Ordinanza n. 409/2001

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ORDINANZA N. 409

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Cesare Ruperto, Presidente

-          Massimo Vari

-          Riccardo Chieppa

-          Gustavo Zagrebelsky

-          Valerio Onida

-          Carlo Mezzanotte

-          Fernanda Contri

-          Guido Neppi Modona

-          Piero Alberto Capotosti

-          Franco Bile

-          Giovanni Maria Flick

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’ art. 263 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 14 novembre, il 15 dicembre e il 28 novembre 2000 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Palermo rispettivamente iscritte ai nn. 86, 255, 256 e 286 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7, 15 e 17, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con quattro ordinanze di identico contenuto, il Tribunale di Palermo - chiamato a pronunciarsi su altrettanti atti di appello proposti avverso ordinanze con le quali, dopo la chiusura delle indagini preliminari, erano state respinte dai giudici del merito istanze di restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio nel corso delle indagini - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. proc. pen., "nella parte in cui non prevede che, dopo la chiusura delle indagini preliminari e fino al passaggio in giudicato della sentenza o del decreto penale di condanna, gli interessati non possono proporre opposizione avanti il medesimo giudice avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di restituzione delle cose sequestrate";

che a parere del giudice a quo all’interno dell’art. 263 cod. proc. pen. si rinverrebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra il soggetto che chiede la restituzione nella fase delle indagini e dopo il passaggio in giudicato della sentenza - essendo a questi assicurato, sia pure con procedure diverse, un tempestivo diritto di opposizione - ed il soggetto che veda respinta l’istanza di restituzione dopo la chiusura delle indagini, giacchè a costui - secondo l’orientamento giurisprudenziale cui il rimettente dichiara di aderire - non é consentito proporre alcuna opposizione;

che un siffatto epilogo si risolverebbe, ad avviso del giudice a quo, in una violazione del principio di ragionevolezza e del diritto di difesa, "non potendo l’imputato dopo la chiusura delle indagini preliminari difendere la propria istanza di restituzione mediante adeguata e tempestiva facoltà di gravame, assicuratagli, invece (…) sia nella fase delle indagini, sia dopo il passaggio in giudicato della sentenza";

che la questione - conclude il rimettente - deve reputarsi rilevante in quanto, ove accolta, l’impugnazione proposta dalla difesa anzichè essere dichiarata "meramente inammissibile, potrebbe essere riqualificata e trasmessa, ai sensi del comma 5 dell’articolo 568 c.p.p., al giudice competente, per il giudizio di opposizione da esperire a norma dell’art. 127 c.p.p.";

che nei giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi la questione inammissibile o infondata: deduce, infatti, la difesa erariale che il giudice a quo non é chiamato a fare applicazione della norma impugnata, sicchè la questione dovrebbe essere considerata irrilevante; nel merito, l’interveniente osserva che la previsione di una opposizione davanti allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento di rigetto della istanza di restituzione, il quale, poi, é lo stesso giudice competente a decidere sull’intero processo, "si risolverebbe in un rimedio defatigatorio e superfluo rispetto al rimedio costituito dalla impugnazione della sentenza".

Considerato che le ordinanze sollevano l’identica questione e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;

che, come correttamente evidenziato dalla Avvocatura

generale dello Stato, la questione prospettata é del tutto irrilevante nei procedimenti a quibus, posto che nella specie il Tribunale rimettente é chiamato a decidere su altrettanti atti di appello proposti avverso ordinanze con le quali, dopo la chiusura delle indagini, i vari giudici procedenti hanno respinto istanze di restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio nel corso delle indagini preliminari: sicchè il Tribunale é stato (erroneamente) investito quale giudice di appello de libertate, secondo il modello stabilito per il sequestro preventivo (misura cautelare reale) dall’art. 322-bis cod. proc. pen.;

che, pertanto, gli appelli proposti sono comunque inammissibili e nessuna conseguenza deriverebbe dall’eventuale accoglimento del quesito di costituzionalità, posto che lo stesso si riferisce a norma della quale il giudice a quo non é e non sarebbe comunque chiamato a fare applicazione: infatti, la sentenza additiva richiesta non devolverebbe la cognizione del gravame al tribunale, quale giudice dell’appello sul tema coinvolto (mantenimento o meno del vincolo cautelare in rem), ma "costruirebbe" una nuova figura di "opposizione" davanti allo stesso giudice del procedimento che ha adottato il provvedimento reiettivo della istanza di restituzione del bene sottoposto a sequestro probatorio;

che, dunque, il totale difetto di competenza funzionale dell’organo adìto, tanto con riferimento al quadro normativo vigente che in rapporto a quello che deriverebbe da una eventuale sentenza di accoglimento (la competenza a celebrare l’eventuale giudizio di "opposizione" spetterebbe sempre al giudice che procede, essendo questi chiamato a decidere con ordinanza ex art. 127 cod. proc. pen., ricorribile per cassazione), rende il quesito privo di rilevanza;

che a quest’ultimo riguardo nessun rilievo può annettersi alla motivazione offerta sul punto dal giudice rimettente (in caso di accoglimento, in luogo della semplice declaratoria di inammissibilità dell’appello, il Tribunale riqualificherebbe l’impugnazione come "opposizione", trasmettendo gli atti al giudice competente), giacchè l’epilogo sarebbe comunque quello della inapplicabilità della norma impugnata da parte dello stesso Tribunale.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Palermo con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2001.