ORDINANZA N.429
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 197, lettera a), 210, comma 4, e 513 del codice di procedura penale, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze emesse in data 11 dicembre 2000 dal Tribunale di Foggia, 8 febbraio 2001 dal Tribunale di Milano, 2 novembre 2000 dal Tribunale di Foggia e 30 maggio 2000 dal Tribunale di Siracusa, rispettivamente iscritte ai nn. 518, 561, 579 e 590 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 27, 32 e 33, prima serie speciale, dell'anno 2001;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di Consiglio del 5 dicembre 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con ordinanze in data 2 novembre e 11 dicembre 2000 (r.o. nn. 579 e 518 del 2001) il Tribunale di Foggia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 210 e 513 del codice di procedura penale, "limitatamente alla previsione circa la facoltà di non rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri";
che in entrambe le ordinanze il rimettente premette che, in dibattimento, un imputato di reato connesso si é avvalso della facoltà di non rispondere e che in siffatta situazione l'art. 111, quarto comma, Cost. preclude di valutare ai fini della decisione le dichiarazioni da lui rese nel corso delle indagini preliminari;
che a parere del Tribunale nello "status giuridico" di imputato di reato connesso ex art. 210 cod. proc. pen. coesistono i due profili di imputato e di testimone: se in relazione al primo é consentito evocare il canone nemo tenetur edere contra se, in relazione al secondo sussiste l'obbligo di "canalizzare nel processo", la cui funzione é l'accertamento della verità, "il patrimonio cognitivo" del quale il soggetto é portatore;
che la disciplina censurata, assicurando invece indiscriminatamente la facoltà di non rispondere in relazione a dichiarazioni coinvolgenti la responsabilità di altri, violerebbe:
- l'art. 111 Cost., che sancisce "la costituzionalizzazione del diritto dell'accusato di confrontarsi dialetticamente col suo accusatore nella formazione della prova";
- l'art. 3 Cost., sotto il profilo del canone di ragionevolezza, "inteso come parametro generale di funzionalità del sistema processuale";
- l'art. 25 Cost., "in quanto paralizza l'indefettibile esercizio della giurisdizione penale e la formazione del libero convincimento del giudice";
- l'art. 24 Cost., "perchè pregiudica la piena e compiuta estrinsecazione del diritto di difesa dell'imputato";
- l'art. 112 Cost., "in quanto inibisce il fluido e corretto sviluppo dell'azione penale vanificandone di fatto l'ineludibile obbligatorietà";
che con ordinanza in data 8 febbraio 2001 (r.o. n. 561 del 2001) il Tribunale di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 101, secondo comma, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 197, comma 1, lettera a), 210 e 513 cod. proc. pen., "nella parte in cui sanciscono l'incompatibilità con l'ufficio di testimone del coimputato nel medesimo reato e dell'imputato in procedimento connesso e prevedono per gli stessi soggetti la facoltà di non rispondere", in particolare "con riferimento ai soggetti che abbiano definito con sentenza di condanna passata in giudicato la loro posizione";
che il Tribunale premette che nel corso dell'istruzione dibattimentale molti degli imputati, e degli imputati in procedimenti connessi, i cui interrogatori costituivano parte preponderante del materiale probatorio, comparivano in udienza e dichiaravano di avvalersi della facoltà di non rispondere, e che, ai sensi dell’art. 111 Cost. e dell'art. 1 della legge 25 febbraio 2000, n. 35, non é più possibile procedere alle contestazioni secondo il "meccanismo" introdotto dalla sentenza n. 361 del 1998;
che a parere del Tribunale il combinato disposto delle norme censurate - delineando un sistema che consente ai dichiaranti erga alios di sottrarsi al contraddittorio e di sottrarre ad libitum elementi di prova rilevanti al vaglio dibattimentale - si porrebbe in contrasto:
- con il principio della indisponibilità del processo e della prova da parte dei soggetti privati e con la funzione del processo penale, che consiste nell'accertamento dei fatti contestati e dell'eventuale responsabilità dell'imputato (artt. 3, 25, 101, secondo comma, 111 e 112 Cost.);
- con il principio di non dispersione della prova, cui la Corte costituzionale, con la sentenza n. 255 del 1992, ha attribuito esplicitamente rilievo costituzionale;
- con il principio di obbligatorietà dell'azione penale, che comporta che l'azione promossa non venga paralizzata ex post dalla scelta dell'imputato in procedimento connesso di avvalersi della facoltà di non rispondere e dalla conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie;
- con il diritto - già enucleabile in base agli artt. 3 e 24 Cost., ed oggi sancito dall'art. 111, quarto comma, Cost. - di chi viene accusato dal coimputato, o dall'imputato in procedimento connesso, di sottoporre al vaglio del contraddittorio le dichiarazioni rese nei suoi confronti;
- con l'art. 111 Cost., che impone la compressione dello spazio costituzionalmente garantito del diritto al silenzio e la esclusione della facoltà di non rispondere in dibattimento per il soggetto che abbia in precedenza già effettuato la scelta di rendere dichiarazioni implicanti le responsabilità altrui o che sia stato già condannato con sentenza definitiva, venendo meno in tali ipotesi ogni ragion d'essere della tutela dalla autoincriminazione;
che con ordinanza del 30 maggio 2000 (r.o. n. 590 del 2001) il Tribunale di Siracusa ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 210, comma 4, e 513 cod. proc. pen., "limitatamente alla previsione circa la facoltà di non rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri";
che il Tribunale premette che dal decreto che dispone il giudizio e dalle richieste di prova emerge che la responsabilità dell'imputato "non può essere valutata prescindendo dalle dichiarazioni accusatorie formulate in fase di indagine preliminare" da un soggetto le cui "dichiarazioni non possono entrare nel dibattimento, posto che [...] si é avvalso della facoltà di non rispondere";
che a parere del rimettente la disciplina censurata violerebbe, in particolare:
- l'art. 111, quarto comma, Cost., che impone la revisione dei confini tra il diritto alla formazione in contraddittorio della prova ed il diritto al silenzio del dichiarante erga alios, nel senso che alla maggiore espansione ed alla più intensa tutela del primo dovrebbe corrispondere inevitabilmente la riduzione della facoltà di non rispondere;
- gli artt. 3, 25, 111 e 112, in quanto una volta operatasi la scelta di rendere dichiarazioni coinvolgenti la responsabilità di altri, il successivo esercizio del diritto al silenzio confligerebbe con il diritto dell'accusato al confronto dialettico nella formazione della prova e determinerebbe l'irragionevole ed inaccettabile sacrificio dei principi del libero convincimento del giudice, della funzione conoscitiva del processo, dell'indefettibilità della giurisdizione e della obbligatorietà dell'azione penale;
che é intervenuto nei giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con riferimento alla questione sollevata con ordinanza n. 561 del 2001, la restituzione degli atti al giudice rimettente alla luce delle modifiche recate alle norme censurate dalla legge n. 63 del 2001, e una declaratoria di inammissibilità o di infondatezza per le altre questioni.
Considerato che identica é la sostanza delle questioni, che concernono tutte il diritto al silenzio riconosciuto alle persone imputate o giudicate in un procedimento connesso che abbiano in precedenza reso dichiarazioni eteroaccusatorie, in relazione al regime di acquisizione e utilizzazione in dibattimento delle precedenti dichiarazioni, per cui deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
che successivamente alle ordinanze di rimessione é intervenuta la legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e di valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della Costituzione), che ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, da un lato modificando gli artt. 64, 197 e 210 cod. proc. pen. e inserendo l'art. 197-bis cod. proc. pen. - che individua le ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato assumono l’ufficio di testimone -, dall'altro intervenendo sugli artt. 500, 513 e 526 cod. proc. pen.;
che di conseguenza, essendo mutati le norme censurate e il contesto complessivo della disciplina di riferimento, gli atti devono essere restituiti ai giudici rimettenti, perchè verifichino se le questioni siano tuttora rilevanti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Foggia, al Tribunale di Milano e al Tribunale di Siracusa.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2001.