135 (Disposizioni integrative della legge 31 dicembre 1996, n. 675, sul trattamento di dati sensibili da parte dei soggetti pubblici), che dispone che il trattamento dei dati personali relativi agli aderenti alle confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato siano regolati da accordi o intese ai sensi degli artt. 7 e 8 della Costituzione, da parte delle stesse confessioni, non sia subordinato nè al consenso scritto dell’interessato nè alla preventiva autorizzazione del Garante, al contrario di quanto dispone in via generale il comma 1 dell’art. 22 della legge n. 675 del 1996, che viceversa richiede entrambi i suddetti requisiti perchè possano essere oggetto di trattamento, tra gli altri, i "dati personali idonei a rivelare [. . .] le convinzioni religiose", o "l’adesione a [. . .] associazioni od organizzazioni a carattere religioso";
che la ricorrente ha chiamato in giudizio la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova perchè venga accertato che, in qualità di aderente a tale confessione, non é tenuta a prestare il consenso scritto ai fini del trattamento dei dati personali;
che, secondo il rimettente, l’art. 22, comma 1-bis, della legge n. 675 del 1996 fa obbligo alla Congregazione convenuta, per poter procedere al trattamento dei dati personali del proprio aderente, di acquisire il consenso scritto dell’interessato e la preventiva autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, in quanto si tratta di confessione religiosa i cui rapporti con lo Stato italiano non sono regolati da intese o accordi ai sensi degli artt. 7 e 8 della Costituzione;
che alla stregua dell’anzidetta disciplina, poichè risulta che la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova non ha concluso alcuna intesa con lo Stato italiano secondo l'art. 8 della Costituzione, il ricorso dovrebbe essere rigettato;
che pertanto il dubbio di costituzionalità della normativa in questione sarebbe rilevante perchè attiene al presupposto del giudizio di merito, nel quale si controverte dei rapporti tra una confessione e un suo aderente, e per la soluzione del quale - sempre ad avviso del rimettente – é "necessario che sia decisa [. . .] la questione se la disposizione dell’art. 22, comma 1-bis, della legge, che pone concretamente la differenza tra le confessioni religiose per quanto attiene al trattamento dei dati personali degli aderenti, tra quelle che hanno concluso intese con lo Stato e quelle che non lo hanno fatto, violi o meno le norme e i principi costituzionali" invocati;
che, nel merito, il Tribunale ritiene che la norma denunciata, in quanto esonera le sole confessioni titolari di intesa dall’acquisizione sia del previo consenso scritto dell’appartenente sia dell’autorizzazione del Garante, ai fini del trattamento dei dati personali, pone le confessioni religiose che non hanno concluso un’intesa con lo Stato in una "posizione di minore considerazione" rispetto a quelle che invece un’intesa abbiano concluso, determinando in tal modo, in danno delle prime, una compressione della libertà di esercitare l’attività pastorale e spirituale nei confronti degli adepti;
che sotto questo profilo, pur essendo dettata dall’intento di apprestare una maggiore tutela della riservatezza dei dati personali degli aderenti, la norma in questione si tradurrebbe in una violazione (a) della pari libertà delle confessioni garantita dall’art. 8 della Costituzione, (b) del principio di uguaglianza (art. 3) per i singoli aderenti, a seconda dell’esistenza o meno di un’intesa tra la confessione di appartenenza e lo Stato, e (c) del diritto di esercizio della libertà religiosa, individuale e collettiva (art. 19);
che, infine, il giudice a quo desume argomenti, a sostegno della valutazione di non manifesta infondatezza della questione, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 195 del 1993, in cui é stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di una disciplina legislativa regionale che individuava nelle sole confessioni che avessero concluso intese con lo Stato i destinatari privilegiati di interventi regionali di sostegno economico;
che si é costituita nel giudizio così promosso la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova che, nella memoria di costituzione, previa ampia ricostruzione del quadro normativo nonchè dei provvedimenti adottati in materia dal Garante e facendo richiamo a diversi precedenti della giurisprudenza costituzionale, ha sottolineato come l’innovazione legislativa di favore per le confessioni con intesa di cui al comma 1-bis dell’art. 22 abbia determinato una "inammissibile penalizzazione" per le altre confessioni, finendo così per produrre una disparità di trattamento che, oltre a essere ingiustificata alla stregua del parametro dell’uguaglianza nell’esercizio dei diritti di libertà religiosa, si porrebbe anche in contraddizione con la normativa comunitaria di cui la legge n. 675 del 1996 costituisce attuazione, concludendo per l’accoglimento della questione sollevata;
che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;
che secondo l’Avvocatura la questione sarebbe inammissibile - per un triplice ordine di rilievi: (a) per "assenza di una lite reale fra ricorrente e resistente i cui interessi coincidono", ciò che sarebbe dimostrato dalla comunanza di opinioni tra le parti sulla questione sollevata, (b) per perplessità dell’ordinanza di rimessione circa il verso della pronuncia richiesta, se cioé rivolta a estendere la garanzia individuale del consenso scritto dell’interessato anche alle confessioni con intesa ovvero se rivolta a escluderlo per tutte le confessioni, e (c) per insufficiente esposizione dei fatti dedotti nel giudizio di merito, in particolare quanto all’essere stato effettivamente prestato il consenso di cui si tratta – e comunque, nel merito, infondata, rappresentando la scelta legislativa censurata lo strumento con il quale vengono assicurate le "idonee garanzie" richieste anche in sede comunitaria in relazione al trattamento di dati idonei a rivelare i convincimenti religiosi dei singoli;
che in prossimità dell’udienza la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova ha depositato una memoria integrativa nella quale, adducendo argomenti in senso contrario alle eccezioni di inammissibilità dell’Avvocatura dello Stato, e ulteriormente sviluppando i contenuti dell’atto di costituzione in giudizio, ha insistito per l’accoglimento della questione.
Considerato che il giudice rimettente, con ricorso a norma dell’art. 700 cod. proc. civ., é chiamato ad accertare che la ricorrente – aderente alla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova – non é tenuta a prestare il consenso scritto per il trattamento dei dati personali richiesto dalla Congregazione medesima, secondo quanto previsto dall’art. 22 della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali);
che dal menzionato art. 22 risulta un doppio regime di trattamento dei dati personali idonei a rivelare l’adesione ad associazioni od organizzazioni a carattere religioso, risultante dal comma 1 e dal comma 1-bis;
che, precisamente, (a) il comma 1, con riguardo al trattamento dei dati personali idonei a rivelare l’adesione ad associazioni od organizzazioni a carattere religioso, prevede il consenso scritto dell’interessato e la previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, mentre (b) il comma 1-bis esonera dall’applicazione della disciplina del comma 1 il trattamento dei dati relativi ai loro aderenti, operato dalle confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato siano regolati da accordi o intese ai sensi degli artt. 7 e 8 della Costituzione, sempre che tali dati non siano comunicati o diffusi fuori delle medesime confessioni (tenute inoltre a determinare "idonee garanzie" relative ai trattamenti effettuati);
che il giudice rimettente - dubitando che tale doppio regime, dalla legge fatto seguire alla circostanza che le confessioni religiose non abbiano o abbiano regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese, determini una disparità di trattamento non giustificata, cioé una discriminazione, con violazione degli artt. 3, 8, primo comma, e 19 della Costituzione – solleva questione di legittimità costituzionale del comma 1-bis dell’art. 22 in questione;
che il trattamento dei dati relativi ai propri aderenti da parte della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova – ente di culto dotato di personalità giuridica (d.P.R. 31 ottobre 1986, n. 783), i cui rapporti con lo Stato non sono a oggi regolati da intesa (non essendo stata tradotta in legge l’intesa sottoscritta il 20 marzo 2000) – ricade nella previsione del comma 1 dell’art. 22, norma di cui il giudice rimettente é chiamato a fare applicazione;
che, tuttavia, la questione di costituzionalità é stata sollevata non sul comma 1, bensì sul comma 1-bis dell’art. 22, investendo così la norma che determina, ad avviso del rimettente, la discriminazione denunciata ma non la norma che trova applicazione a riguardo delle confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato non sono regolati in base a intese e quindi a riguardo della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, e la cui eventuale dichiarazione d’incostituzionalità non avrebbe altro effetto che di generalizzare la portata della norma già applicabile nel giudizio davanti al giudice rimettente, cosicchè la pronuncia della Corte non potrebbe determinare alcuna conseguenza in quest’ultimo;
che, pur avendo la difesa della Congregazione avanzato un modo d’intendere la questione come rivolta invece a ottenere l’estensione della norma dettata per le confessioni i cui rapporti con lo Stato sono regolati da intese - cioé del comma 1-bis - a quelle che non lo sono, e quindi anche alla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, i termini della questione sono quelli fissati dall’ordinanza di rimessione (art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87) e che, comunque, anche secondo questa ri-configurazione della questione, essa non varrebbe comunque a investire il comma 1 dell’art. 22, cioé la previsione normativa nella quale rientra la fattispecie sulla quale il giudice rimettente é chiamato a pronunciarsi;
che pertanto la questione di legittimità costituzionale, così come configurata, é manifestamente irrilevante nel giudizio dal quale essa é stata promossa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 1-bis, della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali), introdotto dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 135 (Disposizioni integrative della legge 31 dicembre 1996, n. 675, sul trattamento di dati sensibili da parte dei soggetti pubblici), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 8, primo comma, e 19 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze – sezione distaccata di Pontassieve, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2001.