ORDINANZA N.427
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 438 del codice di procedura penale, come sostituito dall'art. 27 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti ai giudici di pace e di esercizio della professione forense), promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Saluzzo con ordinanze emesse il 15 dicembre, il 28 novembre, il 18 ottobre e il 17 novembre 2000, rispettivamente iscritte ai nn. 248, 249, 250 e 281 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 15 e 17, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con quattro ordinanze di analogo contenuto il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Saluzzo ha sollevato, in riferimento agli artt. 97 ( r.o. nn. 248, 249 e 250 del 2001), 101 e 111 (r.o. nn. 248, 249 e 250 e 281 del 2001) della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438 del codice di procedura penale, come sostituito dall'art. 27 della legge 16 dicembre 1999, n. 479, recante tra l'altro "Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale", nella parte in cui non prevede il potere del pubblico ministero di interloquire sulla richiesta di rito abbreviato formulata dall'imputato esprimendo consenso o dissenso motivato e la facoltà di chiedere una autonoma integrazione probatoria, nonchè nella parte in cui non prevede il potere del giudice di decidere sulla ammissibilità della richiesta;
che il rimettente premette che gli imputati hanno chiesto il giudizio abbreviato e che il pubblico ministero ha eccepito la illegittimità costituzionale dell'art. 438 cod. proc. pen., deducendo la violazione degli artt. 101 e 111 Cost.;
che, nel condividere le osservazioni del pubblico ministero, il giudice a quo rileva che l'art. 111 Cost., prevedendo che ogni processo si deve svolgere nel contraddittorio delle parti ed in condizioni di parità davanti ad un giudice terzo e imparziale, imporrebbe che anche al pubblico ministero sia riconosciuto il potere di interloquire in merito alla richiesta dell’imputato di giudizio abbreviato;
che, ad avviso del rimettente, in presenza di un dissenso motivato del pubblico ministero il processo dovrebbe proseguire con il rito ordinario, salvo il potere del giudice, a dibattimento concluso, di ritenere ingiustificato il dissenso e di applicare all'imputato la riduzione di pena;
che, in alternativa, al giudice dell'udienza preliminare dovrebbe essere riconosciuta la facoltà di ammettere o respingere la richiesta di giudizio abbreviato;
che l'attuale impianto normativo, da un lato, priva il pubblico ministero del "diritto di contraddire le richieste dell'imputato in tema di giudizio abbreviato" e, dall'altro, non attribuisce alcuna efficacia giuridica alle sue eventuali deduzioni;
che il rimettente sottolinea inoltre che alla perdita da parte del pubblico ministero del potere di interloquire sulla scelta del rito dovrebbe accompagnarsi la facoltà di chiedere una autonoma integrazione probatoria;
che la disciplina del rito abbreviato risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 sarebbe altresì in contrasto con l'art. 101 della Costituzione, in quanto non consentirebbe al giudice di assolvere i suoi "indefettibili compiti istituzionali" e attribuirebbe all'imputato il diritto a conseguire automaticamente e irragionevolmente il beneficio della riduzione di pena;
che la attribuzione agli imputati di vantaggi significativi e del tutto ingiustificati violerebbe infine il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione;
che infatti la ratio del rito speciale, pur sempre rinvenibile nella abbreviazione dei tempi processuali per il mancato svolgimento dell'istruttoria dibattimentale, non sarebbe più ravvisabile ove la riduzione della pena venga applicata anche nelle ipotesi in cui il giudice deve procedere ad una integrazione probatoria, così disattendendo "le ragioni di speditezza e economia alla base dell'istituto";
che nei giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, richiamando l'ordinanza n. 564 del 2000 (r.o. nn. 248, 249 e 250), con la quale la Corte costituzionale ha disposto la restituzione degli atti al giudice rimettente essendo intervenute le modifiche introdotte dall'art. 4-ter, comma 1, della legge 5 giugno 2000, n 144, nonchè la sentenza n. 115 del 2001 (r.o. n. 281 del 2001), con la quale analoga questione é stata dichiarata non fondata.
Considerato che le quattro ordinanze del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Saluzzo sono sostanzialmente identiche e che pertanto va disposta la riunione dei relativi giudizi;
che con sentenza n. 115 del 2001 la Corte ha dichiarato infondate le medesime questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438 cod. proc. pen., sollevate in riferimento agli stessi parametri e sulla base di argomentazioni analoghe a quelle prospettate dall'attuale rimettente;
che, non essendovi motivi per discostarsi dalle considerazioni svolte e dalle conclusioni raggiunte nella menzionata sentenza n. 115 del 2001, le questioni vanno dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 97, 101 e 111 della Costituzione, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Saluzzo, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2001.